Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1904 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. II, 27/01/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 27/01/2011), n.1904

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14056-2005 proposto da:

MARCOS SRL ora MARCOS SRL NIG. LTD., in persona dell’Amministratore

Unico e legale rappresentante pro tempore, C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 92, presso lo studio

dell’avvocato LAGONEGRO ANNA, che la rappresenta e difende unitamente

1513 agli avvocati CAZZETTA PIERLUIGI, ROMANO CLAUDIO, SANGIORGIO

LUIGI;

– ricorrente –

contro

A.M. C.F. (OMISSIS), G.A. C.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POLESINE

20, presso lo studio dell’avvocato PATERNOSTER MARIA TERESA, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LELARIO FERDINANDO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1037/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato ANNA LAGONEGRO difensore della ricorrente che ha

chiesto di riportarsi ed insiste sul ricorso e sulla memoria;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.A. e A.M. esponevano che: avevano concluso con la Marcos s.r.l. contratti preliminari con cui quest’ultima si era obbligata a vendere agli attori alcune unità immobiliari facenti parte del complesso immobiliare sito nel Comune di Bernareggio;

nonostante avessero versato le somme dovute, la promittente venditrice non aveva proceduto alla stipula del contratto definitivo;

che nei rispettivi contratti preliminari figurava una clausola con cui gli stessi si erano obbligati a pagare alla Marcos s.r.l. gli interessi di preammortamento del mutuo che gli acquirenti si sarebbero accollati al momento del rogito; tale clausola era da considerarsi inefficace o nulla per indeterminatezza e, in ogni caso, era vessatoria anche ex lege n 52 del 1996, sicchè l’attore aveva diritto alla ripetizione degli importi a tale titolo versato; la Marcos s.r.l. non aveva ultimato alcuni lavori relativi alle parti comuni;

tanto premesso, citavano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Lecco, la Marcos s.r.l. per sentire: accertare la disponibilità degli attori, effettuate le opportune compensazioni con i crediti derivanti dalla clausola sub 2 b del contratto, ad adempiere ogni eventuale residua obbligazione e l’inadempimento della convenuta; emettersi nei suoi confronti sentenza ex art. 2932 c.c., con condanna della medesima all’esecuzione dei lavori (o determinarne il valore e autorizzare gli attori alla loro esecuzione o ancora determinare il minor valore del bene) nonchè alla restituzione di quanto già pagato in adempimento della predetta clausola stessa.

Si costituiva la Marcos s.r.l. che, contestando le allegazioni della controparte, concludeva per il rigetto della domanda di parte attrice Con sentenza dep. 16 ottobre 2000 il Tribunale trasferiva gli immobili de quibus, condannando la convenuta all’esecuzione delle opere non realizzate; rigettava la domanda di nullità della clausola relativa agli interessi di preammortamento del mutuo, di cui era riconosciuta la validità, e quella di restituzione degli importi a tale titolo versati.

Con sentenza dep. il 9 aprile 2004 la Corte di appello di Milano rigettava l’impugnazione proposta dalla Marcos s.r.l..

I giudici di appello per quel che interessa nella presente sede ritenevano quanto segue:

a) in relazione al mancato pagamento dell’importo di L. 10.000.000 + I.V.A. da parte dell’ A., quale quota del mutuo oggetto di accollo, che – secondo l’appellante – il Tribunale non avrebbe considerato, gli attori avevano provato di avere saldato il prezzo nonchè le rate di preammortamento degli interessi sulle rispettive quote di mutuo; in particolare, il pagamento da parte dell’ A. non era mai stato seriamente contestato ed era comunque dimostrato dalla quietanza di cui al preliminare e dalle fatture quietanzate, così come nulla era dovuto per quanto riguardava le rate di preammortamento degli interessi;

b) era disattesa la deduzione con cui l’appellante aveva censurato la condanna all’esecuzione dei lavori disposta dal Tribunale il quale non avrebbe considerato che, in base all’art. 7, lett. c) del contratto, alla società venditrice era consentito di apportare modifiche che, a suo indiscriminabile giudizio, fossero utili e necessarie e che in effetti la società aveva effettuato miglioramenti per opere pari a L. 100.150.000.000 a fronte di lavori non eseguiti pari a L. 50.000.000; i Giudici di appello osservavano che la clausola in questione non avrebbe consentito certo di non completare quanto promesso in vendita, omettendo di realizzare parti dell’immobile, mentre nella presente sede il rilievo circa le opere migliorative era inconferente, perchè il prezzo della vendita era a corpo e non a misura e comunque la convenuta non aveva formulato alcuna domanda al riguardo;

