Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19012 del 16/09/2011

Cassazione civile sez. VI, 16/09/2011, (ud. 30/06/2011, dep. 16/09/2011), n.19012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso iscritto al n. 7382 del Ruolo Generale degli affari

civili dell’anno 2010 di:

N.G., A.G., S.P., F.

G., F.E., L.V., T.F.,

NA.GI., C.G., R.A.M., B.

P., C.R., F.G., L.O., V.

M.M., rappresentati e difesi, per procura in calce al

ricorso, dall’avv. DEL NOCE Mario del foro di Palermo, con il quale

elettivamente domiciliano in Roma, alla Via Monte Zebio n. 37, presso

l’avv. Marcello Puritano;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona dei Ministro in

carica ex lege domiciliato in Roma alla Via dei Portoghesi n. 12,

presso l’Avvocatura generale dello Stato e da questa rappresentato e

difeso;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Palermo del 12 – 16

novembre 2009, n. 6108 cron. del 2009. Nessuno è comparso

all’adunanza del 30 giugno 2011.

Fatto

PREMESSO IN FATTO

1. E’ stata depositata in cancelleria la seguente relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.: “FATTO: Viene proposto da N.G. e dagli altri soggetti di cui in epigrafe, ricorso notificato il 16 marzo 2010 per la cassazione dell’ordinanza della Corte d’appello di Palermo del 12 – 16 novembre 2009, che ha rigettato la domanda dei ricorrenti di equa riparazione di cui all’atto depositato in cancelleria il 27 maggio 2009, con il quale era chiesta la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze a pagare agli attori l’equo indennizzo, ai sensi della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per i danni subiti per effetto della durata irragionevole del processo da loro instaurato con ricorso del 13 gennaio 1995 al Tar Sicilia, per ottenere il riconoscimento degli scatti di anzianità loro spettanti, quali dipendenti della Regione siciliana per gli anni dal 1970 al 1974, processo nel quale avevano presentato istanza di fissazione di udienza il 16 gennaio 1995 e istanza di prelievo il 15 dicembre 2006 e che era ancora pendente alla data della presente domanda, tanto che si era depositata istanza di fissazione di udienza, ai sensi della L. n. 133 del 2008, art. 54.

La Corte d’appello ha rigettato la domanda perchè gli istanti, dopo l’avviso del TAR del 29 settembre 2006 loro inviato di proporre istanza di fissazione di udienza entro sei mesi per evitare la dichiarazione di perenzione del processo, non avevano proposto detta istanza nel termine indicato; trattandosi di un termine di decadenza ai sensi della L. 21 luglio 2000, n. 205, nessun rilievo poteva avere la successiva istanza di fissazione presentata il 27 ottobre 2009 e il comportamento delle parti doveva ritenersi essere stato esso stesso causativo della eccessiva durata del processo presupposto, per cui esse nulla potevano pretendere a titolo di indennizzo per lesione al diritto ad una giusta durata del processo.

Con il ricorso per cassazione si censura l’ordinanza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 205 del 2000, art. 9, comma 2, in riferimento alla L. n. 89 del 2001, art. 2 e art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, anche per motivazione incongrua e insufficiente.

Nessuna “decadenza” è prevista dalla L. n. 205 del 2000, art. 9, in relazione all’avviso della pendenza ultradecennale del processo dinanzi al Tribunale amministrativo, in quanto la mancata istanza di fissazione dell’udienza comporta solo la ordinanza di perenzione da parte dell’adito giudice, comunque appellabile, tanto che il processo indicato risulta tuttora pendente, come da certificazione della segreteria dello stesso tribunale amministrativo.

La Corte ha omesso di rilevare le istanze pregresse di fissazione dell’udienza di discussione del 1996 e quella di prelievo già proposta nel 2006 con la richiesta di fissazione dell’udienza nel 2009, ai sensi della L. n. 133 del 2008, art. 54, per la quale il TAR doveva fissare l’udienza, per cui nessun disinteresse dei ricorrenti vi era stato alla risoluzione del processo presupposto. I ricorrenti chiedono quindi sia cassata l’ordinanza impugnata e che si decida la causa nel merito dovendosi riconoscere il diritto all’indennizzo chiesto.

