Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19044 del 14/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/09/2020, (ud. 03/06/2020, dep. 14/09/2020), n.19044

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11726-2019 proposto da:

D.F. e C.C., rappresentati e difesi

dall’Avvocato ADELE ROSELLI e dall’Avvocato ANTONIA LA CAVA ed

elettivamente domiciliati a Roma, via dei Due Macelli 66, presso lo

studio dell’Avvocato VINCENZO LA MALFA, per procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.B.I. e GR.BI.NI., in proprio e quali

eredi di B.A., deceduta il (OMISSIS), e di

G.S., deceduto il (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’Avvocato

MARIA FRANCESCA AMATO ed elettivamente domiciliati a Roma, via di

Monteverde 162, presso lo studio dell’Avvocato ROSSANA GRILLO, per

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso l’ORDINANZA n. 23571/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

depositata il 28/9/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere GIUSEPPE

DONGIACOMO nella camera di consiglio non partecipata del 3/6/2020.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Questa Corte, con l’ordinanza in epigrafe, ha così esposto la decisione assunta.

“Rilevato che:

1. Con citazione notificata in data 07.03.2001 i coniugi D.F. e C.C. hanno convenuto in giudizio dinanzi al tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto sezione distaccata di Milazzo – i coniugi G.S. e B.A., chiedendone la condanna all’integrale demolizione di un tratto di muro da essi edificato.

2. Hanno esposto di essere proprietari di un fondo confinante con quello di proprietà dei convenuti e che circa quindici anni prima dell’inizio del giudizio, individuata di comune accordo l’esatta linea di confine tra i fondi, era stata realizzata dagli attori una fondazione cementizia dello spessore di 22 cm con lo scopo di collocarvi una rete metallica. Hanno precisato al riguardo che, dopo aver rifiutato di apporre la recinzione, i convenuti avevano edificato un tratto di muro spesso 30 cm., lungo circa 6 m. ed alto 3 m. (per la lunghezza di 4 m) e 1,20 m. (per i restanti 2 m.), presentante pericolo di crollo e difforme dagli accordi.

3. Si sono costituiti in giudizio i coniugi G. e B., eccependo che il muro realizzato non presentasse alcun pericolo di crollo e che non fosse stato edificato sulla linea di confine dei fondi, ma interamente sulla loro proprietà. Hanno dichiarato, tuttavia, la loro adesione alla richiesta di demolizione del muro, chiedendo però la condanna degli attori alle spese per la stessa demolizione e in via riconvenzionale il regolamento dei confini e l’apposizione di termini.

4. Con sentenza depositata il 23.07.2004 il tribunale ha accolto la domanda attrice, condannando i convenuti alla demolizione del muro per un tratto di mt. 5,80; ha rigettato le ulteriori domande proposte dagli attori e, in accoglimento della domanda riconvenzionale, li ha condannati alla rimozione della fondazione per ogni suo tratto (o comunque per il tratto corrispondente al muro abbattuto). Da ultimo, ha individuato la linea di confine tra i fondi sulla base di c.t.u. e ha compensato le spese.

5. Avverso la predetta decisione i coniugi D. e C. (GLI ATTORI) hanno proposto appello, lamentando da un lato l’erronea individuazione del confine da parte del c.t.u. e dall’altro l’erronea condanna all’eliminazione della fondazione; hanno infine contestato la regolamentazione delle spese.

6. I coniugi G. e B. hanno proposto appello incidentale, lamentando una statuizione di tardività di eccezione relativa ad azione nunciatoria e l’erroneità della statuizione sulle spese, avendo gli stessi dichiarato la loro disponibilità alla demolizione del muro.

7. La corte di appello di Messina, con sentenza depositata il 12.04.2013, ha rigettato entrambi gli appelli evidenziando, in merito all’appello principale, che a seguito di rinnovazione della c.t.u. in secondo grado le conclusioni del nuovo consulente, identiche a quelle precedentemente formulate, erano apparse corrette e ragionevoli e, in merito all’appello incidentale, che l’eccezione di tardività era stata disattesa dal giudice di primo grado poichè sollevata solo in comparsa conclusionale.

8. Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso D.F. e C.C. sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso B.A..

Non ha espletato difese G.S..

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 880 e 951 c.c., – erronea individuazione del confine”; tenuto conto che la corte d’appello ha confermato l’assunto del giudice di primo grado circa la giacitura del confine, i ricorrenti, “nel reiterare i rilievi mossi in fase d’appello”, hanno indicato nel motivo le proprie critiche agli elaborati di c.t.u..

