Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19042 del 14/09/2020

Cassazione civile sez. II, 14/09/2020, (ud. 04/02/2020, dep. 14/09/2020), n.19042

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. BELLINI Ugo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21357-2019 proposto da:

Z.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato CLAUDIA ALPAGOTTI,

ed elettivamente domiciliato presso lo studio Placidi s.r.l., in

ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 30;

– ricorrente –

contro

MINISTERO dell’INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore,

rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12 è

domiciliato;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 5132/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA depositato

il 21/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/02/2020 dal Consigliere Dott. BELLINI UBALDO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Z.A., cittadino della Costa d’Avorio, impugnava il provvedimento dell’11.8.2017 della Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Padova, chiedendo l’accertamento del suo diritto al riconoscimento dello status di rifugiato ovvero il suo diritto alla protezione sussidiaria ovvero, in subordine, al rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorrente riferiva di non poter tornare in Costa d’Avorio in quanto suo padre era un attivista del FPI (Front Populaire Ivorien) e, dopo i fatti del 25.3.2011, sarebbe perseguitato dagli appartenenti al partito opposto RDR (Rassemblement Democratic Republicaine).

Con Decreto n. 5132 del 2019, depositato in data 21.6.2019, il Tribunale di Venezia rigettava il ricorso.

Secondo il Giudice il ricorso non era credibile in quanto tutto il racconto si concentrava sul massacro della sua famiglia avvenuto in data 25.3.2011; ma davanti al G.I. il richiedente aveva errato per ben due volte la data, nonostante il Giudice ogni volta gli chiedesse se fosse sicuro; inoltre pur avendogli massacrato la famiglia in casa e violentato le sorelle e lui era riuscito a fuggire nascondendosi nella doccia, anche se un ribelle gli aveva colpito il braccio con un machete; e un camionista, sconosciuto, gli aveva pagato l’ospedale ed il viaggio fuori dallo Stato.

Osserva il Tribunale che anche solo la non credibilità del richiedente è sufficiente a negare le protezioni richieste senza ulteriori approfondimenti motivazionali (Cass. n. 27348 del 2016). Ciò vale senz’altro per lo stato di rifugiato e per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), strettamente collegati al racconto.

Con riferimento alla protezione sussidiaria, del D.Lgs. n. 251 del 2007, si ribadisce che la differenza tra quanto dichiarato in sede amministrativa e quanto riferito al Giudice è elemento di valutazione negativa della sua attendibilità (Cass. n. 8399 del 2014). Inoltre, si osserva che, dopo la grave crisi che ha colpito la Costa d’Avorio negli anni 2010-2011, si sono registrati apprezzabili progressi in materia di ordine pubblico, ancorchè si siano, in effetti, verificati proteste e disordini ancora nei mesi di gennaio e maggio 2017 in diverse località del centro-nord del paese.

All’attualità, anche secondo i più recenti dati forniti dal nostro Ministero degli Esteri (2018), le città principali del paese godono di un relativo livello di sicurezza (anche se non sono infrequenti episodi di microcriminalità e delinquenza comune), mentre il rischio terrorismo rimane circoscritto alle regioni dell’ovest, al confine con la Liberia. Pertanto, pur non potendosi negare persistenti profili di criticità di natura socio-politica nel paese, la Costa d’Avorio risulta caratterizzata da una violenza diffusa e indiscriminata nei confronti della totalità dei cittadini, perciò tale da fondare, di per sè, il diritto alla protezione sussidiaria; escludendo che essa raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, in caso di rimpatrio, correrebbe, per la sua sola presenza nel territorio del paese d’origine, un rischio effettivo di subire tale minaccia (Cass. n. 14006 del 2018).

Con riferimento alla protezione umanitaria, secondo il Tribunale, la vicenda del ricorrente non presenta profili di vulnerabilità, in assenza di una comprovata situazione personale oggettiva e grave che non consenta l’allontanamento dal territorio nazionale. Nè può essere ritenuta determinante, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, l’integrazione sociale del ricorrente nel nostro paese, posto che, come recentemente affermato da Cass. n. 26641 del 2016, la protezione umanitaria non può essere riconosciuta per il semplice fatto di versare in non buone condizioni di salute, occorrendo che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani del richiedente nel paese d’origine. Nè rilevano le buone prospettive di integrazione in Italia in mancanza del diritto di soggiornarvi (Cass. n. 2768 del 2018).

Avverso detto decreto propone ricorso per cassazione Z.A. sulla base di tre motivi; resiste il Ministero dell’Interno con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, sottolineando la difficoltà di fissare le date del massacro della propria famiglia, e a riferirle in un contesto carico di emotività quale l’audizione avanti al Giudice. Il fatto appare tutt’altro che inverosimile, mentre il Giudice ha valorizzato solo gli aspetti che potevano condurlo al rigetto della domanda di protezione del ricorrente, senza soppesare con la dovuta attenzione le indicazioni risultanti dalla procedimentalizzazione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. n. 3.

1.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, comma 1, lett. a), b) e c), D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”, poichè il giudizio sulla situazione della Costa d’Avorio sarebbe stato estremamente frettoloso, in quanto, già nel mese di giugno 2018, era disponibile un report EASO in lingua inglese, che ben delineerebbe tutte le criticità del paese, tenuto conto della recente liberazione dell’ex presidente (OMISSIS) a opera della Corte penale internazionale, il quale intende influenzare le prossime elezioni presidenziali di ottobre 2020.

