Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19038 del 14/09/2020

Cassazione civile sez. I, 14/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 14/09/2020), n.19038

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20105-2019 proposto da:

D.A., domiciliato in ROMA, via Cola di Rienzo n. 271,

presso lo studio dell’avvocato Giacomo Gigliotti, che lo rappresenta

e difende con procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 1255/2019 del Tribunale di Campobasso,

depositato il 30/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa FALASCHI Milena.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– con provvedimento notificato il 02.11.2017 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Campobasso rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria;

– avverso tale provvedimento interponeva opposizione D.A., che veniva respinta dal Tribunale di Campobasso con decisione n. 1255 del 30.05.2019;

– la decisione impugnata evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, evidenziando, in primo luogo, che la vicenda narrato, di avere abbandonato il proprio Paese per motivi familiari perchè minacciato dal grossista del padre, il quale genitore aveva lasciato debiti alla famiglia dopo la sua morte avvenuta nel (OMISSIS) in scontri politici, non era credibile, considerata la contraddittorietà del racconto e la vaghezza della medesima narrativa, oltre all’assoluta genericità della descrizione dell’ipotizzato contrasto, nonchè l’estraneità delle liti patrimoniali, quale quella di specie, ai presupposti per la concessione dello status di rifugiato. Osservava che la madre e la sorella del richiedente non avevano affatto lasciato il Paese, sicchè l’espatrio costituiva una scelta del ricorrente, non dettato da motivi persecutori reali ed effettivi.

Aggiungeva che non risultavano i presupposti per la concessione della protezione sussidiaria non ravvisandosi nel Paese di origine del ricorrente (Guinea) una situazione paragonabile a quelle in cui vi sarebbe in presenza di una violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno, come confermato dall’ultimo rapporto di Amnesty International 2017 -2018. Nè infine i presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, dimostrando la documentazione medica allegata all’inizio del 2018 una malattia compensata;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione il D. affidato ad un unico motivo;

– il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Atteso che:

– con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, oltre ad omesso esame di elementi fondamentali ai fini della decisione, per avere il giudice del merito ritenuto non sussistere valide ragioni per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari pur non versando il suo Paese di origine in una situazione di violenza indiscriminata, tuttavia si sarebbe in presenza di un quadro politico di generale instabilità che coinvolgerebbe tutta la popolazione, con compressione dei diritti civili e scarsa capacità dello Stato e della polizia di rispondere alle richieste di protezione dei cittadini. Aggiunge di avere prodotto documentazione medica comprovante uno stato patologico (epatite B) che necessita di controlli costanti e monitoraggi nel tempo che il Paese di Provenienza non potrebbe offrire.

Il motivo, e con esso il ricorso, non può trovare ingresso.

Deve rammentarsi che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass. 22 febbraio 2019 n. 5358).

La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019 n. 13079).

Con particolare riferimento al parametro della tutela della salute, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari deve fondarsi su una effettiva valutazione della situazione soggettiva del richiedente con riferimento al paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale.

Inoltre, “la natura residuale ed atipica della protezione umanitaria se da un lato implica che il suo riconoscimento debba essere frutto di valutazione autonoma, caso per caso, e che il suo rigetto non possa conseguire automaticamente al rigetto delle altre forme tipiche di protezione, dall’altro comporta che chi invochi tale forma di tutela debba allegare in giudizio fatti ulteriori e diversi da quelli posti a fondamento delle altre due domande di protezione c.d. “maggiore”” (Cass. 7 agosto 2019 n. 21123).

Nel caso di specie, il ricorrente ha posto a fondamento della richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria le sue condizioni di salute, legate alla diagnosi allo stesso fatta di Epatite B da struttura sanitaria pubblica, situazione di fatto che però risulta essersi ormai compensata, per cui non il ricorrente non assume più alcuna terapia farmacologica.

I giudici di merito, infatti, hanno evidenziato che l’attuale stato di salute del ricorrente, documentato dalla relazione dell’inizio del 2018, non giustificava il riconoscimento della situazione di vulnerabilità soggettiva del richiedente, come accertato anche dal giudice di primo grado, negando rilevanza all’originaria patologia definita in stato di “compensazione”.

Peraltro, questa Corte, dopo avere precisato che “la protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente” ha evidenziato che “non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 7 febbraio 2019 n. 3681).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto l’art. 13, comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore dell’Amministrazione controricorrente, che liquida in complessivi Euro 2.100,00, oltre rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della seconda sezione civile, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020

 

 

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