Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19012 del 17/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 19012 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA

sul ricorso 19586-2015 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47, presso lo
studio dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2018
1021

contro

BIA SILVIA, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO
D’ITALIA 102, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI
PASQUALE MOSCA, che la rappresenta e difende giusta

Data pubblicazione: 17/07/2018

delega in atti;
– controrícorrente –

avverso la sentenza n. 668/2015 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 23/03/2015 R.G.N. 468/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

MAROTTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale DOTT. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato CRISTIANO PILO per delega verbale
Avvocato ANGELO PANDOLOFO;
udito l’Avvocato NICOLETTA GERVASI per delega verbale
Avvocato GIOVANNI PASQUALE MOSCA.

N
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udienza del 08/03/2018 dal Consigliere Dott. CATERINA

R. Gen. N. 19586/2015

FATTI DI CAUSA
1.1. Con ricorso al Tribunale di Roma, Silvia Bia chiedeva la
condanna di Poste Italiane ad immetterla in servizio con le mansioni di
addetta al recapito junior e ad orario parziale verticale.
La Bia, già inserita nella graduatoria unica nazionale dei lavoratori
precedentemente assunti con contratto a tempo determinato da Poste

e pretesa derivante dai suoi pregressi rapporti di lavoro, ciò sulla base
dell’adesione della lavoratrice all’accordo sottoscritto tra la società e le
oo.ss. in data 13 gennaio 2006, quindi convocata per la scelta della
sede, non era stata assunta in servizio per essere risultato dalla
certificazione della competente Procura un carico pendente.
1.2. Il Tribunale accoglieva il ricorso ritenendo illegittimo il rifiuto
di procedere all’assunzione.
1.3. La decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Roma.
I giudici del gravame ritenevano che la disposizione di cui all’art.
19 del c.c.n.l. prevedesse tra i documenti da presentare per
l’assunzione solo ‘il certificato penale di data non anteriore a tre mesi’
non anche quello dei carichi pendenti e che l’estensione della richiesta
della società (che aveva poi determinato il diniego di assunzione) non
potesse essere giustificata da alcun interesse dell’azienda a conoscere
la storia personale della persona che si accingeva ad assumere stante,
peraltro, la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27 della
Cost..
2. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Poste
Italiane propone ricorso per cassazione fondato su due motivi.
3. Silvia Bia resiste con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa
applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. e dell’art. 19 del c.c.n.l. per
il personale non dirigente di Poste Italiane dell’11/7/2007. Sostiene

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Italiane S.p.A., previa rinuncia della medesima ad ogni diritto, credito

R. Gen. N. 19586/2015

che l’espressione ‘certificato penale’ di cui al co. 5 debba essere intesa
in senso ampio, comprensiva anche del certificato dei carichi pendenti
perché la ratio della norma è quella di garantire il datore di lavoro nella
fase dell’assunzione e rileva che la certificazione negativa dei carichi
pendenti è un documento dal quale la società, per l’importanza
dell’attività che svolge, non può prescindere.

falsa applicazione dell’art. 421 cod. proc. civ.. Sostiene che la Corte
territoriale abbia erroneamente respinto la richiesta di detrazione
dell’aliunde perceptum ritenendola meramente esplorativa e non abbia
utilizzato, come avrebbe dovuto, i poteri d’ufficio.
2. Il primo motivo è infondato.
Innanzitutto non è invocabile a sostegno delle ragioni della società
il precedente di questa n. 12086 del 16 maggio 2017.
Nel caso esaminato in tale decisione l’obbligo di produrre anche il
certificato di carichi pendenti si è fatto derivare (non dalla clausola
contrattuale ma) da un , sottoscritto dal lavoratore
con il quale quest’ultimo si era impegnato a produrre anche tale
certificazione.
Dell’esistenza di un format quale quello sopra indicato non vi è
traccia nel presente giudizio nel quale si discute solo della legittimità
della richiesta aziendale di estendere i documenti previsti dall’art. 19
del c.c.n.l. fino a ricomprendere tra questi anche il certificato dei
carichi pendenti.
n
Ciò precisato, i rilievi della ricorrente non solo tali da scalfire
l’interpretazione dell’art. 19 del c.c.n.l. come offerta dalla Corte
territoriale.
Ed infatti appare corretta la rilevanza attribuita innanzitutto al dato
letterale secondo il quale tra i documenti da presentare ai fini

