Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19030 del 16/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 16/07/2019, (ud. 29/05/2019, dep. 16/07/2019), n.19030

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12082-2015 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia ope legis in

ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI N. 12;

– ricorrente –

contro

A.M.E., B.L., D.C.A.,

G.A., M.P., tutti elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CRESCENZIO 25, presso lo studio dell’Avvocato NUNZIO PINELLI,

che li rappresenta e difende unitamente all’Avvocato FRANCESCO

CARONIA;

– controricorrenti – ricorrenti incidentali –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE,

DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO

DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, REGIONE LOMBARDIA, I.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 853/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 31/10/2014 R.G.N. 965/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dal

Consigliere Dott. GUGLIELMO CINQUE.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 853/2014, pronunciando sulle domande dei medici in epigrafe indicati, iscritti ai corsi di specializzazione presso l’Università degli Studi di Milano nel periodo post 1998 e in parte precedente al 2007 percependo la borsa di studio prevista dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 in parziale riforma della pronuncia di primo grado resa dal Tribunale della stessa sede, accertava il diritto dei suddetti medici alla rideterminazione della suddetta borsa di studio in conseguenza degli incrementi contrattuali per il personale medico dipendente dal servizio sanitario nazionale e alla corresponsione delle relative differenze con quanto percepito, ritenendo applicabile il termine di prescrizione ordinario decennale e condannando l’Università, ritenuta legittimata passiva in ordine al pagamento di quanto dovuto.

Avverso tale sentenza l’Università degli Studi di Milano ha proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistito dai medici con controricorso, contenente anche ricorso incidentale, formulato sulla base di cinque motivi.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, la Regione Lombardia e I.A. non hanno svolto attività difensiva.

Il P.G. non ha formulato richieste scritte.

I medici e l’Università degli Studi di Milano hanno depositato memorie. In particolare, i medici ricorrenti (incidentali) hanno presentato, in detta memoria, istanza di rimessione alle sezioni unite, per un prospettato contrasto nella giurisprudenza di questa Corte in ordine: a) alla sussistenza o meno del diritto, loro riconosciuto dalla Corte d’appello nei confronti dell’Università, alla rideterminazione triennale con decreto del Ministero della Sanità in funzione del miglioramento minimo previsto dalla contrattazione collettiva del personale medico del SSN, previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1; b) alla spettanza o meno del diritto risarcitorio per mancata o ritardata attuazione da parte dello Stato italiano di direttive comunitarie, loro negato dalla Corte d’appello.

Osserva questa Corte che, in realtà, nessuno dei due contrasti rappresentati sussiste:

a) non il primo, posto che l’indirizzo giurisprudenziale che riconosce il blocco della contrattazione collettiva limitatamente al biennio 1992/93 e non anche il periodo successivo al 31 dicembre 1993 (Cass., sez. Lav., 17 giugno 2008, n. 16385; Cass., sez. Lav., 29 ottobre 2012, n. 18562; Cass., sez. Lav., 18 giugno 2015, n. 12624), non è stato smentito dalla più recente sentenza 23 febbraio 2018, n. 4449 di questa Corte (sez. Lav.); infatti, questa sentenza – in esito a critica ricognizione del quadro normativo in materia di c.d. “blocco” del tasso di inflazione (p.ti 42 – 45 in motivazione), in più specifico riferimento all’incremento delle borse di studio al tasso programmato di inflazione (p.ti 46 – 52 in motivazione) e quindi alla rideterminazione triennale in questione (p.ti 53 – 58 in motivazione) – ha concluso che a partire dal 1998 e sino al 2005 le borse di studio dei medici specializzandi non siano soggette a detto incremento (p.to 59 della motivazione), sulla base della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12 secondo cui: “A partire dal 1998 resta consolidata in Lire 315 miliardi la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio per la formazione dei medici specialisti di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257; conseguentemente non si applicano per il triennio 1998-2000 gli aggiornamenti di cui al predetto D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1”; così valorizzando un dato normativo che, lungi dall’essere stato diversamente interpretato, neppure è stato esaminato dalle precedenti sentenze;