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 936 c.c., – ingiustificata responsabilità dei ricorrenti circa l’eliminazione dell’esistente fondazione”; si contesta che sia stata acquisita la prova che la costruzione della fondazione sia stata realizzata a suo tempo dalle controparti, avendo la corte d’appello anche omesso di indicare presunzioni in argomento; pertanto era ingiustificata l’affermazione di responsabilità dei ricorrenti.

3. I motivi possono essere congiuntamente esaminati, siccome inammissibili per ragioni analoghe.

3.1. In proposito, può questa corte limitarsi a rilevare che i mezzi, sotto la veste di critiche per violazione di legge, celano in effetti inammissibili istanze di riesame delle risultanze processuali poste dalla corte territoriale alla base del convincimento circa – rispettivamente – la giacitura del confine e la preesistenza delle fondazioni; trattasi di censure fattuali a determinazioni conseguenziali a valutazione delle prove riservata al giudice del merito.

3.2. Al riguardo, va richiamato che il vizio di violazione e falsa applicazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata a questa corte dal R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 65), mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, vizio che, essendo stata la sentenza impugnata depositata successivamente all’11/9/2012, sarebbe stata denunciabile nel presente procedimento ratione temporis secondo il testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, successivo alla modifica di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito in L. n. 134 del 2012, che limita al minimo costituzionale dell’omesso esame” di fatti storici il controllo sulla motivazione medesima.

3.3. Orbene, nel caso di specie, fermo restando che nessuna erronea applicazione della legge la corte d’appello ha posto in essere, avendo fatto corretto governo della disciplina della fattispecie, va rilevato come i motivi, in sostanza, riproducano critiche di merito già svolte in appello.

4. In definitiva, il ricorso va rigettato, con condanna dei ricorrenti alle spese come in dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

la corte rigetta il ricorso”.

D.F. e C.C., con ricorso notificato in data 28/3/2019, hanno chiesto, a norma dell’art. 391 bis c.p.c., la revocazione dell’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione, articolando un motivo.

G.B.I. e Gr.Bi.Ni., in proprio e quali eredi di B.A., deceduta il (OMISSIS), e di G.S., deceduto il (OMISSIS), hanno resistito con controricorso notificato in data 6/5/2019.

I ricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con l’unico motivo che hanno articolato, i ricorrenti hanno censurato l’ordinanza impugnata nella parte in cui la Corte di cassazione è incorsa nella falsa percezione di ciò che emergeva dagli atti del giudizio e non era soltanto incontroverso ma anche incontrovertibile e non poteva dar luogo ad apprezzamenti di alcun genere.

1.2. La Corte di cassazione, infatti, hanno osservato i ricorrenti, è incorsa in un errore di fatto consistito in una svista di carattere materiale lì dove ha affermato e supposto l’esistenza di un fatto decisivo, quali sono le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, che risulta, invece, incontestabilmente escluso da atti e documenti, quali sono le mappe catastali così come acquisite agli atti del giudizio, in tal modo inficiando l’intero giudizio.

1.3. Eliminando siffatto errore, invero, hanno aggiunto i ricorrenti, cade il presupposto o uno dei presupposti sui quali è fondato il convincimento decisorio e tale errore è talmente evidente che la sua mancanza avrebbe sicuramente comportato una decisione di segno opposto.

1.4. Nel caso in esame, in effetti, hanno osservato i ricorrenti, il consulente tecnico d’ufficio ha redatto la consulenza attingendo alla planimetria allegata all’atto di frazionamento dei fondi risalente all’anno 1974, per sua stessa ammissione imprecisa, ma trascurando di acquisire le planimetrie catastali che nel corso degli anni avevano certificato la modifica dello stato dei luoghi: per l’esattezza, nell’anno 1984, è stata inserita in mappa la situazione catastale della particella 18, di proprietà comunale e contigua al fondo dei convenuti, dalla quale si evidenzia in maniera inconfutabile la variazione apportata dalla sopravvenuta e postuma realizzazione del muro di confine eseguito dal Comune e che ha comportato una traslazione verso nord dei confini tra la particella 18 e la particella 17, con la conseguente invasione di quest’ultima.

1.5. I ricorrenti, quindi, hanno chiesto la revoca dell’ordinanza n. 23571 del 2018 e, dunque, l’accoglimento del ricorso per cassazione che gli stessi avevano proposto.

