Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1901 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. II, 27/01/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 27/01/2011), n.1901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 4318/2010) proposto da:

T.G. (C.F.: (OMISSIS)), T.S.

(C.F.: (OMISSIS)) e T.A. (C.F.:

(OMISSIS)), rappresentate e difese, in forza di procura

speciale a margine del ricorso, dagli Avv. Maggiolo Marcello,

Mestrovich Paolo e Di Pierro Nicola, ed elettivamente domiciliate

presso lo studio del terzo in Roma, via Tagliamento, n. 55;

– ricorrenti –

contro

T.P. (C.F.: (OMISSIS)) e C.A.

(C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi dagli Avv.

Zaffalon Elio e Panetta Maria, in virtù di procura speciale apposta

a margine del controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo

studio della seconda in Roma, p.zza Sallustio, n. 24;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia n. 1974/2009,

depositata il 17 novembre 2009;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 1

dicembre 2010 da Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Maria Natalia Panetta per i controricorrenti;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Velardi Maurizio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 16 gennaio 1993 T.P. conveniva in giudizio le sorelle T.G., S. e A. e, assumendo di essere proprietario, per la quota indivisa di Va, di un compendio immobiliare sito nel Comune di (OMISSIS), chiedeva che venisse pronunciata la divisione giudiziale di quest’ultimo. Le convenute, ancor prima di costituirsi nel giudizio instaurato dal T.P., notificavano a questi e al di lui coniuge C.A. autonomo atto di citazione, dinanzi al medesimo tribunale, diretto allo scioglimento delle comunioni ereditarie sorte a seguito del decesso dei defunti genitori, previo riconoscimento del loro diritto alla legittima, deducendo che la madre aveva disposto di alcuni suoi beni, mediante atti di vendita, in favore del predetto figlio P. e della indicata consorte. Le menzionate tre sorelle T. chiedevano, pertanto, che fosse accertata la simulazione di tre specifici contratti di alienazione (stipulati con atti pubblici del 14 luglio 1971, 26 settembre 1990 e 17 dicembre 1990), l’interposizione fittizia di persona o la simulazione relativa, trattandosi di donazioni indirette totali o, in subordine, parziali.

Riunite le cause separatamente iniziate, il tribunale adito pronunciava una prima sentenza non definitiva n. 2259/2002 con la quale – per quanto in questa sede rilevante – dichiarava che gli atti di compravendita per notar Pascucci del 26 settembre 1990 (rep. 44722) e del 17 dicembre 1990 (rep. 45445) simulavano atti di donazione che erano soggetti a collazione, rigettando la domanda di riduzione formulata nei confronti di C.A. siccome non preceduta dall’accettazione di eredità con beneficio di inventario;

rimetteva, conseguentemente, la causa in istruttoria per l’accertamento, mediante c.t.u., del valore assegnabile al fondo oggetto dell’altro impugnato atto di compravendita per notar Volpi del 14 luglio 1971 (rep. 20259). Quindi, con sentenza definitiva n. 1157/2005, il tribunale di Venezia dichiarava che anche quest’ultimo contratto di compravendita del 1971 simulava una donazione indiretta oggetto di collazione e disponeva la divisione del compendio ereditario secondo il progetto redatto dal c.t.u.. In virtù di appello ritualmente interposto dai sigg. T.P. e C. A., l’adita Corte di appello di Venezia, nella resistenza delle appellate (che proponevano, a loro volta, appello incidentale condizionato), con sentenza non definitiva n. 1974/2009 (depositata il 17 novembre 2009), così provvedeva: – in parziale riforma della sentenza non definitiva n. 2259 del 2002 del tribunale di Venezia, rigettava la domanda volta all’accertamento della simulazione relativa degli atti di compravendita per notar Pascucci del 26 settembre 1990 (rep. 44722) e del 17 dicembre 1990 (rep. 45445); – in riforma della sentenza definitiva n. 1157 del 2005 dello stesso tribunale di Venezia, rigettava la domanda di accertamento della natura di donazione indiretta dell’atto di compravendita per notar Volpi del 14 luglio 1971 (rep. 20259); – accertava che i beni di cui ai predetti contratti non erano soggetti a collazione; – rimetteva la causa in istruttoria, come da separata ordinanza, al fine di redigere un nuovo progetto divisionale dei beni comuni tra le parti così come indicati dal T.P. nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado. A sostegno dell’adottata sentenza l’indicata Corte territoriale rilevava, per un verso, che le domande delle tre sorelle T., le quali avevano agito quali eredi ed avevano chiesto che i beni donati fossero assoggettati a collazione, avrebbero dovuto subire la limitazione di prova prevista dall’art. 1417 c.c. e, dunque, non sarebbe stato possibile avvalersi della prova per testi o per presunzioni, con la conseguenza che, nella instaurata controversia, doveva ritenersi mancata la prova della simulazione relativa degli atti di compravendita per notar Pascucci del 26 settembre 1990 (rep. 44722) e del 17 dicembre 1990 (rep. 45445), appunto perchè basata su prove inammissibili; per altro verso, con riguardo all’atto di compravendita per notar Volpi del 14 luglio 1971 (rep. 20259), si osservava che, in virtù degli accertamenti istruttori espletati, si doveva ritenere che, attraverso tale atto, non si era venuta a realizzare una donazione indiretta in favore del T.P. (essendo emerso che egli, in relazione alla quota spettantegli, aveva la disponibilità economica dell’importo che era stato necessario corrispondere).

Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto un unico ricorso per cassazione le tre sorelle T.G., S. e A., articolato su sei motivi, al quale hanno resistito con controricorso gli intimati T.P. e C. A.. Il difensore delle ricorrenti ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo formulato le ricorrenti hanno denunciato – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, 1417, 769 e 809 c.c., nonchè dell’art. 112 c.p.c., oltre al vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza oggetto di ricorso. In effetti, con tale motivo, le ricorrenti hanno prospettato l’erroneità della sentenza della Corte di appello di Venezia nella parte in cui aveva omesso di pronunciare sulla domanda con cui era stata chiesta, previo accertamento che trattavasi di liberalità dirette o indirette, la collazione dei beni oggetto dei negozi stipulati con atti pubblici per notar Pascucci del 26 settembre 1990 e del 17 dicembre 1990, ritenendo al riguardo, senza l’illustrazione di un’adeguata motivazione, che operassero le limitazioni probatorie previste in materia di simulazione.

2. Con il secondo motivo formulato le ricorrenti hanno prospettato – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione e falsa applicazione degli artt. 555 e segg. c.c., art. 112 c.p.c., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata.

Con questo motivo le ricorrenti hanno inteso far valere, in sostanza, l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui, con riferimento ai due richiamati atti di compravendita per notar Pascucci, dopo aver riformato la sentenza di primo grado (che aveva ritenuto assorbita la domanda di riduzione proposta in via subordinata in virtù dell’accoglimento di quella di collazione) con riferimento alla domanda di collazione, aveva, tuttavia, omesso di pronunciarsi sulla domanda di riduzione comunque idoneamente formulata, sulla quale si era, perciò, venuto ad attualizzare l’interesse delle medesime ricorrenti ad ottenere una decisione da parte del giudice del gravame.

3. Con il terzo motivo formulato le ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, – assumendo la violazione o comunque falsa applicazione degli artt. 555, 737, 1417, 2721, 2722 e 2723 c.c., la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., oltre che la contraddittorietà della motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Con il prospettato motivo le ricorrenti hanno sostenuto l’erroneità della sentenza della Corte territoriale nella parte in cui era stato ritenuto che le tre sorelle T., avendo agito quali eredi ed avendo chiesto che i beni donati fossero assoggettati a collazione, dovevano subire le limitazioni di prova previste dall’art. 1417 c.c. (e non avrebbero, dunque, potuto avvalersi della prova per testi o per presunzioni). Secondo la prospettazione delle ricorrenti, tuttavia, la sentenza si sarebbe dovuta ritenere viziata sia con riferimento alla mancata considerazione della proposizione contestuale della domanda di riduzione che alla conseguente insussistenza dei limiti probatori contemplati in tema di simulazione, senza, peraltro, omettere di sottolineare che, nel corso dello svolgimento del giudizio di merito, la prova per testi era stata in un caso ritenuta ammissibile e in un altro no, senza che fosse stata eccepita l’inammissibilità della prova testimoniale, con derivante accettazione del contraddittorio sulle prove espletate.

