Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19029 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. un., 06/07/2021, (ud. 08/06/2021, dep. 06/07/2021), n.19029

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CASSANO Margherita – Presidente Aggiunto –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente di Sez. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2262/2021 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PESCARA, PROCURATORE GENERALE

PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 244/2020 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE,

depositata il 18/12/2020.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/06/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

lette le conclusioni scritte dell’Avvocato Generale Dott. FRANCESCO

SALZANO, il quale chiede che le Sezioni Unite della Corte di

cassazione vogliano dichiarare il ricorso inammissibile.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con un esposto presentato al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Pescara l’avv. R.A. chiese che fosse valutato, a fini disciplinari, il comportamento tenuto dall’avv. S.L.. L’esponente osservò che nell’ambito di un procedimento penale promosso a suo carico a seguito di querela presentata da tale T.V., assistita dall’avv. S. – procedimento penale che era stato poi archiviato – egli aveva rinvenuto nel fascicolo del Pubblico Ministero una corrispondenza intercorsa tra lui e l’avv. S.. In particolare, l’avv. R. lamentò che il collega aveva prodotto, a corredo della querela suindicata, la copia di una e.mail contenente una proposta transattiva, inviata dal primo al secondo, nella quale non compariva più la dicitura “riservata professionale”, apposta dall’avv. R. in occasione dell’invio.

A seguito di tale esposto il C.O.A. di Pescara deliberò l’apertura del procedimento disciplinare a carico dell’avv. S.L., per l’incolpazione di cui agli artt. 5 e 28 del Codice deontologico forense. Il capo di incolpazione ipotizzava, appunto, che il professionista avesse consegnato alla T., sua assistita, una corrispondenza riservata intercorsa col collega avv. R.; e che tale attività egli avesse compiuto venendo meno ai doveri di probità, dignità e decoro, alterando preventivamente il testo della missiva in modo che non risultasse più la dicitura “riservata professionale”.

Il C.O.A., sentito come teste l’avv. R., ritenne l’avv. S. responsabile dell’incolpazione a lui ascritta e gli irrogò la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per mesi due.

2. La pronuncia è stata impugnata dall’avv. S. e il Consiglio nazionale forense, con sentenza del 18 dicembre 2020, ha rigettato il gravame.

2.1. Il C.N.F. ha innanzitutto respinto l’istanza dell’avv. S. con la quale era stato chiesto il rinvio dell’udienza dibattimentale per suoi concomitanti impegni professionali ovvero, in alternativa, la trattazione dell’udienza con modalità “da remoto”. Quanto alla trattazione da remoto, il C.N.F. ha osservato che quella modalità non era nè prevista nè possibile, come già comunicato al professionista in data precedente. L’impedimento professionale, poi, non poteva comunque essere considerato assoluto, posto che in sede civile un avvocato può sempre scegliere di farsi sostituire; e l’udienza era fissata per le ore 15, il che avrebbe consentito all’avv. S. di raggiungere ugualmente Roma in tempo utile, partendo da Pescara.

2.2. Dopo di ciò, il C.N.F. ha respinto l’eccezione di prescrizione dell’illecito disciplinare. Ha osservato, in proposito, che la previsione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 65, comma 5, secondo cui le norme del nuovo codice deontologico forense si applicano anche ai procedimenti in corso, se più favorevoli, riguarda solo la successione nel tempo delle norme deontologiche e non l’istituto della prescrizione. Avendo quest’ultima, infatti, fondamento legale, vale il principio di non retroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, con conseguente inapplicabilità dello ius superveniens di cui alla L. n. 247 del 2012, art. 56, comma 3. Dovendosi quindi applicare la prescrizione quinquennale di cui al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 51, la stessa non era decorsa; l’illecito, infatti, risaliva ad una data compresa tra il 10 maggio e l’11 giugno 2012 e la prescrizione era stata interrotta da vari atti, con cadenza annuale e triennale, fino al deposito della decisione del C.O.A. in data 19 giugno 2017.

2.3. Passando all’esame del merito, il C.N.F. ha ritenuto infondati entrambi i motivi di censura.

Il primo motivo, avente ad oggetto l’insufficiente esame delle prove dedotte, è stato rigettato, sul rilievo che lo stesso avv. S. non aveva insistito per l’escussione dei testi in sede dibattimentale. Nessuna nullità, inoltre, era ravvisabile nella decisione impugnata, dal momento che il Consiglio dell’ordine territoriale aveva correttamente valutato le prove documentali a sua disposizione. La tesi dell’avv. S. secondo la quale il messaggio in questione era stato recapitato nella sua casella di posta elettronica ordinaria e non alla PEC – e per tale ragione poteva essere facilmente manipolata – è apparsa al C.N.F. priva di ogni verosimiglianza. Il messaggio di posta elettronica, infatti, sia per posta ordinaria che per posta certificata, “non può essere modificato dal mittente dopo il suo invio, se non da parte di esperti informatici, e ricorrendo a procedimenti di particolare complessità”. D’altra parte, ad avviso del C.N.F., il C.O.A. aveva correttamente valutato i documenti acquisiti, dai quali risultava l’evidente fondatezza dell’accusa disciplinare.

Il secondo motivo è stato rigettato, in parte con considerazioni analoghe a quelle già dette. Oltre a ciò, il C.N.F. ha ricordato che all’avv. S. era stato contestato non di aver prodotto in giudizio la corrispondenza riservata, quanto piuttosto di aver consegnato quella lettera alla propria cliente.

