Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1902 del 29/01/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 1902 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: MACIOCE LUIGI

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 19455 del R.G. anno 2007
proposto da:
Consorzio di Bonifica della Media Pianura Bergamasca in
persona del legale rapp.te, dom.to in Roma piazza Gentile da
Fabriano 3 presso l’Avv. Raffaele Cavaliere con l’avv. Maria
Costanza del Foro di Milano che lo rappresentano e difendono per
procura in calce al ricorso – c-F” 8D OÀL”

ricorrente-

contro
Collini Impresa Costruzioni s.p.a. in persona del

legale

rapp.te, domiciliato in Roma via Prevesa 11 presso l’avv. Antonio
Sigillò con l’avv.to Sergio Colombo del Foro di Milano che la
rappresentano e difendono per procura speciale in calce al
controricorso e -V &N/1 5(0 12A –

controricorrente-

avverso la sentenza 261 del 16.4.2007 della Corte di
Appello di Brescia ; udita la relazione della causa svolta nella p.u.
del 12.12.2013 dal Cons.Luigi MACIOCE; uditi gli avv.ti Raffaele
Cavaliere, Maria Costanza e Antoniuo Sigillò; presente il P.M., in
persona del Sost. Proc. Gen.A.Carestia che ha chiesto il rigetto.

Data pubblicazione: 29/01/2014

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Collini Impresa Costruzioni s.p.a. chiese ed ottenne a carico
dell’appaltante Consorzio di Bonifica della media pianura bergamasca
ingiunzione per lire 2.100.669.764 a titolo di interessi capitolari pretesi
per ritardati pagamenti dei SAL afferenti lavori di adeguamento del sistema di irrigazione comprensoriale di cui ai contratti del 1976 e del
1980. Con citazione del 19.7.1993 il Comprensorio si oppose deducendo
la indeterminatezza del credito per interessi e la carenza di alcuna prova

art.2948 n. 4 c.c. , non validamente interrotta essendo decorsi più di
cinque anni tra l’interruttiva 12.1.1985 e quella del 12.1.1991. Costituitasi la Collini, deducente l’applicazione della prescrizione decennale, la
esistenza di tempestive interruttive, la esistenza di prova piena del credito, il Tribunale, con sentenza 27.09.2002, respinse l’opposizione. La
sentenza venne impugnata dal Consorzio e la Corte di Brescia, costituitasi la Collini, con sentenza 16.04.2007 ha respinto l’appello affermando
in motivazione: che, secondo il principio posto dalla Corte di legittimità,
agli interessi capitolari ex art. 35 dPR 1063 del 1962 (applicabile alla
specie) in quanto interessi moratori di fonte legale affatto privi del requisito della periodicità, non era applicabile il disposto dell’art. 2948 n.
4 c.c., che la prescrizione decennale era stata interrotta con la formale
se pur non quantificata richiesta di interessi che Collini aveva inoltrato al
Consorzio il 10.1.1990 (e della quale il Consorzio aveva dato implicito
riscontro con la sua nota del 14.2:1991), che in ordine al quantum il
CTU aveva fatto applicazione degli artt. 35 e segg. dPR 1063/62 sia in
ordine ai termini correlati alle date di emissione dei certificati di pagamento (al netto della franchigia) sia in relazione ai tassi ex lege 741 del
1981.
Per la cassazione di tale sentenza, notificata 1’8.5.2007, il Consorzio
ha proposto ricorso il 2.7.2007, articolando quattro motivi ai quali la soc.
Collini ha opposto difese nel controricorso del 25.9.2007. Entramble le
parti hanno depositato memorie finali ed i difensori hanno discusso oralmente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ad avviso del Collegio, nessuna delle censure meritando condivisione, il ricorso del Consorzio deve essere rigettato.
Primo motivo: esso denunzia la violazione degli artt. 2948 n. 4 c.c. e
35 dPR 1063/62, posto che, trattandosi di ritardi tra le date di emissione
dei certificati di pagamento dei vari SAL e di adozione dei titoli di spesa,
il comma 2 dell’art. 35 avrebbe imposto una loro considerazione come