4. I riportati primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente perchè strettamente connessi tra loro.

Rileva, innanzitutto, il collegio che – per quanto emergente direttamente dallo stesso contenuto della sentenza impugnata (v.

conclusioni in essa riportate, corrispondenti incontestatamente a quelle di primo grado) – le appellate (attuali controricorrenti) T.G., S. e A., all’esito di tutte le altre formulate istanze precedenti (relative alla richiesta di nullità e/o inefficacia degli atti di disposizione rappresentati dalle compravendite assunte come simulate) e, quindi, di quanto accertato, dichiarato e determinato come dovuto in restituzione alla defunta S.S. e/o ai suoi eredi, avevano chiesto accertarsi l’effettivo asse ereditario della stessa S.S. all’atto del suo decesso avvenuto il 28 luglio 1992 e disposta la collazione, occorrendo per imputazione, di quanto donato direttamente o indirettamente e/o per interposizione fittizia di persona, ridotta ogni disposizione della “de cuius” in violazione della lesione della legittima in capo alle attrici, determinarsi le quote di spettanza dei singoli eredi della predetta S.S.. Orbene, per quanto evincibile dal percorso motivazionale della sentenza della Corte territoriale, si desume che la stessa ha ritenuto di accogliere il relativo motivo dell’appello rigettando la proposta domanda di collazione sul presupposto che essa – siccome implicante il riferimento alla proposizione di una domanda di simulazione – era stata inammissibilmente fondata su prova per testimoni e per presunzioni (invece da escludersi per l’operatività dei limiti stabiliti dall’art. 1417 c.c.), con ciò ritenendo esclusa quella di riduzione, siccome incompatibile sia con riguardo alla diversità del “petitum” che della “causa petendi”.

Tuttavia, la Corte veneziana ha omesso di considerare che, pur pervenendosi al rigetto della domanda di collazione per le riportate preclusioni probatorie, le suddette sorelle T. avevano, comunque, ammissibilmente esercitato (quanto meno in via subordinata) l’azione di riduzione, sulla quale, pertanto, la statuizione impugnata risulta del tutto carente sul piano motivazionale ed adottata in violazione dell’art. 112 c.p.c.. Del resto la contemporanea proposizione dell’azione di collazione e dell’azione di riduzione, riferita all’ambito di una preliminare richiesta di declaratoria di simulazione di più atti, non poteva comportare complessivamente l’applicabilità dei limiti di prova fissati dagli artt. 2721 e segg. c.c., poichè, in tema di accertamento della simulazione, assoluta o relativa, di atti compiuti dal “de cuius”, alla stregua della giurisprudenza, anche recente, di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 30 luglio 2004, n. 14562; Cass. 6 ottobre 2005, n. 19468, e Cass. 13 novembre 2009, n. 24134) al cui indirizzo il collegio intende dare continuità, il legittimario, in quanto terzo rispetto all’asse ereditario, è esonerato dalle limitazioni di prova relative alla simulazione, onde, allorquando l’impugnazione sia destinata a riflettersi, oltre che sulla determinazione della quota di riserva, anche sulla riacquisizione del bene oggetto del negozio simulato al patrimonio ereditario, questi si avvantaggerà di tale esonero sia in qualità di legittimario che in quella di successore universale, non potendosi applicare, rispetto ad un unico atto che si assume simulato, per una parte una regola probatoria e per un’altra parte una regola diversa. In altri termini, l’erede legittimario che chieda la dichiarazione di simulazione di una vendita compiuta dal “de cuius” siccome celante una donazione, assume la qualità di terzo rispetto ai contraenti – con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni – quando agisca a tutela del diritto, riconosciutogli dalla legge, all’intangibilità della quota di riserva, proponendo in concreto una domanda di riduzione, nullità o inefficacia della donazione dissimulata. In tale situazione, infatti, la lesione della quota di riserva assurge a “causa petendi” accanto al fatto della simulazione ed il legittimario – benchè successore del defunto – non può essere assoggettato ai vincoli probatori previsti per le parti dall’art. 1417 c.c., nè assume rilievo il fatto che egli – oltre all’effetto di reintegrazione – riceva, in quanto sia anche erede legittimo, un beneficio dal recupero di un bene al patrimonio ereditario, non potendo – come già sottolineato – applicarsi, rispetto ad un unico atto simulato, per una parte una regola probatoria e per un’altra una regola diversa. La Corte di appello di Venezia, omettendo di considerare che era stata proposta anche l’azione di riduzione in funzione della tutela della quota di legittima, ha, quindi, disatteso il suddetto orientamento, escludendo illegittimamente l’ammissibilità della prova testimoniale, dalla valutazione delle cui risultanze si sarebbe potuto pervenire ad esito diverso della controversia. Oltretutto, la motivazione complessiva emergente dalla sentenza impugnata appare anche contraddittoria nelle parti in cui, da un lato, con riferimento al primo motivo di appello relativo agli atti di compravendita per notar Pascucci (assunti come atti dispositivi simulanti donazioni), se ne sostiene l’infondatezza poichè la decisione di primo grado appariva basata anche sulle deposizioni di alcuni testi (sull’implicito presupposto che la relativa prova orale fosse ammissibile), e, dall’altro lato, con riguardo al terzo motivo dell’appello, lo si accoglie rilevando l’inammissibilità della espletata prova testimoniale della simulazione relativa dei medesimi atti.

