Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19024 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 31/07/2017, (ud. 07/02/2017, dep.31/07/2017),  n. 19024

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28020/2014 proposto da:

S.G.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CASSIODORO 6, presso lo studio dell’avvocato GIANNA

BALDONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARCO

PETROCELLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.A.I. – COMPAGNIA AERONAUTICA ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI 41, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE GUANCIOLI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3109/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/06/2014 R.G.N. 5528/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELENTANO Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARCO PETROCELLI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GUANCIOLI.

Fatto

FATTI DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Velletri del 24.6.2010, poi riassunto al Tribunale di Roma per competenza territoriale, S.G.M. agiva nei confronti della società COMPAGNIA AERONAUTICA ITALIANA (in prosieguo, C.A.I.) spa per l’accertamento della illegittimità del licenziamento per raggiunti limiti di età intimatogli in data 7.4.2009 con decorrenza dal 15.1.2010, deducendone la natura discriminatoria e ritorsiva nonchè la illegittimità in ragione dell’esercizio della opzione per il proseguimento della attività lavorativa sino al 65^ anno di età.

In via subordinata chiedeva accertarsi il suo diritto al computo del preavviso dal 60^ ano di età o dalla fine della malattia o, in via ulteriormente gradata, il diritto al differimento del licenziamento sino al raggiungimento della “finestra” di accesso alla pensione.

Agiva altresì per l’annullamento della sanzione disciplinare della multa irrogatagli nel dicembre 2009, per la condanna della società al pagamento di indennità e premi e per il risarcimento del danno alla salute ed alla personalità.

Il Giudice del Lavoro, con sentenza del 21.5.2012 (nr. 9039/2012), annullava la sanzione disciplinare e rigettava le ulteriori domande.

La Corte d’appello di Roma, pronunziando sull’appello del lavoratore e sull’appello incidentale di C.A.I. spa, con sentenza del 28.3- 9.6.2014 (nr. 3109/2014), in accoglimento parziale dell’appello principale condannava CAI spa al pagamento delle differenze di retribuzione sui premi di rendimento; rigettava gli ulteriori motivi dell’appello principale e l’appello incidentale.

Per quanto rileva nella presente sede, la Corte territoriale osservava che la C.A.I. era una società costituita ai sensi dell’art. 25 L. 124/2007, svolgente una attività economica simulata, essendo una società di copertura dei servizi segreti, come accertato in primo grado all’esito della produzione, ai sensi della L. n. 124 del 2007, art. 42, comma 8, degli atti regolamentari del Governo disciplinanti la società.

Non erano applicabili le norme sulle società private ma le normative emanate con decreti della presidenza del Consiglio e le direttive del Presidente del Consiglio, alle quali era apposta la qualifica di segretezza ai sensi della L. n. 124 del 2007, art. 42.

La documentazione era stata prodotta nel primo grado (udienza del 18.7.2011) su richiesta della società dell’ordine di esibizione; nella udienza successiva alla produzione (udienza del 14.11.2011) il difensore della controparte non aveva svolto deduzioni nonostante la concessione di apposito termine.

Ai sensi dell’art. 744 c.n., art. 746 c.n., u.c., art. 748 c.n., non era applicabile l’ordinaria disciplina del rapporto di lavoro ma quella regolamentare emanata con D.P.C.M.; quest’ultima prevedeva la risoluzione automatica del rapporto di lavoro del comandante-pilota al raggiungimento del 60^ anno di età; trattandosi di risoluzione automatica e di impossibilità giuridica sopravvenuta della prestazione non trovavano applicazione le norme sul preavviso e sulla malattia.

Era esclusa la possibilità di reimpiego, trattandosi di risoluzione ope legis, vincolante per la stessa società.

La domanda per i compensi di reperibilità eccedenti il limite massimo giornaliero ed annuale, per la mancata fruizione dei riposi compensativi e per il risarcimento del danno consequenziale era infondata; la reperibilità costituiva una modalità ordinaria di svolgimento delle prestazione: la società non effettuava voli di linea ma solo a richiesta e le ore effettive di volo svolte dal S., dedotte in memoria difensiva e non contestate, erano di gran lunga inferiori a quelle dei piloti dei voli ordinari di linea. La retribuzione corrisposta era largamente più elevata rispetto a quella dei piloti ordinari proprio perchè teneva conto delle numerose ore di reperibilità richieste. Inoltre per la specialità della disciplina non erano applicabili le norme regolatrici della attività ordinaria dei piloti.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza S.G.M., articolato in sette motivi ed illustrato con memoria. Ha resistito con controricorso CAI spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – nullità del procedimento per violazione dell’art. 416, commi 2 e 3, art. 437 c.p.c., art. 2697 c.c., L. n. 124 del 2007, art. 42, commi 5 ed 8.