b) ma neppure il secondo, perchè questa Corte ha sempre affermato che la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39 si applichi, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006 – 2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, soggetti al regime istituito dal D.Lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacchè la Direttiva 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio prevista dal D.Lgs. cit., senza alcuna irragionevole diversità di trattamento, essendo il legislatore libero di differire gli effetti di una riforma e costituendo il fluire del tempo elemento di per sè idoneo di diversificazione della disciplina (da ultimo: Cass., sez. Lav., 23 febbraio 2018, n. 4449; Cass., sez. VI – 3, 14 marzo 2018, n. 6355; Cass., sez. III, 28 giugno 2018, n. 17051; Cass., sez. III, 27 febbraio 2019, n. 5715; Cass., sez. III, 14 maggio 2019, n. 12749; Cass., sez. III, 24 maggio 2019, n. 14168).

Piuttosto, le sentenze indicate come espressive di un diverso indirizzo, che riconoscerebbe anche agli specializzandi destinatari della borsa di studio il diritto al risarcimento del danno per mancata o ritardata attuazione da parte dello Stato italiano di direttive comunitarie, in realtà interessano i medici frequentanti le scuole di specializzazione in epoca anteriore all’anno 1991, ai quali è stato riconosciuto il diritto risarcitorio per inadempimento dello Stato italiano alla tempestiva attuazione delle direttive comunitarie 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE (come anche recentemente ribadito, con opportune precisazioni temporali, da: Cass. SU 31 luglio 2018, n. 20348; Cass. SU 27 novembre 2018, n. 30649), situazione che ha avuto termine con l’istituzione della borsa di studio.

A quest’ultima problematica – ormai superata – si riferiscono anche le richiamate sentenze di questa Corte, sez. Lav., del 22 aprile 2015, n. 8242 e n. 8243, il cui percorso argomentativo è esclusivamente fondato sulla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite 17 aprile 2009, n. 9147, la quale in riferimento all’omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie: n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE), ha affermato il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, ricondotto allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica. L’istanza di rimessione esaminata deve pertanto essere disattesa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il ricorso per cassazione, in sintesi, l’Università degli Studi di Milano censura:

1) la violazione degli artt. 99 e 100 c.p.c., del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale legittimata passiva essa Università, in ordine alla domanda di rideterminazione triennale della borsa di studio, mentre invece destinatari delle richieste avrebbero dovuto essere considerati solo i citati Ministeri essendo essa Università solo un tramite attraverso il quale si provvedeva al pagamento delle borse ai singoli medici specializzandi su fondi assegnati anno per anno dal Ministero del Tesoro.

2) la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 384 del 1992, art. 7, convertito nella L. n. 438 del 1992, della L.n. 537 del 1993, art. 3, comma 36, della L. 2 dicembre 1995, n. 549, art. 1, comma 33, (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12 della L. n. 488 del 1999, art. 22 della L. n. 289 del 2002, art. 36, del D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6 e delle Direttive nn. 82/76, 75/363, 75/362, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere erroneamente la Corte di merito riconosciuto agli specializzandi il diritto alla rideterminazione triennale delle borse di studio, parametrata all’incremento del trattamento economico previsto dal CCNL per i medici neo-strutturati del SSN nonostante il blocco della rivalutazione disposto dalla legge e in assenza di imprescindibili interventi ministeriali.