Pertanto, in virtù delle considerazioni svolte, devono essere accolti il secondo e terzo motivo (evidentemente connessi) proposti dalle ricorrenti, rimanendo in essi assorbito il primo (in conseguenza del superamento della relativa censura prospettata per effetto della ritenuta fondatezza dei suddetti motivi).

5. Con il quarto motivo formulato le ricorrenti hanno denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa e insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Con tale motivo le ricorrenti hanno inteso rappresentare il dedotto vizio motivazionale della sentenza impugnata nella parte in cui, sempre con riferimento alla domanda di simulazione assoluta dei richiamati atti pubblici per notar Pascucci, la Corte di appello di Venezia avrebbe omesso di valutare adeguatamente una serie di circostanze essenziali quali l’assenza di pagamento del prezzo e la deposizione della teste C., unitamente all’accertata circostanza del pentimento della signora S.S..

6. Il motivo non si prospetta meritevole di accoglimento dal momento che – oltre ad essere stato formulato “anche in via alternativa rispetto al primo” (che, come detto, deve intendersi assorbito in dipendenza dell’accoglimento del secondo e terzo) – con esso si censura, in effetti, il mancato accoglimento della domanda di simulazione assoluta delle compravendite del 1990 (per notar Pascucci), che si risolve, però, in una critica all’apprezzamento di fatto sull’effettiva volontà delle parti di vendere o donare i beni, che, tuttavia, risulta fondato su una motivazione sostanzialmente sufficiente circa il mancato raggiungimento di un idoneo riscontro probatorio sul punto, ivi compresa l’adeguata valorizzazione del dedotto pentimento della madre dei T., da cui si sarebbe dovuto inferire che la parti avevano voluto che i contratti conclusi producessero gli effetti loro propri. Si ricorda, in proposito,che, secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, con la conseguenza che tali vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice di merito individuare te fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti.

7. Con il quinto motivo formulato le ricorrenti hanno dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, – la violazione o comunque falsa applicazione degli artt. 809 e 1414 c.c., nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Con questo motivo le ricorrenti hanno inteso confutare la sentenza impugnata – con riguardo al negozio concluso con atto pubblico per notar Volpi del 14 luglio 1971 – sia sotto il profilo dell’erronea interpretazione del rapporto intercorrente tra il regime della simulazione e l’istituto del negozio indiretto, sia con riferimento all’aspetto dell’assunta contraddittorietà delle argomentazioni operate dalla Corte territoriale scaturite dalla sovrapposizione tra il concetto di simulazione parziale del prezzo e quello di donazione indiretta dell’extravalore, nonchè tra il rapporto intercorrente fra la S.S. e il figlio T.P. e quello intercorrente tra questi ultimi due e i terzi costituenti le altri parti del suddetto atto di trasferimento.

8. Con il sesto motivo formulato le ricorrenti hanno censurato la decisione impugnata – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – per nullità della sentenza o del procedimento in dipendenza della violazione dell’art. 112 c.p.c. e, comunque, per omessa e insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio.