Ha esposto che la inapplicabilità della disciplina del rapporto di impiego privato, per essere C.A.I. spa una società di copertura dei servizi segreti, costituiva oggetto di una eccezione in senso stretto, che avrebbe dovuto essere proposta, a pena di decadenza, nella memoria di costituzione.

La società si era invece limitata a dedurre nella memoria difensiva di avere natura giuridica “più propriamente pubblica” senza eccepire la inapplicabilità della disciplina di diritto comune nè contestare lo svolgimento anche di attività commerciale di natura privata, deduzioni ed eccezioni sollevate solo nella memoria difensiva in sede di appello.

La disciplina dell’art. 42 L. 124/2007, in materia di classifica di segretezza di determinati documenti, poneva vincoli alla loro produzione ma non esimeva C.A.I. dal formulare tempestive contestazioni nella memoria di costituzione e dal proporre la eccezione di inapplicabilità della normativa sull’impiego privato.

La maggior parte dei documenti prodotti tardivamente da CAI, inoltre, non recava la classifica di “riservato” e quindi avrebbe potuto essere prodotta tempestivamente, non occorrendo la autorizzazione del giudice: tra questi documenti vi era il regolamento allegato al D.P.C.M. 9 settembre 2008, sui limiti di impego del personale navigante, sul quale si fondava la affermata risoluzione del rapporto di lavoro ope legis, che era stato già allegato al ricorso di primo grado, come documento nr. 19.

Il motivo è infondato.

La individuazione della disciplina legale applicabile al rapporto di lavoro non costituisce oggetto di una eccezione di parte, trattandosi della attività di individuazione della norma regolatrice della fattispecie di causa rimessa esclusivamente al giudicante.

Gli oneri di C.A.I. spa erano dunque unicamente quelli di tempestiva allegazione dei fatti rilevanti ai fini della corretta individuazione della disciplina applicabile.

Sotto questo profilo C.A.I. aveva tempestivamente allegato nella memoria di costituzione di avere natura pubblica, svolgendo un servizio pubblico a supporto di funzioni istituzionali della pubblica amministrazione e di organi dello Stato e di essere sottoposta ad una disciplina speciale recata da atti “classificati” ovvero coperti da segreto. La allegazione nella memoria di costituzione in appello di essere una società di copertura dei servizi segreti non introduceva un fatto nuovo ma era meramente esplicativa della deduzione, tempestivamente compiuta, della specialità della disciplina e della sua natura classificata.

Ogni questione si pone, dunque, unicamente in ordine alla ritualità della acquisizione nel corso del giudizio di primo grado dei documenti a sostegno della (tempestiva) allegazione.

Sotto questo profilo è inammissibile per difetto di interesse la censura della tardività della produzione del D.P.C.M. 9 settembre 2008, posto dalla Corte di merito a fondamento della decisione, trattandosi di un documento già acquisito in causa, perchè allegato al ricorso introduttivo dalla stessa parte ricorrente.

Quanto agli ulteriori documenti, è preclusivo il rilievo che, trattandosi di documentazione acquisita nel corso del giudizio di primo grado, la eventuale irritualità della acquisizione avrebbe dovuto essere dedotta con specifico motivo di appello.

Sotto questo profilo la denunzia difetta di specificità perchè non indica nè quale specifico documento posto a base della sentenza sarebbe stato acquisito irritualmente nè il motivo di appello svolto sul punto, richiamando, piuttosto, nella generale esposizione dei contenuti dell’appello, le censure sul merito della decisione assunta dalla Corte territoriale.

La sentenza non tratta di tale preteso vizio di acquisizione documentale, limitandosi a dare atto del difetto di contestazione del contenuto dei documenti acquisiti.

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio.