1.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, in quanto la vicenda del ricorrente presenta profili di vulnerabilità, là dove lo Z. porta sul suo corpo innegabili segni di violenza fisica brutale, come documentato con certificazione medica avanti alla Commissione Territoriale. Inoltre, il ricorrente all’inizio del 2018 ha reperito un contratto di lavoro a termine e successivamente è riuscito a formalizzare un altro contratto.

2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.

2.1. – I motivi sono inammissibili.

2.2. – Il primo costituisce antecedente logico degli altri due e contiene una censura volta a criticare la valutazione da parte del Tribunale dei fatti narrati priva, in tesi, di autonomia rispetto alla decisione della Commissione territoriale, con violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

Al riguardo, si osserva che il ricorrente, nonostante riconduca la censura al vizio di violazione di legge, propone una sostanziale richiesta di rivalutazione di merito delle circostanze già esaminate dal primo giudice, che ha viceversa reso una motivazione congrua, logica ed al di sopra della sufficienza costituzionale, declinando la peculiare regola sulla valutazione delle prove prevista per i giudizi in materia di protezione internazionale, con riferimento ai requisiti di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), rispetto ai quali il racconto del richiedente è stato ritenuto poco credibile ed infarcito di contraddizioni anche rispetto alla cronologia degli eventi narrati (cfr. decreto impugnato, pagg. 6-7).

2.3. – E’ principio consolidato che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Ed altrettanto consolidato è che l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 6368 del 2019; Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016).

Sono infatti riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

Sicchè, la censura mossa con il motivo di ricorso rende palese, piuttosto, lo scopo improprio del ricorrente di contestare globalmente le motivazioni poste a sostegno della decisione impugnata; risolvendosi, in buona sostanza, nella richiesta di una inammissibile generale nuova valutazione alternativa delle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, in senso antagonista rispetto a quella compiuta dal giudice di merito (Cass. n. 1885 del 2018); così, inammissibilmente, rimettendo al giudice di legittimità il compito di isolare le singole doglianze teoricamente proponibili, onde ricondurle a uno dei mezzi di impugnazione enunciati dal citato art. 360 c.p.c., per poi ricercare quali disposizioni possano essere utilizzabili allo scopo; in sostanza, dunque, cercando di attribuire al giudice di legittimità il compito di dar forma e contenuto giuridici alle generiche censure del ricorrente, per poi decidere su di esse (Cass. n. 22355 del 2019; Cass. n. 2051 del 2019).

2.4. – Per le medesime considerazioni, anche il secondo motivo non può trovare ingresso in sede di legittimità in quanto, in relazione alla mancata concessione della protezione sussidiaria richiesta, il ricorrente deduce l’omessa valutazione del danno al quale sarebbe sottoposto in caso di rientro in patria, rilevando come il giudizio sulla situazione della Costa d’Avorio sia stato estremamente frettoloso, in quanto, già nel mese di giugno 2018, era disponibile un report EASO in lingua inglese, che ben delinea tutte le criticità del paese, tenuto conto della recente liberazione dell’ex presidente (OMISSIS) a opera della Corte penale internazionale, il quale intende influenzare le prossime elezioni presidenziali di ottobre 2020.

Orbene, attraverso una motivazione al di sopra della sufficienza costituzionale, si dà conto dell’esame delle emergenze processuali in relazione alle previsioni normative (Cass. n. 1758 del 2020); e pertanto anche rispetto a tale censura il motivo rappresenta soltanto il tentativo di ottenere, attraverso il giudizio di legittimità, un non consentito ulteriore grado di merito (cfr. Cass. 30105 del 2018).

2.5. – Il terzo motivo, infine, si riferisce alla richiesta di permesso di soggiorno per motivi umanitario: al riguardo si osserva che il ricorrente introduce una circostanza nuova con difetto di autosufficienza, in quanto non viene indicata la corrispondente allegazione e prova prospettata dinanzi al Tribunale rispetto al dedotto inserimento lavorativo di cui non sarebbe stato tenuto conto. Nonostante la recentissima pronuncia delle sezioni unite di questa Corte (Cass., sez. un., n. 29460 del 2019) – secondo cui l’abrogazione del permesso di natura umanitaria, sancita dal D.L. n. 113 del 2018 convertito nella L. n. 132 del 2018, non si applica alle domande proposte prima dell’entrata in vigore (5 ottobre 2018) della nuova legge e il profilo dell’integrazione non può essere trascurato e non deve essere esaminato isolatamente, ma attraverso una valutazione comparativa della situazione di effettiva compromissione dei diritti umani fondamentali nel paese di origine – non può trascurarsi che tale ultimo principio non vale a superare le regole del giudizio di legittimità, in base alle quali non possono essere introdotti fatti nuovi rispetto a quelli già vagliati in sede di merito (ex multis Cass. 2038 del 2019; Cass. n. 1758 del 2020).

3. – Il ricorso va pertanto dichiarato inammisibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare a controparte le spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, a titolo di compensi, oltre eventuali spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020

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