Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19040 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 31/07/2017, (ud. 21/04/2017, dep.31/07/2017),  n. 19040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17588-2012 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA, C.F. (OMISSIS), in

persona del Ministro pro tempore rappresentato e difeso

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

D.C.V., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CORSO D’ITALIA 102, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

PASQUALE MOSCA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– C.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, CORSO D’ITALIA 102, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

PASQUALE MOSCA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 123/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/02/2012 R.G.N. 10166/09.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza in data 20 febbraio 2012 la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza n. 20725/2008 del Tribunale di Roma, ha dichiarato il diritto di D.C.V. e di C.P. al trattamento stipendiale equiparato a quello dei ex ispettore generale del ruolo ad esaurimento, condannando l’appellato Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (d’ora in poi: MIUR) al pagamento delle conseguenti differenze stipendiali, oltre interessi legali;

che avverso tale sentenza il MIUR, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso affidato a due motivi, al quale hanno opposto difese la D.C. e la C. con controricorso, illustrato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., sull’assunto secondo cui la sentenza impugnata avrebbe violato il principio del “ne bis in idem” e dei limiti del giudicato, in riferimento alle precedenti sentenze del Tribunale di Roma n. 10714/2006 e n. 10717/2006, sottolineandosi che tali sentenze avevano riconosciuto il diritto delle attuali controricorrenti all’equiparazione del trattamento stipendiale a quello del personale del ruolo ad esaurimento, senza ulteriori specificazioni e che, quindi, nel dare esecuzione a tali sentenze l’Amministrazione ha equiparato il trattamento stipendiale delle ricorrenti a quello del direttore di divisione, essendo questa la posizione iniziale del suddetto ruolo ad esaurimento;

che, pertanto, il ricorso in appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile perchè diretto ad ottenere un’interpretazione di precedenti sentenze passate in giudicato, relative al medesimo “thema decidendum”, che non sono state tempestivamente impugnate per non contenere alcuna pronuncia sulla richiesta equiparazione del trattamento retributivo a quello di ex ispettore generale del ruolo ad esaurimento;

che, con il secondo motivo, si denuncia, in via subordinata, violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 324c.p.c., nonchè degli artt. 13 e 15 del CCNL 1998-2001, degli artt. 17 e 18 del CCNL del 14 settembre 2007 e, infine, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 sottolineandosi la legittimità dell’operato del MIUR consistente nella equiparazione del trattamento stipendiale delle ricorrenti a quello del direttore di divisione del ruolo ad esaurimento (posizione iniziale del suddetto ruolo) anzichè a quella di ispettore generale del ruolo stesso, qualifica quest’ultima mai rivestita dalle ricorrenti e che le stesse non avrebbero potuto più raggiungere;

che, ad avviso del Ministero ricorrente, la Corte d’appello ove ha fatto riferimento ad una disparità di trattamento tra le due categorie considerate non ha tenuto conto della giurisprudenza di legittimità secondo cui il principio espresso dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45 – per il quale le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale – opera nell’ambito del sistema di inquadramento previsto dalla contrattazione collettiva e vieta trattamenti migliorativi o peggiorativi a titolo individuale, ma non costituisce parametro per giudicare le differenziazioni operate in quella sede, restando quindi vietato, non ogni trattamento differenziato per singole categorie di lavoratori, ma solo quello contrastante con specifiche previsioni normative (vedi: Cass. 18 giugno 2008, n. 16504 e successive conformi);

che ritiene il Collegio che, in analogia a quanto deciso in casi analoghi (vedi, per tutte: Cass. 13 maggio 2014, n. 10309 e Cass. 15 settembre 2014, n. 19461) il ricorso vada dichiarato inammissibile;

che i due motivi che con esso vengono proposti si fondano, segnatamente, sul contenuto di due documenti costituiti dalle sentenze, rese in altro giudizio, dal Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, n. 10714/2006 e n. 10717/2006, divenute cosa giudicata e dalle quali si evincerebbe l’avvenuta violazione del principio del “ne bis in idem” da parte della Corte territoriale;

che, al riguardo, viene in rilievo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, per quanto attiene alla doglianza di violazione del giudicato esterno, dovendo la Corte controllare se il relativo documento sia stato ritualmente acquisito agli atti, è onere del ricorrente indicare il momento e le circostanze processuali in cui è stato prodotto in giudizio, eventualmente anche dalla controparte (ex plurimis Cass., SU n. 1416 del 2004; Cass.,SU n. 7161 del 2010; Cass. n. 21560 del 2011; Cass. n. 17575 del 2011);

che, nel caso di specie, il ricorrente ha mancato di assolvere a questo onere e non può rilevare, sotto tale profilo, che in un passo della sentenza in questa sede impugnata si faccia riferimento al decisum delle suddette sentenze del Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, atteso che il requisito di inammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 deve essere apprezzato esclusivamente sulla base del ricorso e non di altri elementi (si vedano, per tutte: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21560e Cass. 5 giugno 2014, n. 12658);

che le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

 

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00 (duecento/00), Euro 3000,00 (tremila/00) per compensi professionali, oltre spese forfetarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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