Con il ricorso incidentale, in sintesi, si denunzia:

1) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39; D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, commi 1, 2 e 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere affermato la Corte di appello la legittimazione, in ordine alle pretese azionate, anche della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dei Ministeri evocati in giudizio;

2) la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 1 D.Lgs. n. 257/1991, dell’art. art. 7 comma 5 D.L. n. 384/92 (conv. in L. n. 438/92), dell’art. 3 comma 36 L. n. 537/93, dell’art. 1 comma 33 L. n. 549/1995, dell’art. 32 comma 12 della L. n. 449 del 1997,

4

dell’art. 22 della L. n. 488 del 1999, dell’art. 3 comma 36 della L. n. 289 del 2002, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per non avere i giudici di seconde cure erroneamente riconosciuto anche l’indicizzazione annuale delle borse di studio;

3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 comma 1 D.Lgs. n. 257/91 (mancata decretazione ministeriale) in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per non avere la Corte meneghina nulla statuito in merito alle argomentazioni con le quali si era censurata la sentenza di primo grado, rispetto al profilo risarcitorio, per la mancata decretazione ministeriale, da parte dello Stato Italiano, necessaria alla concreta attuazione dell’adeguamento per la rideterminazione triennale;

4) la violazione e falsa applicazione degli artt. 37 – 39 e 46 D.Lgs. n. 368/99, della Direttiva 93/16/CE, dell’art. 11 D.Lgs. n. 370 del 1999, dell’art. 189 comma 3 Trattato CEE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte territoriale escluso qualsiasi confutazione in merito alle argomentazioni, riproposte in appello, con le quali si era censurata la pronuncia di primo grado rispetto al titolo risarcitorio per responsabilità statale da inesatta o tardiva attuazione della normativa comunitaria (Direttiva 93/16) nell’ordinamento nazionale;

5) la violazione ed errata applicazione della CGE (sent. 25.2.99 causa C-131/1997) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la Corte di merito erroneamente rigettato la domanda di applicazione retroattiva della normativa applicabile (D.Lgs. n. 368 del 1999) così determinando una disparità di trattamento tra medici specializzandi italiani e comunitari nonchè evidenziando l’inadempimento dello Stato Italiano nella corretta attuazione della Direttiva 93/16/CEE.

Il secondo motivo, da trattarsi preliminarmente per ragioni di pregiudizialità logico-giuridica, è fondato.

Devono qui confermarsi, ribadendo quanto già sopra specificato con riferimento alla disamina in ordine ai prospettati contrasti giurisprudenziali, gli orientamenti maturati presso questa Corte, in merito all’insussistenza del diritto dei medici specializzandi titolari di borsa di studio secondo la normativa di cui al D.Lgs. n. 257 del 2001, all’aggiornamento delle somme previsto da tale normativa (cui poi è succeduto, dall’anno 2007, il nuovo trattamento di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999 ed ai D.P.C.M. attuativi del 2007) e ciò sia con riferimento all’indicizzazione, sia con riferimento all’adeguamento parametrato sui miglioramenti della contrattazione collettiva, entrambi previsti dal D.Lgs. n. 257 cit., art. 6, comma 1. Rispetto all’indicizzazione, Cass. 23 febbraio 2018, n. 4449 costituisce solo l’ultimo più compiuto arresto di un orientamento in realtà mai incrinatosi, secondo cui “in tema di trattamento economico dei medici specializzandi e con riferimento alla domanda risarcitoria per non adeguata remunerazione, l’importo della borsa di studio prevista dal D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257, art. 6, non è soggetto ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita per gli anni accademici dal 1992-1993 al 2004-2005, in applicazione di quanto disposto dal D.L. n. 384 del 1992, art. 7 (ed analoghe normative successive), senza che il blocco di tale incremento possa dirsi irragionevole, iscrivendosi in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato” (così Cass. 18670/2017 cit.; tra le molte precedenti v. Cass. 26 maggio 2011, n. 11565; Cass. S.U. 16 dicembre 2008, n. 29345); sol aggiungendosi, rispetto all’assetto della normativa quale già riepilogato da Cass. 4449/2018 cit., che il blocco stabilito dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, (Legge Finanziaria 2003, secondo cui “le disposizioni del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, comma 5, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 novembre 1992, n. 438, come confermate e modificate dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 66 e 67, e da ultimo dalla L. 23 dicembre 1999, n. 488, art. 22… contenenti il divieto di procedere all’aggiornamento delle indennità, dei compensi, delle gratifiche, degli emolumenti e dei rimborsi spesa soggetti ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita, continuano ad applicarsi anche nel triennio 2003-2005 (comma 1)”) è stato poi prorogato successivamente con LA L. n. 266 del 2005, art. 1 secondo cui appunto “la L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36…. continua ad applicarsi anche nel triennio 2006-2008”, sicchè esso è rimasto operativo per tutto il periodo oggetto del presente giudizio.

