Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19032 del 14/09/2020

Cassazione civile sez. II, 14/09/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 14/09/2020), n.19032

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19773-2019 proposto da:

O.G.D., rappresentato e difeso dall’avvocato

GIOVANNI VILLARI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE PALERMO;

– intimati –

avverso il decreto relativo al n. rg 5827/2018 del TRIBUNALE di

MESSINA, depositato il 03/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere PICARONI ELISA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. O.G.D., nato in (OMISSIS), ricorre per la cassazione del decreto del Tribunale di Messina, sezione specializzata per la protezione internazionale, pubblicato il 16 aprile 2019, che ha rigettato il ricorso avverso la decisione della Commissione territoriale per la protezione internazionale di Palermo, e per l’effetto ha negato il riconoscimento della protezione sussidiaria, richiesta ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b), c), e anche di quella umanitaria, richiesta ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6.

2. Il Tribunale ha ritenuto esaustivo il colloquio effettuato dal ricorrente in sede amministrativa, e non credibile il racconto dello stesso in ragione della contraddittorietà e imprecisione delle risposte fornite alla Commissione territoriale, ed ha escluso che il luogo di provenienza del ricorrente, l’Edo State, sia teatro di conflitto armato interno o comunque di violenza indiscriminata, impeditiva del rientro in patria del ricorrente.

2.1. Quanto alla domanda subordinata di protezione umanitaria, il Tribunale ha evidenziato che non era stata allegata alcuna situazione di vulnerabilità del soggetto richiedente.

3. Il ricorso per cassazione è articolato in cinque motivi.

Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 2 e 3, art. 27, comma 1-bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6, e 16 della direttiva 2013,2, comma 1, lett. g), il ricorrente lamenta che il Tribunale non avrebbe fatto corretta applicazione dei criteri legali volti a stabilire la credibilità del suo racconto.

2. Con il secondo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1-bis, nonchè omesso esame di fatto decisivo avuto riguardo alle ragioni per le quali il ricorrente sarebbe esposto, in caso di reimpatrio, al rischio di subire un grave danno.

3. Con il terzo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nonchè omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione, e si contesta che il Tribunale ha escluso la rilevanza del soggiorno del ricorrente in Libia, considerando tale Paese come di mero transito.

4. Con il quarto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. b) e si contesta l’omessa valutazione della documentazione prodotta dal ricorrente a fini di prova dell’elevato grado di integrazione del ricorrente in Italia.

5. Con il quinto motivo è denunciata violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nella formulazione previgente alle modifiche apportate con il D.L. n. 113 del 2018, conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2018, e si lamenta che il Tribunale non avrebbe valutato la condizione di vulnerabilità del ricorrente nè svolto il necessario giudizio di comparazione tra la situazione di partenza del predetto ed il livello di integrazione raggiunto in Italia.

6. Le doglianze del ricorrente sono infondate ove non inammissibili.

6.1. L’apprezzamento relativo alla non credibilità della narrazione del richiedente sfugge al sindacato di questa Corte se, come nella specie, congruamente motivato, mentre il dovere di cooperazione istruttoria non sorge per il solo fatto che il giudice di merito sia stato investito da una domanda di protezione internazionale, ma è subordinato alla circostanza che il richiedente sia stato in grado di fornire una versione dei fatti quanto meno coerente e plausibile, con la conseguenza che se manca questa attendibilità neppure sorge quel dovere (ex plurimis, Cass. 07/08/2019, n. 21123; Cass. 05/02/2019, n. 3340; Cass. 27/06/2018, n. 16925).

6.2. Nel merito, il Tribunale ha esaminato la situazione esistente nell’area di provenienza del ricorrente, l’Edo State, sulla base di report affidabili ed aggiornati, secondo i quali l’area in oggetto non è interessata da conflitti armati o, comunque, da situazioni di violenza indiscriminata.

6.3. Il fatto storico del transito-soggiorno del ricorrente in Libia è stato esaminato dal Tribunale, che l’ha giudicato irrilevante.

La decisione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (ex plurimis, Cass. 06/12/2018, n. 31676).

6.4. Risultano inammissibili le denunce di omesso esame di fatto decisivo e di violazione di legge prospettate con il quarto e con il quinto motivo, aventi ad oggetto il diniego di riconoscimento della protezione umanitaria.

Il Tribunale ha escluso che fosse provato un elevato grado di integrazione in capo al richiedente, ed ha inoltre rilevato che la situazione del luogo d’origine non appariva tale da comportare il rischio della lesione dei diritti fondamentali della persona, e il ricorrente, che denuncia l’omesso esame di un documento (relazione sociale) dal quale emergerebbe l’alto grado di integrazione raggiunto in Italia, non ha riportato nel ricorso il contenuto del suddetto documento, così rendendo impossibile la valutazione della decisività della lamentata pretermissione. Come costantemente affermato da questa Corte, la parte che intenda denunciare in sede di legittimità l’omessa od inesatta valutazione di atti o documenti prodotti in giudizio, anche per far valere un vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, è onerato, a pena d’inammissibilità del ricorso, non solo della specifica indicazione del documento e della chiara indicazione del nesso eziologico tra l’errore denunciato e la pronuncia emessa in concreto, ma anche della completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti e dei documenti così da rendere immediatamente apprezzabile dalla Suprema Corte il vizio dedotto (ex plurimis, Cass. 05/08/2019, n. 20914; Cass., 07/06/2017, n. 14107).

7. Il ricorso è rigettato senza pronuncia sulle spese, giacchè l’intimato Ministero non ha svolto difese. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020

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