Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19036 del 14/09/2020

Cassazione civile sez. II, 14/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 14/09/2020), n.19036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20185-2019 proposto da:

O.M., rappresentato e difeso dall’avvocato GIACINTO CORACE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

avverso il decreto n. cron. 4461/2019 del TRIBUNALE di MILANO,

depositato il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere GORJAN SERGIO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

O.M. – cittadino della Nigeria – ebbe a proporre ricorso avanti il Tribunale di Milano avverso la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano che aveva rigettato la sua istanza di protezione internazionale in relazione a tutti gli istituti previsti dalla relativa normativa.

Il ricorrente deduceva d’essere dovuto fuggire dal suo Paese poichè la ragazza con la quale aveva avuto una relazione – osteggiata dalla famiglia di lei – era rimasta incinta ed era deceduta a causa del parto,sicchè i genitori di lei l’avevano denunziato alla Polizia ed organizzato una spedizione punitiva contro di lui, sicchè per paura d’essere ucciso era fuggito.

Il Collegio ambrosiano ha rigettato il ricorso ritenendo non credibile il racconto reso dal richiedente protezione e reputato anche che non concorrevano le condizioni,in ragione delle quali è possibile riconoscere la protezione internazionale ovvero quella umanitaria.

Il M. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale lombardo articolato su quattro motivi.

Il Ministero degli Interni,ritualmente evocato,ha depositato mera nota ex art. 370 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso svolto dal M. è privo di pregio e va rigettato.

Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione della norma D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, poichè il Collegio ambrosiano ebbe a concludere per l’inaffidabilità del suo racconto,malamente utilizzando i criteri direttivi,posti dalle norme dianzi citate in materia di valutazione della prova nella specifica materia della protezione internazionale,senza,inoltre,utilizzare l’istituto della cooperazione istruttoria.

In effetti l’impugnante qualifica il vizio denunziato siccome violazione di legge,ma l’argomento critico sviluppato si compendia nella mera elaborazione di una valutazione dei dati probatori alternativa rispetto a quella effettuata dai Giudici lombardi,specie con riguardo alle discrasie evidenziate tra le prime dichiarazioni rese dal M. e quelle successivamente fornite in sede di audizione, chiedendo così a questa Corte di legittimità un apprezzamento circa il merito della controversia non consentito dalla sua funzione.

Il Collegio ambrosiano,invero, ha puntualmente messo in risalto come la non credibilità del racconto reso dal ricorrente risultava in modo evidente dalla vaghezza circa i particolari, specie del suo rapporto con la ragazza con la quale ebbe una relazione, e della subitanea reazione della famiglia di questa, che in buona sostanza l’avrebbe ripudiata, sicchè rimane poco credibile che ebbe a reagire siccome riferito dal M. non appena morta la figlia.

Dunque il Giudice di prime cure non tanto ha utilizzato le discrasie tra la prima dichiarazione – rilasciata al momento dello sbarco – quanto ha analizzato la dichiarazione resa in sede amministrativa e precisato che, sulla scorta della stessa, il racconto del richiedente asilo non appariva credibile.

La statuizione di non credibilità comporta anche che non risulta esigibile l’attivazione del potere officioso istruttorio da parte del Tribunale, siccome insegna questa Suprema Corte.

Dunque non concorre alcuna violazione della norma evocata dal ricorrente poichè il Collegio ambrosiano ha seguito esattamente quanto disposto nella stessa.

Con la seconda ragione di doglianza il ricorrente lamenta violazione delle norme D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU, nonchè omesso esame di fatti decisivi, poichè il Collegio ambrosiano non ha valutato la specifica prospettata persecuzione rivolta nei suo confronti,limitandosi a valutare le condizioni generali del Paese e le forme di persecuzione tipizzate nella disciplina legislativa della protezione internazionale.