Rispetto all’adeguamento agganciato all’evolversi della contrattazione collettiva, Cass. 4449/2018 cit., attraverso una dettagliata ricostruzione normativa, ha evidenziato dapprima come la L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, avesse stabilito che “a partire dal 1998 resta consolidata in Lire 315 miliardi la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio per la formazione dei medici specialisti di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257; conseguentemente non si applicano per il triennio 1998-2000 gli aggiornamenti di cui al predetto D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6, comma 1”, con dato letterale inevitabilmente destinato a riguardare entrambi gli aggiornamenti di cui alla disposizione interessata e dunque non solo l’indicizzazione, ma anche la riparametrazione ai nuovi valori della contrattazione collettiva.

E’ vero che quest’ultimo incremento era stato riconosciuto (Cass. 18 giugno 2015, n. 12624; Cass. 29 ottobre 2012, n. 18562 e Cass. 17 giugno 2008, n. 16385), sul presupposto che il blocco degli incrementi contrattuali non si fosse esteso successivamente al 31 dicembre 1993 e riguardasse solo il biennio 1992-1993, ma l’assunto è stato rivisto appunto da Cass. 4449/2018, in considerazione non tanto di una diversa interpretazione, quanto piuttosto valorizzandosi una normativa riguardante quanto meno il periodo successivo all’entrata in vigore della L. n. 449 del 1997, art. 32, comma 12, (in cui ricadono le borse di studio oggetto di questa causa) e non considerata da quei precedenti.

La predetta sentenza ha poi anche in questo caso richiamato – a nulla evidentemente valendo la normativa che abbia aumentato il fondo non in ragione della necessità di aggiornamenti, ma per il finanziamento tout court degli incrementi alla platea dei medici specializzandi (D.L. n. 90 del 2001, art. 1 conv. in L. n. 188 del 2001) – il già citato disposto della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 36, comma 1, nella parte che qui interessa ed in cui si è stabilito che l’ammontare delle borse di studio “a carico del Fondo sanitario nazionale rimane consolidato nell’importo previsto dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 32, comma 12, e successive modificazioni”, con previsione che anche in questo caso è stata prorogata per il triennio 2006-2008 dal già citato L. n. 266 del 2005, art. 1.

La fondatezza del motivo ora esaminato rende superflua la questione sulla legittimazione attiva, di cui al primo motivo del ricorso principale, la cui trattazione resta assorbita.

Per ragioni di connessione, devono ora essere esaminati dapprima il secondo, terzo quarto e quinto motivo del ricorso incidentale.

Gli stessi sono infondati sebbene le argomentazioni della Corte di merito debbano essere integrate, ex art. 384 c.p.c., u.c. essendo il dispositivo della gravata sentenza conforme a legge.

Il secondo ed il terzo motivo sono infondati alla stregua delle argomentazioni sopra riportate in ordine all’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale.

Il quarto motivo, riguardante la questione sul risarcimento dei danni da inesatta o tardiva attuazione della direttiva 93/16, è parimenti infondato.