3. Contro la sentenza del C.N.F. propone ricorso l’avv. S.L. con atto affidato a quattro motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Fissato per l’udienza pubblica dell’8 giugno 2021, il ricorso è stato trattato in Camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di Conversione 18 dicembre 2020, n. 176, senza l’intervento del Procuratore generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale.

Il Procuratore generale presso questa Corte ha rassegnato conclusioni per iscritto, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione del principio del contraddittorio, sul rilievo che il C.N.F. avrebbe ingiustamente rigettato la richiesta di trattazione dell’udienza da remoto e non riconosciuto l’impegno professionale consistente nella partecipazione a due udienze civili “precisamente indicate e documentate” alle quali il ricorrente doveva partecipare a Pescara. La doglianza comporterebbe la nullità della sentenza.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente, infatti, si limita genericamente a segnalare la presunta violazione del principio del contraddittorio, senza confrontarsi con il contenuto della sentenza impugnata e con le ragioni ivi indicate dal C.N.F. per il rigetto della richiesta di rinvio. La sentenza, come si è detto, ha osservato che l’udienza da remoto non si poteva tenere per ragioni tecnico-organizzative e che l’impedimento professionale addotto dall’avv. S. non era assoluto, posto che egli avrebbe potuto farsi sostituire da un collega nello svolgimento delle udienze civili e che, comunque, egli sarebbe potuto arrivare a Roma entro le ore 15, in modo da conciliare gli impegni professionali con la partecipazione all’udienza disciplinare.

La censura non si preoccupa di confutare in alcun modo questa motivazione la quale, tra l’altro, è in linea con la consolidata giurisprudenza di queste Sezioni Unite (così, da ultimo, la sentenza 3 novembre 2020, n. 24377).

2. Con il secondo motivo di ricorso si sostiene che l’illecito disciplinare era da considerare prescritto, facendo applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 56, comma 3, norma più favorevole valevole anche per i procedimenti in corso.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Osserva la Corte, innanzitutto, che la sentenza del C.N.F. è in linea con l’ormai pacifica giurisprudenza di queste Sezioni Unite, secondo cui le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense hanno natura amministrativa sicchè, con riferimento al regime giuridico della prescrizione, non è applicabile lo ius superveniens, ove più favorevole all’incolpato. Ne consegue che il punto di riferimento per l’individuazione del regime della prescrizione dell’azione disciplinare è e resta la commissione del fatto o la cessazione della sua permanenza ed è a quel momento, quindi, che si deve avere riguardo per stabilire la legge applicabile (così, fra le altre, le sentenze 18 aprile 2018, n. 9558, 28 ottobre 2020, n. 23746, e 13 maggio 2021, n. 12902, punto 3.2.1. della motivazione).

Ciò premesso, le Sezioni Unite rilevano che la censura, che sarebbe comunque da respingere in base alla citata giurisprudenza, è preliminarmente inammissibile perchè, nel ribadire una tesi giuridica priva di fondamento, neppure si fa carico di dimostrare per quale ragione l’illecito disciplinare dovrebbe considerarsi prescritto facendo applicazione della norma invocata; il che significa, in altri termini, che la Corte non è stata posta in condizione di valutare neppure in astratto l’ipotetica fondatezza della censura.

3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta mancata audizione, in sede dibattimentale, dei testimoni indicati, quale “motivo di nullità della decisione iniziale che si estende alla fase successiva”.

3.1. Il motivo è inammissibile per una serie di concorrenti ragioni.

Si deve innanzitutto ripetere, anche con riguardo a questa censura, quanto già detto a proposito del primo motivo, e cioè che il ricorrente non si confronta in alcun modo con la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale ha osservato, tra l’altro, che l’avv. S. non aveva insistito per l’escussione dei testi in sede dibattimentale.

Oltre a ciò, la censura è inammissibile perchè si limita a dedurre un’ipotetica nullità della sentenza impugnata per avere il C.N.F. omesso di escutere i testimoni indicati; ma nulla si dice, nel motivo in esame, sulle circostanze e sui capitoli di prova intorno ai quali i testimoni avrebbero dovuto essere chiamati a deporre, per cui la censura si presenta priva della minima consistenza e rilevanza (v., in ordine alla mancata ammissione della prova testimoniale richiesta, la recente sentenza 4 marzo 2021, n. 6004, punto 3.3. della motivazione).

4. Con il quarto motivo di ricorso si lamenta illogica, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, sostenendo che essa avrebbe accolto in modo apodittico le argomentazioni dell’avv. R., “non suffragate da prove empiriche e certe”, senza considerare che sarebbe stato quest’ultimo ad apporre, successivamente, la dicitura “riservata professionale”, allo scopo di precostituirsi una prova a discarico nel procedimento penale promosso a suo carico a seguito della querela della T..

4.1. Il motivo è inammissibile.

La censura, infatti, insiste nel ribadire la propria versione dei fatti, che il C.N.F. ha ritenuto invece priva di fondamento; e, senza tenere in considerazione le argomentazioni utilizzate nella sentenza impugnata per pervenire alla decisione, si risolve nell’evidente tentativo di sollecitare in questa sede un diverso e non consentito esame del merito.

5. Il ricorso, pertanto, è dichiarato inammissibile.

Non occorre provvedere sulle spese, atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

Sussistono tuttavia le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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