In realtà la censura si compendia in argomentazione astratta e svincolata dalla motivazione resa dal Tribunale, posto che la specifica forma di persecuzione dedotta dal richiedente asilo, oltre a configurare propriamente una vicenda di carattere personale, essenzialmente riposa sul suo narrato,ritenuto non credibile come nella precedente esame della censura precedente evidenziato.

Con la terza doglianza il ricorrente deduce violazione delle disposizioni D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, comma 8, 9,10, e 11, in quanto il Collegio milanese ha deciso senza previamente aver fissato udienza di comparizione delle parti, nonostante l’assenza della videoregistrazione delle dichiarazioni da lui rese in sede di procedimento amministrativo.

La censura s’appalesa priva di pregio giuridico posto che, nel provvedimento impugnato – nella parte in fatto -, viene dato appositamente atto che le parti sono state convocate in apposita udienza alla quale ebbe a partecipare il solo difensore,il quale richiese l’accoglimento del ricorso e la liquidazione del suo compenso a carico dello Stato.

Dunque risulta rispettato il disposto di legge afferente la convocazione delle parti in assenza di videoregistrazione, udienza alla quale il M. ritenne di non presenziare, sicchè il ragionamento critico svolto in ricorso s’appalesa siccome astratto e non attagliato alla specie.

Con la quarta doglianza il M. lamenta violazione della norma D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 17 e 14, poichè il Collegio ambrosiano, nel valutare il rapporto Easo 2017, non ha adeguatamente apprezzato il riferimento alla violenza ancora esistente in Nigeria.

L’argomento critico, siccome sviluppato in ricorso, si compendia nella mera enfatizzazione di alcuni passaggi del rapporto redatto da Organismo internazionale ed utilizzato dal Collegio milanese per estrarre informazioni utili a statuire circa la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c).

Difatti il Tribunale ha focalizzato al sua attenzione,non già, genericamente in relazione all’intero territorio della Nigeria, bensì,come prescritto, alla zona in cui il M. viveva,che effettivamente non presenta attualmente una situazione socio-politica caratterizzata da violenza diffusa.

La critica svolta dunque s’appalesa generica e fondata su mera tesi alternativa contrapposta alla valutazione del Collegio ambrosiano, sicchè appare tesa a richiedere a questa Corte di legittimità un’inammissibile valutazione di merito. Con il quinto mezzo d’impugnazione il ricorrente deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 10, comma 3 nullità per motivazione apparente ed omesso esame di fatti decisivi in relazione al mancata riconoscimento,da parte del Tribunale, del suo diritto a godere della protezione umanitaria.

Già la congerie di vizi di legittimità – tra loro anche antinomici – dedotti in unica censura lumeggia l’inammissibilità per genericità della censura mossa,ma anche a volere esaminare partitamente l’argomento critico proposto, detti vizi non concorrono.

Difatti il Collegio milanese ha puntualmente esaminato l’istanza di protezione umanitaria,avanzata dal M., e messo in evidenza come gli elementi di fatto utili a detto esame sono i medesimi addotti a sostegno della chiesta protezione internazionale – ed esaminati in relazione alle censure precedenti -; come non siano stati dedotti dati fattuali specifici afferenti il grado d’integrazione in Italia e come il ricorrente sia in grado,per i conservati riferimento familiari e professionali in Nigeria, di reinserirsi in detto contesto sociale.

La critica sviluppata in ricorso viceversa si compendia in argomentazione astratta e generica circa le condizioni socio-politiche della Nigeria con rinnovata enfatizzazione della questione afferente l’esistenza di diffusa violenza in tutte le zone del Paese, questione già oggetto di precedente motivo di ricorso – disatteso -, senza un effettivo confronto con le puntuali argomentazioni illustrate dal Tribunale al riguardo.

Al rigetto dell’impugnazione non segue,ex art. 385 c.p.c., la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di lite di questo giudizio di legittimità stante la mancata costituzione dell’Amministrazione.

Concorrono in capo al ricorrente le condizioni processuali per l’ulteriore pagamento del contributo unificato.

PQM

Rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello,ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza in Camera di Consiglio, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020

 

 

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