L’indirizzo espresso da questa Sezione, con le sentenze n. 794 del 2014 e n. 15362 del 2014 e recepito anche da altre Sezioni di questa Corte, cui si intende dare continuità, è nel senso che il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto una adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell’ordinamento interno in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la L. 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (che ha riconosciuto agli specializzandi una borsa di studio pari ad Euro 11.603,52 annui) e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999. Quest’ultimo decreto, nel recepire la direttiva CEE n. 93/16 (che ha codificato, raccogliendole in un testo unico, le precedenti direttive n. 75/362 e n. 75/363 con le relative successive modificazioni) ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione da stipulare, e rinnovare annualmente tra Università e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti: contratto che, come si è detto, non dà luogo ad un rapporto di lavoro subordinato.

Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica è stato in concreto fissato con i D.P.C.M. 7 marzo, D.P.C.M. 6 luglio e D.P.C.M. 2 novembre 2007. Per gli iscritti alle scuole di specializzazione negli anni accademici precedenti al 2006-2007 è stato espressamente disposto che continuasse ad operare la precedente disciplina di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (sia sotto il profilo ordinamentale che economico). La Direttiva CEE n. 93/16 (che costituisce, dichiaratamente, un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti) non ha d’altra parte carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscersi agli iscritti alle scuole di specializzazione. La previsione di una adeguata remunerazione per i medici specializzandi è, infatti, contenuta nelle precedenti direttive n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 (le cui disposizioni la direttiva n. 96/16 si limita a recepire e riprodurre senza alcuna modifica) e i relativi obblighi risultano già attivati dallo Stato Italiano con l’introduzione della borsa di studio di cui al D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257.

L’importo della predetta borsa di studio è da ritenersi di per sè sufficiente ed idoneo adempimento agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto agli indicati obblighi comunitari, rimasti immutati dopo la direttiva n. 93/16, quanto meno sotto il profilo economico, come confermano le pronunce di legittimità che ne hanno riconosciuto l’adeguatezza nella sua iniziale misura, anche a prescindere dalle questioni connesse alla svalutazione monetaria.

Il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999 ed il relativo meccanismo di retribuzione non possono, pertanto, ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi.

L’inadempimento dell’Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l’emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991 di talchè non è ipotizzabile un risarcimento del danno da inadempimento agli obblighi, per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, derivanti dalle direttive comunitarie (cfr. Cass. 14.3.2018 n. 6355; Cass. 29.5.2018 n. 13445).

Anche il quinto motivo, infine, è infondato.

La disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dal D.Lgs. n. 368 del 1999, art. 39 si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti; tale diversità di trattamento non è irragionevole, in quanto il legislatore è libero di differire gli effetti di una riforma ed il fluire del tempo costituisce di per sè idoneo elemento di diversificazione della disciplina, nè sussiste disparità di trattamento tra i medici specializzandi iscritti presso le Università Italiane e quelli iscritti in scuole di altri paesi Europei, atteso che le situazioni giuridiche non sono comparabili, non avendo la Direttiva 93/16/CEE previsto o imposto uniformità di disciplina e di trattamento economico, o disparità di trattamento con i medici neoassunti che lavorano nell’ambito del SSN, non comparabili in ragione delle peculiarità del rapporto che si svolge nell’ambito della formazione specialistica (cfr. Cass. 23.2.2018 n. 4449; Cass. 14.3.2018 n. 6355). La trattazione del primo motivo del ricorso incidentale, infine, resta assorbita dalla rilevata infondatezza delle pretese dei medici oggetto del presente procedimento.

Alla stregua di quanto esposto, quindi, deve essere accolto il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo; il ricorso incidentale deve essere rigettato; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, le domande proposte dai medici con il ricorso introduttivo devono essere rigettate.

Le spese dell’intero processo vanno compensate avuto riguardo alla complessa stratificazione del quadro normativo delineatosi in ordine agli aggiornamenti delle borse di studio dei medici iscritti alle scuole di specializzazione.

Sussistono i presupposti per la condanna al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, per i ricorrenti incidentali.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta le domande proposte dai medici con il ricorso introduttivo. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

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