Ha dedotto il mancato esame in sentenza del bilancio e della relazione al bilancio di CAI spa (documenti depositati in allegato alle note autorizzate nel primo grado per l’udienza del 14.11.2011), che evidenziavano un utile di bilancio per gli esercizi 2010 e 2009. La circostanza era stata esposta nell’atto di appello (pagine 66 e 67) ed aveva carattere decisivo circa la esistenza di una attività privata in aggiunta a quella pubblica.

Il motivo è infondato.

Il fatto non esaminato dalla Corte di merito è privo di decisività rispetto alla natura simulata della attività economica di C.A.I. spa accertata dalla Corte di merito; tanto in coerenza con la L. n. 124 del 2007, art. 25, che prevede l’esercizio di attività economiche simulate sia nella forma di imprese individuali sia nella forma di società di qualunque natura sicchè la dichiarazione di utili di bilancio trova ragionevole giustificazione nella simulazione della attività di impresa.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 124 del 2007, art. 25, degli artt. 744, 746 e 748 c.n., dei D.P.C.M. 17 maggio 2006, e D.P.C.M. 9 settembre 2008, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, e art, 51, degli artt. 4, 12 e 14 preleggi.

Il ricorrente ha censurato la statuizione di inapplicabilità al rapporto di lavoro alle dipendenze di CAI spa della disciplina legale in tema di licenziamento, a seguito della qualificazione dei suoi voli come voli di Stato.

Ha dedotto che l’art. 747 c.n. (rectius: art. 746), comma 4, demanda a decreti del Presidente del Consiglio la definizione dei criteri e modalità per la attribuzione della qualifica di volo di Stato alla attività di volo esercitata nell’interesse delle autorità ed istituzioni pubbliche e non anche la disciplina del rapporto di lavoro.

L’art. 748 c.n., poi, stabilisce la inapplicabilità ai voli di stato ed ai voli equiparati della disciplina del codice della navigazione e non anche delle norme sul rapporto di lavoro, in particolare in tema di licenziamento.

Il D.P.C.M. 15 luglio 2006, emanato ai sensi dell’art. 744 c.n. (di cui non poteva offrirsi la produzione per non essere stata autorizzata la estrazione di copia),equiparava i voli della C.A.I. ai voli di Stato ma nella premesse dava atto che la compagnia C.A.I. spa era costituita quale società privata secondo le regole del codice civile ed esercitava attività aerea secondo le disposizioni del codice della navigazione ed ogni altra normativa concernente tale tipologia di trasporto.

IL D.P.C.M. 9 settembre 2008, che approvava il regolamento sui limiti di impiego del personale navigante (all. 19 del ricorso di primo grado), prevedeva per il pilota il limite di età dei 60 anni ma non la risoluzione automatica del rapporto di lavoro; la norma non costituiva una deroga imperativa alle norme ordinarie in materia di licenziamento, preavviso e malattia.

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 4,12 e 14 preleggi, art. 2118 c.c., L. n. 604 del 1966, art. 1,L. n. 300 del 1970, art. 18.

La censura afferisce alla ritenuta imperatività della risoluzione ope legis del rapporto di lavoro, con conseguente impossibilità di impiego del dipendente in mansioni diverse.

Il ricorrente ha dedotto che neppure il raggiungimento dell’età massima lavorativa determinava la risoluzione del rapporto ipso iure; essa facultava il datore di lavoro ad intimare il recesso ad nutum con preavviso, con decorrenza del preavviso dal compimento del 60^ anno di età.

Alla data suddetta l’ENAC aveva elevato a 65 anni l’età massima per il pilotaggio sicchè non vi era il giustificato motivo di recesso.

Sussisteva in ogni caso l’obbligo di repechage ed il conseguente onere, a carico del datore di lavoro, di allegazione e prova della impossibilità di reimpiego.

Il terzo e quarto motivo, in quanto connessi, devono essere esaminati congiuntamente.

Gli stessi sono infondati.

E’ incontroversa la qualificazione degli aeromobili di C.A.I. spa come aeromobili equiparati agli aeromobili di Stato in forza del D.P.C.M. 15 luglio 2006, ed ai sensi dell’art. 744 c.n., u.c..

Ai suddetti aeromobili non si applicano (salvo diversa disposizione) le norme del codice della navigazione, come dispone l’art. 748 c.n., comma 1.