DIRITTO. Il relatore ritiene che il ricorso è manifestamente fondato, essendo violativa del diritto oggettivo l’affermazione della Corte di merito sul comportamento delle parti che avrebbe determinato i ritardi nella risoluzione del processo e il connesso superamento della presunzione di esistenza del danno non patrimoniale, in quanto la mancanza di istanza di prelievo o di altre forme di sollecitazione della decisione comporterebbe decadenza, non potendosi attribuire all’inerzia dei ricorrenti la durata eccessiva della causa.

Questa Corte ha più volte affermato che la presunzione del danno non patrimoniale persiste anche in assenza di istanze sollecitatorie del processo amministrativo presupposto della parte interessata, potendo tale comportamento incidere non sull’an debeatur ma solo sul quantum, concorrendo l’assenza di sollecitazioni degli interessati a dar luogo al ritardo con conseguente riduzione della misura dell’indennizzo dovuto (in tal senso cfr. da Cass. n. 3347 del 2003 a Cass. n. 1520 del 2008), essendo irrilevante nella fattispecie ratione temporis la innovazione dell’art. 54 della legge n. 133 del 2008 in rapporto ad un termine per far proseguire il processo presupposto fissato invece nel 2006 (così Cass. n. 28248 del 2008).

In conclusione, opina il relatore che il ricorso è manifestamente fondato e chiede che il Presidente della sesta sezione voglia fissare l’adunanza in camera di consiglio per la decisione, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 5″.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il collegio, esaminati la relazione e gli scritti difensivi in atti, ha condiviso gli argomenti svolti nella relazione e la soluzione da essa proposta, considerando che, come si rileva dal ricorso sul punto incontestato, gli istanti hanno presentato istanza di prelievo il 5 dicembre 2006 e che l’esistenza di tale atto esclude anche la mancanza di quella che è divenuta successivamente condizione di proponibilità della domanda per l’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito con L. 6 agosto 2008, n. 113, per cui la domanda è ammissibile (Cass. ord. n. 115 del 2011) e correttamente si è ritenuta anche fondata.

2. Il ricorso quindi deve essere accolto per quanto di ragione e il decreto impugnato deve cassarsi. Poichè il provvedimento cassato ha violato il diritto vivente e considerato che il processo presupposto era ancora in corso in primo grado dinanzi al Tar per la Sicilia alla data della domanda (27.5.2009) ed era iniziato con ricorso del 13 gennaio 1995, durando in totale anni 14, mesi quattro e giorni quattordici, l’equo indennizzo dovuto a ciascuno dei ricorrenti, in adesione ai principi elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e da questa Corte, va liquidato in Euro 500,00 annui e complessivamente, per l’intera durata del processo, in complessivi Euro 7.150,00 per ciascuno dei ricorrenti, oltre agli interessi dalla data della domanda al soddisfo.

3. Le spese del giudizio di cassazione, in relazione al solo parziale accoglimento della domanda con cui si sono chiesti Euro 11.000,00 per ciascuno degli istanti, per la soccombenza solo parziale, devono porsi solo per due terzi a carico del Ministero, compensandosi nel resto e si devono liquidare anche tenendo conto della pluralità dei soggetti patrocinati; esse si liquidano in tale ridotta misura, per il giudizio di merito e per quello di cassazione, come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso e cassa il decreto impugnato; decidendo la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna il Ministero dell’economia e delle Finanze a pagare a ciascuno dei ricorrenti Euro 7.150,00 (settemilacentocinquanta/00), con gli interessi dalla domanda e i due terzi delle spese del processo, che liquida in tale ridotta misura, compensandole nel resto, per la causa di merito, in Euro 3.900,00 (tremilanovecento/00), dei quali Euro 2.500,00 (duemila cinquecento/00) per onorar ed Euro 700,00 (settecento/00) per diritti e per il giudizio di cassazione, in Euro 1.750,00 (millesettecentocinquanta/00), di cui Euro 150,00 (centocinquanta/00) per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge per entrambi i gradi nella stessa proporzione.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 30 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2011

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