Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1903 del 25/01/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 25/01/2017, (ud. 26/10/2016, dep.25/01/2017),  n. 1903

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12116-2011 proposto da:

B.G. C.F. (OMISSIS), BO.EN. C.F. (OMISSIS),

C.A. C.F. (OMISSIS), S.R. C.F. (OMISSIS),

CO.GI. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato PIER LUIGI PANICI, che

li rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

ACEA ATO 5 S.P.A. C.F. (OMISSIS), già ATO 5 FROSINONE S.P.A.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 161,

presso lo studio dell’avvocato SANTE RICCI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA DI FRANCESCO, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

nonchè contro

OBIETTIVO LAVORO S.C.R.L.;

REGIONE LAZIO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4136/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/05/2010 R.G.N. 4678/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/10/2016 dal Consigliere Dott. GHINOY PAOLA;

udito l’Avvocato GUGLIELMI CARLO per delega orale Avvocato PANICI

PIER LUIGI;

udito l’Avvocato DI FRANCESCO ANDREA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.G. ed altri 4 litisconsorti adivano il Tribunale di Frosinone ed esponevano di aver lavorato dall’8/9/1999 al 28/2/2003 ininterrottamente presso il servizio idrico di Frosinone e provincia, in virtù di reiterati contratti a termine con la regione Lazio e poi con contratti di lavoro temporaneo con Obiettivo lavoro s.p.a., con le stesse qualifiche, mansioni e tipologia di lavoro. Riferivano altresì che a far data dal 22/5/2003 era subentrata nella gestione del servizio la società Ato 5 Frosinone s.p.a. (poi Acea Ato 5 s.p.a.). Chiedevano che venisse accertata l’illegittimità del termine apposto a tutti i contratti, degli ultimi anche per violazione della L. n. 196 del 1997, nonchè l’avvenuta cessione di ramo d’azienda relativamente alla gestione della rete idrica, e quindi in ragione della stessa dichiararsi l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno e di durata indeterminata tra i ricorrenti e Ato 5 Frosinone S.p.A., nonchè la condanna della regione Lazio per il periodo sino al 22/5/2003 e per il periodo successivo Ato 5 Frosinone s.p.a., solidalmente con la regione Lazio, al pagamento in loro favore, anche a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni maturate sino al ripristino dell’attività lavorativa.

Il Tribunale adito con sentenza del 23/7/2007 accoglieva parzialmente i ricorsi e, accertata l’illegittimità del termine apposto ai contratti intercorsi, condannava la regione Lazio a corrispondere ai ricorrenti una somma corrispondente alle retribuzioni maturate dalla fine del contratto di lavoro al subentro di Ato Frosinone 5 s.p.a., rigettando tutte le altre domande.

La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 4136 del 2010, rigettava l’appello proposto dai lavoratori. Per quello che qui ancora rileva, la Corte argomentava che a fronte del divieto di conversione del contratto alle dipendenze della p.a. con termine illegittimo previsto dal D.Lgs n. 165 del 2001, art. 36, comma 5, il meccanismo risarcitorio ivi previsto fosse adeguato a prevenire e se del caso a sanzionare l’abuso, sicchè la domanda volta ad ottenere nei confronti della regione Lazio la conversione del contratto a termine, ove anche effettivamente proposta, non avrebbe potuto comunque trovare accoglimento. Inoltre, alla data della convenzione di gestione del servizio idrico tra la regione Lazio e la società Acea Ato 5 s.p.a., i contratti a termine erano definitivamente cessati sia di fatto (le prestazioni lavorative erano state svolte sino al 28/2/2003), sia di diritto, in ragione dell’impossibilità di conversione dei rapporti a tempo indeterminato, senza quindi che potesse trovare applicazione il disposto dell’art. 2112 c.c..

Per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso B.G. gli altri litisconsorti, affidandolo ad un unico articolato motivo, cui ha resistito con controricorso Acea Ato 5 s.p.a.; Obiettivo lavoro S.p.A. e la Regione Lazio sono rimasti intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. A fondamento del ricorso, vengono dedotte la violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 31 e 36, della Direttiva 1999/70/CE, nonchè dell’art. 2126 c.c.; la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c.; la contraddittorietà e omissività della motivazione su un punto controverso e decisivo per il giudizio.

I ricorrenti ribadiscono la tesi della traslazione del rapporto di lavoro ad Ato 5 s.p.a. ex art. 2112 c.c., disattesa dalla Corte territoriale.

Lamentano in primo luogo che la Corte d’appello abbia ritenuto che fosse stata proposta una domanda di costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la regione Lazio, mentre tale era la causa petendi per l’applicazione delle conseguenze previste dall’art. 2112 c.c. e dei suoi effetti con il cessionario.

