Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19039 del 14/09/2020

Cassazione civile sez. II, 14/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 14/09/2020), n.19039

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19486-2019 proposto da:

D.S., rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA MAESTRI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 90/2019 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere GIANNACCARI ROSSANA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza dell’8.1.2020, la Corte d’appello di Bologna confermò l’ordinanza del medesimo Tribunale resa in data 8.2.2017, che aveva rigettato l’opposizione avverso la decisione della Commissione Territoriale di diniego della domanda di protezione internazionale proposta da D.S..

1.1. D.S. aveva dichiarato di essere fuggito dal Gambia per ragioni politiche, in quanto appartenente al partito di opposizione; dette dichiarazioni, secondo la corte di merito, erano vaghe e generiche in relazione al programma politico del gruppo di appartenenza ed all’attività svolta e, finanche, in ordine al Paese d’origine.

1.2. Oltre al diniego dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), per la assoluta inattendibilità delle sue dichiarazioni, la Corte d’appello escluse il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2005, art. 14, lett. c), poichè il Gambia non era interessato da una situazione di violenza indiscriminata.

2. Per la cassazione del decreto ha proposto ricorso D.S. sulla base di due motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso il Ministero degli Interni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 14 e 17, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e della L. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, art. 33 della Convenzione di Ginevra, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; il ricorrente denuncia la violazione del dovere di cooperazione istruttoria in quanto l’assenza di conflitti sarebbe stata desunta dal portale “Viaggiare sicuri”, senza tenere conto di altre COI ed esattamente delle informazioni di Amnesty International sul colpo di Stato del 2014, delle violazioni sistematiche dei diritti umani e della pratica della tortura, evincibili dalla circostanza che il Gambia aveva respinto le raccomandazioni dell’ONU, della ripresa delle condanne a morte, dell’attività repressiva di gruppi paramilitari denunciate da Human Right Watch.

2. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere disatteso l’obbligo di cooperazione istruttoria in relazione alle COI del paese di origine; in particolare richiama una decisione di questa Corte (Cass. 1847/2017) che, pur non riconoscendo che in Gambia vi fosse una situazione di violenza indiscriminata, ai sensi dell’art. 14, lett. c), aveva riconosciuto una situazione di instabilità politica.

3. I motivi, da trattare congiuntamente, non sono fondati.

3.1. La corte di merito ha fondato il rigetto della domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria sull’assenza di credibilità delle dichiarazioni relative alla partecipazione del ricorrente al partito politico di opposizione, da cui deriverebbe il timore per la propria incolumità, il rischio di essere arretato o di subire torture o trattamenti degradanti. Dette dichiarazioni, secondo la corte di merito, erano vaghe e generiche in relazione al programma politico del gruppo di appartenenza ed all’attività svolta e, finanche, in ordine al Paese d’origine.

3.2. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Cassazione civile sez. VI, 30/10/2018, n. 27503).

3.3. Quanto, poi, alla censura concernente l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria, in violazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’eventuale esito negativo della valutazione di credibilità, coerenza intrinseca e attendibilità della versione resa dal richiedente la protezione internazionale inibisce l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria facente capo all’organo giudicante (Cassazione civile sez. I, 30/08/2019, n. 21889; Cassazione civile sez. I, 22/02/2019, n. 5354).

3.4. No consegue che, considerata l’assenza di credibilità ravvisata dal Giudice di merito della versione resa dal ricorrente, risulta infondata la censura volta a denunciare il mancato adempimento del dovere di cooperazione istruttoria da parte della Corte d’appello di Bologna, in quanto il pericolo di danno grave può essere esaminato se il racconto è giudicato credibile.

3.5. Quanto poi alle situazione del Gambia, la corte d’appello ha dubitato della provenienza del ricorrente da tale Paese ma, ciò nonostante, ha accertato che non vi fosse una situazione di violenza indiscriminata, sulla base dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE (17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, e 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12; Cass. n. 13858 del 2018), secondo cui i il danno grave (v. 26 Considerando della direttiva n. 2011/95/UE) ricorre solo se gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati raggiungano un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia.

4. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1 e dell’art. 33 della Convenzione di Ginevra, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente ritenuto che non fosse rilevante la condizione del paese di transito ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. Nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (direttiva Ue n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale Paese (ex multis Cassazione civile sez. I, 07/08/2019, n. 21145).

5. Il ricorso va pertanto rigettato.

5.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

5.2. La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

5.3 Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020

 

 

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