Ai sensi dell’art. 748 c.n., comma 3, lo svolgimento delle operazioni di volo da parte degli aeromobili equiparati agli aeromobili di Stato è effettuato garantendo un adeguato livello di sicurezza, individuato secondo le speciali regolamentazioni adottate dalle competenti Amministrazioni dello Stato.

Con D.P.C.M. 9 settembre 2008, è stato approvato, in attuazione dell’art. 748, comma 3 citato, il “regolamento sui limiti di impiego del personale navigante di CAI spa”.

Le disposizioni del regolamento sostituiscono la disciplina del codice della navigazione e sono altresì prevalenti rispetto alla disciplina comune del rapporto di lavoro: trattasi di fonte di rango primario, giacchè integrativa del precetto dell’art. 748 c.n., comma 3 (che contiene un rinvio recettizio) nonchè di natura inderogabile, poichè diretta a garantire un adeguato livello di sicurezza dei voli nell’interesse della sicurezza nazionale (cf. art. 744 c.n., u.c.).

Nell’ambito del regolamento rileva in causa la disposizione PCM-OPS 1.1136, rubricata “limite massimo di età” secondo cui “Tenuto conto delle finalità di cui ai precedenti articoli si stabilisce che i piloti della Compagnia possono svolgere attività professionale fino e non oltre il compimento del sessantesimo anno di età”.

Correttamente il giudice del merito ha ritenuto che la risoluzione del rapporto di lavoro del pilota di CAI s.p.a. al raggiungimento del sessantesimo anno di età non deriva da un atto di licenziamento ma è l’effetto della impossibilità definitiva e sopravvenuta di svolgimento della prestazione da parte del lavoratore (art. 1463 c.c.); ne deriva la inapplicabilità della disciplina del preavviso, del repechage e della temporanea inefficacia del recesso in costanza di malattia, presupponenti un atto di volontà del datore di lavoro.

5. Con il quinto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2099 c.c., e dell’art. 36 C.

La censura ha ad oggetto le statuizioni economiche sulla indennità di reperibilità e sui mancati riposi.

Il ricorrente ha dedotto che anche in assenza della contrattazione collettiva era compito del giudice del merito individuare la retribuzione equa di cui precetto costituzionale dell’art. 36. Il giudizio formulato in tal senso era affetto da un triplice errore: l’avere presunto la equità della retribuzione concordata nel contratto individuale, l’avere usato come termine di comparazione la retribuzione degli altri piloti dei voli ordinari di linea senza precisare a quale compagnia di volo si volesse fare riferimento, il non avere considerato la particolarità della prestazione presso C.A.I. spa quanto a destinazioni, rotte, qualità dei passeggeri e dei carichi, obbligo di riservatezza.

Ha lamentato l’omessa valutazione del numero imponente di giornate di reperibilità svolte nell’anno e del fatto che la reperibilità comportava gli obblighi di non allontanarsi dall’aeroporto oltre una certa distanza, di tenere il cellulare acceso ed in luoghi raggiunti dal segnale telefonico, di controllare la alimentazione e di non assumere alcolici, di non compiere attività stressanti, sì da garantire la piena efficienza psico fisica.

Il motivo è infondato.

La adeguatezza della retribuzione pattuita individualmente a compensare anche la reperibilità è stata affermata in sentenza sul rilievo che il notevole numero di ore di reperibilità svolte era compensato dal ridotto numero di ore di volo effettivamente prestato (pari, esemplificativamente, nell’anno 2008 a 23 ore 25 minuti come media mensile, a fronte di un trattamento complessivo annuo di Euro 177.665).

Il giudizio è fondato su un criterio oggettivo e razionale.

La considerazione congiunta delle ore di reperibilità (cd. riserva) e delle ore di volo effettive rispetta il parametro della quantità del lavoro, previsto dall’art. 36 C.

Correttamente, poi, la proporzionalità e l’adeguatezza della retribuzione sono state riferite non già alle sue singole componenti ma alla globalità di essa (nello stesso senso: Corte cost. n. 470 del 2002; Cass. 25/06/2014, n. 14484).

Il ricorrente per censurare il giudizio di proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione allega circostanze inerenti alla qualità della prestazione, quali la gravosità degli obblighi derivanti dalla reperibilità, richiedenti accertamenti di fatto preclusi in questa sede.