Aggiungono che il rapporto intercorso è stato un regolare contratto di lavoro con la regione Lazio, cui si applica L. n. 196 del 1997 la L. n. 230 del 1962, nonchè la direttiva 1999/70/CE, con la conseguenza che il contratto permane e, ai sensi dell’art. 1419 c.c., cade solo la clausola nulla, ovverosia quella appositiva del termine. Il divieto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, non determinerebbe quindi alcuna previsione di nullità del rapporto nè alcuna deroga al principio di cui al richiamato art. 1419 c.c. e non avrebbe effetto sul diritto sostanziale, ma solo sul rimedio processuale, impedendo al giudice di costituire rapporti con la p.a. ma non esonerandolo dall’ emettere un provvedimento che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela del lavoratore rispetto al settore privato. Nel caso, pertanto, dalla violazione delle leggi in materia di lavoro a termine e dalla parziale nullità delle clausole appositive del termine stesso, nonchè dall’avvenuta cessione di ramo d’azienda dall’ente pubblico a soggetto integralmente privato, doveva discendere il diritto dei ricorrenti alla prosecuzione del rapporto, anche ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 31, che prevede che “nel caso di trasferimento o conferimento di attività svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l’art. 2112 c.c. e si osservano le procedure di informazione di consultazione di cui alla L. 29 dicembre 1990, n. 428, art. 47, commi da 1 a 4”.

2. Il ricorso non è fondato.

2.1. Occorre premettere che la Corte territoriale non ha ritenuto che le parti avessero chiesto la conversione del rapporto a tempo indeterminato con la Regione Lazio, ma ha argomentato che la domanda ex art. 2112 c.c., non potesse essere accolta per difetto della sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in atto al momento della successione nell’esercizio del servizio idrico.

2.2. La soluzione è corretta.

Circostanza di fatto incontestata è che i rapporti di lavoro a tempo determinato fossero cessati in data anteriore alla successione di Acea Ato 5 nella gestione del servizio idrico. Nel caso, non si è verificato quindi un licenziamento determinato dal trasferimento d’azienda (ipotesi contemplata e preclusa dall’art. 2112 c.c., comma 4), ma è giunta a scadenza anteriormente alla cessione una successione di contratti a termine. Questa Corte ha in proposito in più occasioni ribadito infatti la differenza ontologica che intercorre tra il licenziamento e l’atto ricognitivo con il quale il datore di lavoro, allo scopo di evitare la rinnovazione tacita del contratto, comunica al dipendente la scadenza del termine illegittimamente apposto (v. Cass. n. 23756 del 10/11/2009, n. 6100 del 17/03/2014, n. 16545 del 2016).

2.3. La Corte territoriale, condividendo la soluzione del Tribunale, ha quindi fatto conseguire all’illegittimità del termine le conseguenze di ordine risarcitorio che, sole, possono derivarne nel caso di rapporto di lavoro a termine con una pubblica amministrazione, qual è la Regione Lazio, con soluzione che è stata ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 5072 del 15/03/2016, e successivamente ord. Sez. 6 – L, ord., n. 16095 del 02/08/2016), imposta dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 36, comma 5, (disposizione ritenuta dalla Corte Costituzionale non in contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto giustificata dal principio dell’accesso mediante concorso – enunciato dall’art. 97 Cost., a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione; v. sent. 27 marzo 2003, n. 89 e, in termini, C.Cost. sentenze n. 190 del 2005, n. 205 e n. 34 del 2004 e n. 1 del 1999).

Nè in tale soluzione è ravvisabile un contrasto con la Direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, considerato che la Corte di Giustizia UE ha ribadito in più occasioni che spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine (anche diverse dalla conversione del rapporto a tempo indeterminato), purchè rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme adottate in attuazione dell’ Accordo quadro (v. da ultimo Ord. 12 dicembre 2013, Papalia, C-50/13, nonchè sent. sez. 2, 7 settembre 2006, causa n. 53/03, Marrosu e Sardino, sez. 3^ 7 settembre 2006, causa 180/04, Vassallo, 4 luglio 2006, grande sez., causa n. 212/04, Adeneler).

Nel caso, quindi, la cessazione di fatto e di diritto del rapporto di lavoro con termine illegittimo anteriormente alla cessione d’azienda imponeva, per il rispetto della richiamata normativa sovranazionale, il riconoscimento di un risarcimento equivalente, adeguato ed effettivo, ma non determinava il subentro del cessionario del servizio ex art. 2112 c.c., comma 1, in un rapporto di lavoro che non era più esistente.

Nè in causa è fatta oggetto di specifica censura l’adeguatezza in termini economici del risarcimento del danno da illegittima apposizione del termine contrattuale, come liquidato dai giudici di merito in favore dei ricorrenti.

5. Il ricorso deve quindi essere rigettato, con la condanna dei soccombenti al pagamento delle spese del giudizio nei confronti della controparte costituita in giudizio, liquidate come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore di ACEA ATO 5, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 100,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Nulla sulle spese nei confronti di Obiettivo Lavoro s.p.a. e della Regione Lazio.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2017

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