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documentale di essi nonchè eccependo la prescrizione quinquennale ex

interessi connotati da periodicità (a differenza di quelli maturati per il
ritardo nella emissione dei certificati, per i quali, quindi, sarebbe stata
configurabile una prescrizione decennale dei correlati crediti). La censura
non ha fondamento avendo la Corte di merito applicato correttamente le
norme indicate, secondo i principii posti da questa Corte nella giurisprudenza richiamata in sentenza, principii che hanno trovato conferma nei
successivi pronunziati, ai quali il Collegio intende dare piena continuità
(Cass. 23746/2007 e 17197/2012). Va pertanto ribadito che la pre-

agli interessi, è applicabile solo a condizione che l’obbligazione rivesta i
caratteri indicati per la fattispecie genericamente descritta dalla norma
con l’espressione “e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”. Essa si riferisce alle obbligazioni
periodiche e di durata, caratterizzate dal fatto che la prestazione è suscettibile di adempimento solo con il decorso del tempo. Pertanto l’obbligazione relativa agli interessi, per potere essere attratta nella disposizione in parola , deve avere il carattere della periodicità, con la conseguenza per la quale essa non è applicabile, in assenza di tale requisito,
a tutti gli interessi moratori di fonte legale per il ritardo nel pagamento
del prezzo di appalto, ivi compresi quelli dovuti dopo l’emissione dei certificati di pagamento e sino alla adozione del titolo di spesa ai sensi
dell’art. 35 c. 2 del d.P.R. n. 1063 del 1962. E poiché il ricorso afferma
che gli interessi di cui si discute fossero tutti appartenenti a tale previsione capitolare e che dovessero, stante la loro specifica periodicità, essere soggetti alla prescrizione quinquennale, la condivisa statuizione di
esclusione anche di tale previsione dall’ambito delle prestazioni periodiche, impone di rigettare senza alcun dubbio la censura in disamina.

Secondo motivo: esso contesta la affermata esistenza di tempestive
interruttive della prescrizione decennale, posto che la nota 15.1.1985
era affatto generica, come quelle del 1993, e che nella lettera 10.1.1990
non vi era, oltre che nell’inconferente avverbio “formalmente”, alcuna
chiara volontà di intimare un pagamento ma di avviare solo un generico
sollecito ad una definizione concordata.
La censura è inammissibile posto che non evidenzia alcuna violazione dei
parametri ermeneutici pur astrattamente invocati in rubrica ma soltanto
contrappone alla lettura data in sentenza del testo della nota
10.1.1990 (con la indicazione del valore assai eloquente della richiesta
“formale” di determinazione degli interessi di mora) una propria lettura,
che accredita il carattere “colloquiale ed interlocutorio” e non mai intimativo della nota stessa. Si tratta dunque di una proposta interpretativa

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scrizione quinquennale prevista dall’art. 2948, n. 4, c.c. con riferimento

e non di una censura di violazione di legge sulla retta interpretazione. E
pertanto in questo contesto la censura non ha ingresso.
Terzo motivo: con esso si lamenta che nella acritica ricezione della
CTU la Corte di merito abbia mancato di farsi carico della distinzione tra
tasso legale dovuto per i primi 90 (o 60) giorni di ritardo e tasso di
sconto per il periodo successivo, articolando per ciascun ritardo i giorni
calcolati alla stregua delle diverse previsioni.
Anche tal censura è inammissibile. Da un canto essa propone generica-

saggi e brani idonei a giustificare la tesi della mancata articolazione dei
calcoli per giorni e secondo i semiperiodì dell’art. 35 del capitolato generale oo.pp. Dall’altro canto la doglianza pare affatto ignorare il preciso e attento passaggio di cui all’ultimo cpv. pag. 12 della sentenza, che
mostra un rinvio critico e consapevole ad una articolata operazione di
calcolo fatta nell’elaborato peritale e che avrebbe imposto una autosufficiente esposizione della trascuretezzza di indagine peritale quale premessa per la critica di supina adesione ad essa.
Quarto motivo: ci si duole del mancato rinnovo della CTU chiesto e
non oggetto di risposta. La sorte di tale motivo è quella della censura
che precede, identiche essendo le carenze di contestazione, vieppiù
considerando la sua totale apoditticità (posto che neanche tenta di spiegare le ragioni per le quali sarebbe stato chiesto invano il rinnovo della
CTU).
Respinte le censure, il ricorso va dunque rigettato e le spese della
parte contro ricorrente vanno poste a carico del soccombente Consorzio:
esse si determinano in dispositivo alla stregua del dichiarato valore di
meno di C 1.200.000 di valore.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il Consorzio ricorrente a pagare alla controricorrente Impresa per spese di giudizio la somma di C 25.200 (di cui C
200 per esbporsi ed C 25.000 per compensi) oltre ad IVA e CPA.
Cos’ deciso nella c.d.c. del 12.12.2013.
Il sons.est..
f

mente la propria lettura della CTU senza farsi carico di riportarne pas-

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