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1.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e

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dell’assunzione vi è il solo ‘certificato penale di data non anteriore a tre
mesi’.
La disposizione predetta è assolutamente chiara nella sua
formulazione e già solo questa circostanza esclude la necessità del
ricorso al meccanismo dell’interpretazione integrativa integrando già
un limite logico ad una interpretazione estensiva.

evoca il certificato di cui agli artt. 23 e 25 del T.U. sul casellario
giudiziale di cui al d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313) un significato
semantico suscettibile di plurime interpretazioni.
In ogni caso si tratta di una disposizione che, condizionando
(sospensivamente) l’assunzione alla presenza di determinati requisiti
debitamente documentati, non può formare oggetto di interpretazione
estensiva perché ciò si risolverebbe nell’introduzione di un limite
ulteriore rispetto a quello che le parti contraenti hanno inteso
prevedere.
Ed infatti la richiesta del certificato penale integra un limite rispetto
alla previsione di cui all’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori (lè fatto
divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello
svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a
mezzo di terzi […] su fatti non rilevanti ai fini della valutazione
dell’attitudine professionale del lavoratore’) che si giustifica con la
rilevanza ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del
lavoratore della conoscenza di date informazioni relative all’esistenza
di condanne penali passate in giudicato.
Tale limite, in assenza di espressa previsione contrattuale, non può
essere dilatato per via interpretativa fino a ricomprendere informazioni
relative a procedimenti penali in corso (oggetto del certificato previsto
dall’art. 27 del T.U. sopra citato), ciò specie in considerazione del
principio costituzionale della presunzione d’innocenza.

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Né è possibile attribuire all’espressione ‘certificato penale’ (che

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Peraltro, nella specie, la Corte territoriale, non si è limitata al dato
letterale, ma ha correttamente escluso la possibilità di ricomprendere
tra i documenti da presentare ai fini dell’assunzione anche il certificato
dei carichi pendenti evidenziando che il solo status di imputato (e cioè
di soggetto che si sia venuto a trovare ad avere un procedimento
penale pendente a suo carico) non è previsto nel medesimo c.c.n.l.

incongrua una previsione che, invece, interpretata nel senso
prospettato dalla società, attribuisca rilevanza a tale

status al

momento dell’assunzione.
2.2. Anche il secondo motivo è infondato.
Come da questa Corte già affermato (v. Cass. 31 gennaio 2017,
n. 2499), iIn tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che
invochi Valiunde perceptum da detrarre dal risarcimento dovuto al
lavoratore deve allegare circostanze di fatto specifiche e, ai fini
dell’assolvimento del relativo onere della prova su di lui incombente,
è tenuto a fornire indicazioni puntuali, rivelandosi inammissibili
richieste probatorie generiche o con finalità meramente esplorative.
Inoltre, nel rito del lavoro, il mancato esercizio da parte del
giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 cod. proc. civ., preordinato al
superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio
fondata sull’onere della prova, non è censurabile con ricorso per
cassazione ove la parte non abbia investito lo stesso giudice di una
specifica richiesta in tal senso, indicando anche i relativi mezzi
istruttori (v. Cass. 12 marzo 2009, n. 6023; Cass. 23 ottobre 2014,
n. 22534); in ogni caso, gli indicati poteri d’ufficio non possono
essere dilatati fino a richiedere che il giudice supplisca in ogni caso
alle carenze allegatorie e probatorie delle parti, in assenza di una
pista probatoria rilevabile dal materiale processuale acquisito agli atti
di causa (v. ex multis Cass. 6 luglio 2000, n. 9034; Cass. 9 marzo

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quale motivo di giusta causa di licenziamento il che renderebbe

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2001, n. 3516; Cass. 8 agosto 2002, n. 12002; Cass. 21 maggio
2009, n. 11847);
3. Conclusivamente il ricorso va rigettato.
4. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
5. Va dato atto dell’applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, co. 17, legge

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in
favore della controricorrente, delle spese delle spese del presente
giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro
4.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e
rimborso forfetario in misura del 15% da corrispondersi all’avv. G.
Pasquale Mosca, antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso
articolo 13
Roma, così deciso nella camera di consiglio dell’8 marzo 2018

24 dicembre 2012, n. 228.

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