Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19021 del 02/09/2010

Cassazione civile sez. lav., 02/09/2010, (ud. 15/07/2010, dep. 02/09/2010), n.19021

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI

54, presso lo studio dell’avvocato FRANCIOSO LUCIANA, rappresentata e

difesa dall’avvocato ZURLO NICOLANGELO, giusta mandato a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato

PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende, giusta delega a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2094/2008 della CORTE D’APPELLO di LECCE del

21.11.08, depositata il 03/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/07/2 010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO LAMORGESE;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MASSIMO

FEDELI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 3 dicembre 2008, la Corte di appello di Lecce ha confermato la decisione di primo grado, che aveva rigettato la domanda proposta da M.C. nei confronti di Poste Italiane s.p.a. e diretta ad ottenere la declaratoria di nullita’ della clausola di apposizione del termine del contratto di lavoro, stipulato con la detta societa’ per il periodo dal 1 febbraio 2001 al 31 maggio 2001, e la conversione del rapporto in quello di lavoro a tempo indeterminato, con la riammissione nel posto di lavoro e la condanna dell’azienda al risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni non corrisposte.

Nel disattendere l’impugnazione della lavoratrice, il giudice del gravame ha ritenuto la legittimita’ del termine apposto al contratto in questione, in quanto stipulato ai sensi dell’art. 25 del citato ccnl del 2001, integrante una nuova ipotesi di apposizione del termine alla durata del rapporto di lavoro, individuata dalle parti sindacali nell’ambito della delega loro attribuita dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche. Il termine di durata del contratto, ha sottolineato il medesimo giudice, era stato apposto per le esigenze, all’epoca sussistenti, di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione e di ristrutturazione aziendale, come da contratto collettivo.

Per la cassazione della sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso, con tre motivi.

La societa’ intimata ha resistito con controricorso.

Ravvisati i presupposti per la decisione del ricorso in camera di consiglio, e’ stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., poi ritualmente notificata alle parti e comunicata al Procuratore Generale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 e critica la sentenza impugnata per non avere verificato la sussistenza delle ragioni addotte dall’azienda a giustificazione dell’assunzione a termine della lavoratrice.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, art. 3 e della L. n. 56 del 1987, art. 23 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Deduce l’errore in cui e’ incorso il giudice del merito nel ritenere la legittimita’ della clausola di apposizione del termine, malgrado la societa’ si fosse limitata a dedurre circostanze assolutamente generiche sulla effettivita’ del processo di ristrutturazione aziendale, senza fornire alcuna prova della ricollegabilita’ dell’assunzione a tempo della lavoratrice all’ipotesi prevista in contratto.

Il terzo motivo lamenta l’erroneita’ della interpretazione dell’art. 25 ccnl 11 gennaio 2001 e della L. n. 56 del 1987, art. 23. Deduce che non vale a legittimare l’apposizione del termine la mera trascrizione nel contratto individuale di lavoro dell’astratta fattispecie convenzionale, occorrendo anche la specificazione delle particolari esigenze eccezionali ricorrenti nella articolazione organizzativa in cui il lavoratore a tempo sarebbe stato destinato.

Fondata e’ l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso sollevata dalla societa’ resistente.

Nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ. si e’ osservato che, trattandosi di impugnazione proposta contro una sentenza pubblicata dopo il 2 marzo 2006, si devono applicare le modifiche al processo di cassazione introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, e in particolare la disposizione dettata dall’art. 366 bis cod. proc. civ. Alla stregua della quale l’illustrazione di ciascun motivo di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), deve concludersi, a pena di inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto, e nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

Qui, pero’, come sottolineato nella richiamata relazione, nessuno dei tre motivi presenta con riferimento alle denunciate violazioni di legge la formulazione del prescritto quesito di diritto, ne’ con riguardo alle censure concernenti il vizio riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 denunciato nel primo mezzo di annullamento unitamente ad errori di diritto, e’ riportata quella indicazione riassuntiva e sintetica, che circoscrivendo puntualmente i limiti della censura, consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilita’ delle doglianze allorche’ si lamentino vizi di motivazione.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, alla quale, del resto, la ricorrente non ha replicato.

Si deve percio’ concludere per l’inammissibilita’ del ricorso.

Le spese del giudizio di cassazione, in applicazione del criterio della soccombenza, vanno poste a carico della ricorrente e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della societa’ resistente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi e in Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Cosi’ deciso in Roma, il 15 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2010

 

 

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