Sotto questo profilo un eventuale vizio della sentenza avrebbe dovuto essere dedotto nei termini di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, individuando i fatti storici controversi e decisivi non esaminati in sentenza e precisando, come richiesto dall’art. 366 c.p.c., n. 6, i modi della loro deduzione davanti al giudice del merito, gli atti del processo da cui i fatti non esaminati risultavano nonchè le ragioni della loro decisività.

6. Con il sesto motivo il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 748 c.n., comma 3, dell’art. 1362 c.c. e segg., del D.Lgs. n. 185 del 2005, art. 3.

Il ricorrente ha esposto che il contratto individuale di lavoro rimandava, per quanto non previsto, alle disposizioni di legge, che nella materia erano il D.Lgs. n. 185 del 2005, sulla organizzazione dell’orario di lavoro del personale di volo della aviazione civile e la delibera del C.d.A. ENAC del 19.12.2006 nr 67/2006, emanata in attuazione della predetta legge.

L’art. 748 c.n., stabiliva che i voli di stato dovevano essere effettuati garantendo un adeguato livello di sicurezza e che per gli aerei privati equiparati gli standards di sicurezza dovevano essere adottati di intesa con ENAC. I regolamenti ENAC sui limiti massimi di reperibilità dovevano pertanto applicarsi ai dipendenti di C.A.I. spa.

Nella fattispecie gli stessi erano stati ampiamente violati, dovendo farsi luogo, pertanto, a riposo compensativo ovvero al risarcimento del danno.

Il motivo è infondato.

Le norme legali di cui si censura la mancata applicazione non sono riferibili ai dipendenti di C.A.I. spa.

Quanto alla L. n. 185 del 2005, il campo di applicazione è relativo,ai sensi dell’art. 1, al “personale di volo dell’aviazione civile”, che il successivo articolo 2 definisce come personale “di cui all’articolo 732 del codice della navigazione impiegato in un’azienda con sede legale o base delle operazioni nello Stato italiano”.

Il personale di C.A.I. spa non rientra nella anzidetta categoria del “personale di volo della aviazione civile” giacchè a norma dell’art. 748 c.n., comma 1, le norme del codice della navigazione – e dunque anche l’art. 732 – non si applicano agli aeromobili equiparati agli aeromobili di Stato, come gli aeromobili di C.A.I. spa.

Neppure può trovare applicazione in forza dell’art. 748 c.n., comma 3, il regolamento ENAC (nr. 67/06) sui limiti di reperibilità per il personale navigante; la norma dell’art. 748 c.n., comma 3, prevede, anzi, regolamentazioni speciali dei voli di Stato, adottate dalle Amministrazioni dello Stato (seppure di intesa con ENAC per gli aeromobili equiparati).

Il rinvio è, dunque, alla disciplina speciale, relativa alla sicurezza delle operazioni di volo, contenuta per C.A.I. spa nel regolamento approvato con D.P.C.M. 9 settembre 2008, che fissa anche i limiti dei tempi di volo e di servizio.

7. Con il settimo motivo il ricorrente ha denunziato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – omesso esame circa il motivo di appello articolato avverso il rigetto della domanda di risarcimento del danno derivato dalla illegittimità della sanzione disciplinare.

Il ricorrente ha dedotto di avere allegato nel ricorso introduttivo del giudizio che a seguito della applicazione della multa disciplinare, che apprendeva dalla lettura della busta paga, era stato colto da crisi ipertensiva, seguita da una malattia protrattasi sino al marzo 2009.

Il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda ritenendo non provato il danno mentre la Corte d’appello aveva omesso di pronunziarsi sul relativo motivo di impugnazione (dedotto alla pagina 92 dell’atto di appello, come nono motivo).

Il motivo è infondato.

La domanda di risarcimento del danno biologico è stata esaminata e respinta dalla Corte di merito in relazione alla domanda di compensi per superamento del limite di reperibilità giornaliero ed annuale (a pagina 5 della sentenza, in fine e pagina 6, in principio).

La domanda era stata infatti articolata sul fondamento della violazione da parte del datore di lavoro del dovere di protezione della salute del lavoratore, ex art. 2087 c.c..

Soltanto in questa sede si assume che il danno biologico era causalmente riconducibile alla illegittimità della sanzione disciplinare della multa; sul punto il motivo è inammissibile per novità della questione.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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