c) era altresì respinta la deduzione della promittente venditrice secondo cui non era ravvisabile l’inadempimento o il ritardo da parte dell’appellante tale da giustificare la domanda di esecuzione ex art. 2932 cod. civ., atteso che nessun termine per la stipula del contratto definitivo era stato fissato nè le parti potevano stabilire tale termine con loro iniziativa unilaterale; la Corte riteneva che l’art. 1183 cod. civ. non prevede formule sacramentali e che comunque la fissazione di un termine immediato costituisce oggetto implicito della domanda proposta, in quanto domanda di adempimento immediato che era stata correttamente accolta in considerazione del tempo trascorso (oltre tre anni) dalla conclusione dei contratti nonostante l’avvenuto pagamento del prezzo mentre era risultata la volontà della venditrice di non volere adempiere.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la Marcos s.r.l., ora Marcos s.r.l. (NIG.) LTD, sulla base di quattro motivi illustrati da memoria. Resistono con controricorso gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposto dalla Marcos s.r.l., ora Marcos s.r.l (NIG.) LTD, sollevata dai resistenti, tenuto conto che dalla documentazione dalla medesima ritualmente e tempestivamente depositata ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ. è emersa l’identità della società ricorrente con quella che è stata parte del giudizio di merito, attesa la continuità giuridica fra le predette, avendo la Marcos s.r.l.

modificato la denominazione e trasferito all’estero la sede della società; d’altra parte, è stata documentata la fonte dei poteri rappresentativi della società di Callistus C. Onyewuchi, cha ha conferito il mandato al difensore.

Con il primo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1183 e 2932 cod. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), censura la decisione gravata che aveva accolto la domanda di trasferimento immediato degli immobili promessi in vendita; denuncia che la motivazione era: a) insufficiente laddove l’aveva considerata inadempiente, quando il termine era rimesso alla sua volontà e aveva ritenuto comunque necessaria la sua fissazione per la natura della prestazione, non spiegando perchè essa ricorrente dovesse ritenersi inadempiente se il termine era rimesso alla sua volontà e perchè potesse essere considerato superfluo se aveva riconosciuto che era te necessario :

il che era tanto più evidente nella specie attese le pratiche propedeutiche alle quali si era fatto riferimento; b) contraddittoria, perchè se il termine, come riconosciuto dai Giudici, era rimesso alla volontà della Marcos s.r.l., questa non poteva considerarsi inadempiente; e) erronea, perchè il principio applicato dalla Corte non era applicabile al caso concreto, posto che nella specie il termine era presente, sebbene rimesso al libero arbitrio di essa ricorrente.

Il motivo è infondato.

In primo luogo va considerato che, anche quando le parti abbiano rimesso alla volontà del debitore la fissazione del termine per l’adempimento, spetta al giudice di stabilirlo secondo le circostanze (art. 1183 c.c., u.c.) quando poi in concreto non sia stato fissato, dovendo qui considerarsi che la determinazione del termine non può essere rimessa al mero arbitrio del debitore, che altrimenti potrebbe approfittare di tale situazione rendendosi inadempiente : proprio al fine di contrastare siffatto atteggiamento è previsto l’intervento del giudice, atteso che la condotta delle parti deve essere improntata ai principi di correttezza e buona fede, dovendo il comportamento dell’uno salvaguardare l’interesse dell’altro. In particolare, con riferimento al contratto preliminare, qualora le parti abbiano rimesso alla volontà di una di esse la fissazione del termine relativo alla stipulazione del contratto definitivo, e quest’ultima ritardi ingiustificatamente l’esercizio di tale facoltà, l’altra parte, adempiute le obbligazioni poste a suo carico, può tanto rivolgersi al giudice per la fissazione di un termine, ex art. 1183 cod. civ., quanto proporre direttamente domanda di adempimento in forma specifica, ex art. 2932 c.c. (domanda nella quale deve ritenersi implicita la richiesta di fissazione del detto termine), cfr. Cass. 15587/2001. Ed invero, l’ingiustificato e prolungato inadempimento della parte alla quale era rimessa la fissazione del termine, da un lato, consente alla controparte di chiederne l’immediato adempimento e al giudice di emettere condanna, una volta verificata tale condotta: nella specie, la sentenza ha puntualmente compiuto tale accertamento, evidenziando che la promittente era rimasta inadempiente nonostante il lungo tempo trascorso dalla stipula dei preliminari, dimostrando anzi la volontà di non adempiere.