2.1. Il motivo è inammissibile. La Corte, invero, nell’ordinanza impugnata, ha ritenuto che i motivi con i quali i ricorrenti avevano impugnato la sentenza pronunciata dal giudice di merito, celavano, sotto la veste di critiche per violazione di legge, inammissibili istanze di riesame delle risultanze processuali poste dalla corte territoriale alla base del proprio convincimento in fatto, trattandosi di censure riguardanti la valutazione delle prove, riservata invece al giudice di merito e sindacabile in cassazione solo per omesso esame di fatti storici. I ricorrenti, però, a fronte di tale decisione, non hanno lamentato alcun errore di percezione nè una mera svista materiale, che abbia indotto la Corte a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa. Ed è, invece, noto che, ai fini della revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, l’errore revocatorio è configurabile esclusivamente nelle ipotesi in cui la Corte sia incorsa in un errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale. Non risulta, pertanto, viziata da errore revocatorio la sentenza della Corte di cassazione nella quale, com’è accaduto nel caso di specie, il collegio abbia dichiarato l’inammissibilità del ricorso in base a valutazioni di diritto (non importa se corrette o meno), vertendosi, in tali casi, su pretesi errori di giudizio della Corte, con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione (cfr. Cass. n. 22868 del 2012; Cass. n. 27451 del 2013).

2.2. L’errore denunciato dai ricorrenti, del resto, non investe, a ben vedere, direttamente la pronuncia della Corte di cassazione che hanno impugnato, riguardando, piuttosto, la mancata censura, da parte di quest’ultima, dell’errore (di fatto) in cui, in ipotesi, sarebbe incorsa la corte d’appello per aver determinato, alla luce dei fatti esposti dal consulente tecnico d’ufficio, l’esatta collocazione del confine tra i fondi. Sennonchè, com’è noto, l’errore di fatto idoneo a legittimare la revocazione della sentenza di cassazione, ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., e art. 395 c.p.c., n. 4, deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, che la Suprema Corte può esaminare direttamente, con propria indagine di fatto, nell’ambito dei motivi di ricorso e delle questioni rilevabili d’ufficio, e deve avere carattere autonomo, nel senso di incidere esclusivamente sulla sentenza di legittimità: diversamente, ove l’errore sia stato causa determinante della sentenza di merito, in relazione ad atti o documenti che sono stati (o avrebbero dovuto essere) esaminati in quella sede, la parte danneggiata è tenuta a proporre impugnazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., e art. 398 c.p.c., n. 4, contro la predetta decisione, non essendole di contro consentito addurre tale errore in un momento successivo (Cass. n. 7334 del 2002, la quale, in applicazione dell’enunciato principio, ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione avverso una propria sentenza, con il quale si pretendeva di ravvisare un errore revocatorio nella erronea percezione, da parte della stessa Corte, di elementi di fatto che sarebbero stati parimenti fraintesi dal giudice d’appello).

2.3. Il vizio lamentato dai ricorrenti riguarda, d’altra parte, non già un errore di percezione ovvero una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice (di legittimità) a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, quanto, al contrario, un punto controverso in ordine al quale il giudice si è pronunciato, vale a dire l’esatta collocazione del confine tra i fondi delle parti. L’errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste, invece, in una falsa percezione della realtà oppure in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa: sempre che non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali (Cass. n. 26890 del 2019). Ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, infatti, richiamato per le sentenze della Corte di cassazione dall’art. 391 bis c.p.c., rientra fra i requisiti necessari della revocazione che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi, per cui non è configurabile l’errore revocatorio qualora l’asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell’apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass. n. 9527 del 2019). Non è, quindi, ammissibile la domanda di revocazione della decisione assunta dalla Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, per errore di fatto qualora lo stesso abbia costituito un punto controverso oggetto della decisione, vale a dire quando su detto fatto siano emerse posizioni contrapposte tra le parti che abbiano dato luogo ad una discussione in corso di causa, in ragione della quale la pronuncia del giudice non si configura come mera svista percettiva ma assume necessariamente natura valutativa, sottraendosi come tale al rimedio revocatorio (Cass. n. 27622 del 2018).

3. Il ricorso, quindi, è inammissibile: e come tale, a norma dell’art. 391 bis, comma 4, dev’essere dichiarato.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

5. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese processuali, che liquida in Euro 2.000,00 per compenso ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 3 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020

 

 

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