Con il secondo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2730 e 2932 cod. civ., artt. 115 e 228 cod. proc. civ. nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), censura la sentenza gravata laddove aveva ritenuto l’avvenuto pagamento della somma dovuta dall’ A. quando già nel giudizio di primo grado era pacifico il debito de quo, che era stato dalla medesima riconosciuto con la comparsa conclusionale depositata dinanzi al Tribunale: non essendovi stata al riguardo alcuna contestazione, essa ricorrente non aveva alcun onere in relazione a un debito pacifico; la sentenza impugnata non aveva motivato, tenuto conto che i fatti non controversi non devono essere ulteriormente provati; i Giudici avevano errato nel ritenere, in base alle fatture in atti, l’avvenuto pagamento di L. 10.000.000 quando invece dal relativo esame era emerso proprio il contrario.

Il motivo è infondato.

La ricorrente, in sostanza, denuncia l’errore compiuto dalla sentenza impugnata nel non avere ritenuto la sussistenza del debito di L. 10.000.000, dedotta da essa ricorrente, circostanza che non sarebbe stata contestata dalla controparte e, come tale, sarebbe stata non controversa. Orbene, va considerato che qualora con il ricorso per cassazione si deduca che il giudice, nell’esaminare la domanda, abbia erroneamente ritenuto controverso un fatto che invece era da considerare pacifico o non contestato, è incensurabile in sede di legittimità il travisamento delle risultanze processuali – eventualmente suscettibile, ricorrendone le condizioni previste dall’art. 395 c.p.c., n. 4, del rimedio revocatorio – mentre l’erronea interpretazione degli atti processuali, compiuta nell’ambito dell’indagine di fatto riservata al giudice di merito, può essere dedotta in cassazione come vizio di motivazione o sotto l’aspetto della violazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362-1365 cod. civ. che, pure essendo dettate in materia di contratto, hanno portata generale (Cass. 28421/2005; 20325/2006):

profili, questi, che non sono stati specificamente dedotti.

Con il terzo motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 112 cod. proc. civ., omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e nullità (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, denuncia il mancato esame della questione – peraltro rilevabile d’ufficio – con cui era stata dedotta la carenza di legittimazione attiva degli attori a pretendere l’esecuzione di opere relative alle parti comuni che fanno parte del condominio e sono quindi di tutti i condomini nel loro complesso.

Il motivo va disatteso.

La questione, non risultando trattata nella sentenza impugnata, deve ritenersi nuova e, come tale, inammissibile in sede di legittimità:

la ricorrente avrebbe dovuto allegare e dimostrare di avere con l’atto di appello formulato al riguardo uno specifico motivo di gravame, trascrivendone il testo, essendo del tutto irrilevante la deduzione con la comparsa conclusionale.

Con il quarto motivo la ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ. nonchè omessa,insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5) e nullità, censura la sentenza che aveva disatteso la corretta interpretazione della clausola formulata da essa ricorrente a proposito della manca esecuzione di lavori, rilevando come fosse apodittica la motivazione secondo cui le migliorie non avrebbero attribuito il potere di non completare le parti dell’immobile e che le stesse sarebbero irrilevanti; nessuna motivazione era stata formulata in merito alla connessione fra l’innalzamento qualitativo dell’immobile e l’interpretazione della clausola in esame operata da essa ricorrente;

la sentenza aveva violato l’art. 1362 cod. civ. tenuto conto che criterio prioritario e fondamentale nella ricerca della comune intenzione dei contraenti è il significato letterale delle parole.

Il motivo è infondato.

La sentenza ha ritenuto che la facoltà di introdurre nell’edificio elementi innovativi o modificativi non le conferiva il potere di non eseguire le opere promesse in vendita: formulava la interpretazione della previsione contrattuale, tenendo conto del tenore letterale della richiamata clausola con motivazione che è immune da vizi logici e giuridici.

Al riguardo, va ricordato che in tema di interpretazione del contratto, l’accertamento della volontà dei contraenti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità, oltre che in ipotesi di motivazione inadeguata, in caso di violazione delle norme ermeneutiche, che nella specie non sussiste. Ne consegue che è inammissibile la critica della ricostruzione del contenuto della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si risolva nella proposta di un’interpretazione diversa, come appunto si è verificato nella specie, in cui in sostanza la ricorrente formula una interpretazione soggettiva della clausola difforme da quella accolta in sentenza.

Il ricorso va rigettato Le spese della presente fase vanno poste a carico della ricorrente, risultata soccombente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore dei resistenti delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per onorari di avvocato oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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