Con questo motivo le ricorrenti hanno inteso dedurre l’omessa valutazione della contestazione sul valore dell’immobile costituente oggetto del riferito atto per notar Volpi del 14 luglio 1971 unitamente all’inadeguata motivazione sulle capacità economiche del loro germano T.P..

9. Anche i due ultimi motivi possono essere esaminati insieme in virtù della loro chiara connessione.

Essi sono infondati. Con questi motivi le ricorrenti hanno, in sostanza, inteso censurare, per un verso, la qualificazione come donazione indiretta del menzionato atto del 1971 e l’incongruità dell’inerente motivazione e, per altro verso, hanno dedotto che, avendo in secondo grado formulato appello incidentale con il quale avevano chiesto al giudice di appello di pronunciarsi sull’esatto valore del compendio oggetto del suddetto atto, non poteva ritenersi che la Corte territoriale si fosse effettivamente pronunciata sulla questione o che, in ogni caso, avesse adottato una motivazione sufficiente.

Con riferimento al primo aspetto, la Corte veneziana ha dato atto che, nella specie, sulla base delle prospettazioni degli appellanti T.P. e C.A. che avevano contestato la sentenza di prima istanza nella parte in cui aveva ritenuto che l’atto di compravendita del 1971 simulasse un donazione indiretta in quanto il valore del bene corrispondeva a quello indicato nel contratto, che il T.P., per la quota di sua pertinenza, avrebbe potuto pagare, ha, in effetti, con congrua motivazione, evidenziato che si sarebbe dovuto discorrere piuttosto di donazione indiretta, da intendersi, appunto, come negozio effettivamente voluto dalle parti mediante il quale si tendeva a realizzare un effetto diverso da quello suo proprio. Sulla scorta di tale presupposto, la Corte territoriale ha escluso, sulla scorta di un accertamento in punto di fatto anch’esso adeguatamente motivato sul piano logico- giuridico (e, perciò, incensurabile in questa sede), che vi fosse stato un pagamento, anche parziale, da parte della madre S. S., rilevando, pertanto, che si fosse venuta a configurare la figura della donazione indiretta. A tal proposito, in virtù del regime probatorio relativo a tale negozio, ha dato conto di aver sufficientemente valutato gli elementi istruttori acquisiti, rilevando, in rapporto alla quota conferita al T.P. (5/8 dell’intero) e alla determinazione del suo valore rapportato all’epoca (considerando anche la circostanza della preventiva stipula di apposito preliminare), che lo stesso T. avesse i mezzi economici per far fronte (in relazione ai risparmi realizzati e alle rendite della sua attività lavorativa) al pagamento del prezzo rapportato alla quota di sua spettanza.

Con riguardo al secondo aspetto (riconducibile alla doglianza riportata ne sesto motivo) il collegio rileva, in primo luogo, che non si verte in una ipotesi di omessa pronuncia per la semplice ragione che la Corte territoriale ha provveduto ad esaminare l’inerente motivo dedotto con l’appello incidentale (da correlarsi, peraltro, a quanto già evidenziato in relazione al quarto motivo dell’appello principale); quanto al prospettato vizio motivazionale, la critica mossa con il motivo in questione (attinente agli aspetti del valore dell’immobile nel 1971 e sulla capacità reddituali del T.P.) si sostanzia, in effetti, nella sollecitazione di una rivalutazione del merito dell’apprezzamento operato dalla Corte di appello, che – sulla scorta del consolidato principio precedentemente richiamato – non è possibile operare nella presente sede di legittimità, avendo, peraltro, la stessa Corte territoriale sufficientemente giustificato il suo convincimento sulla scorta delle complessive emergenze probatorie, acquisite anche in primo grado (e, sul punto, già specificamente e compiutamente motivate anche dal Tribunale), che erano risultate tali da poter far fondatamente evincere che il T.P. (che all’epoca della stipula dell’atto per notar Volpi già lavorava regolarmente, con riscontro documentale dei relativi introiti) avesse la disponibilità economica per corrispondere la parte di prezzo quale corrispettivo della sua quota.

10. In definitiva, il ricorso deve essere accolto nei limiti precedentemente indicati, ovvero con riferimento al secondo e terzo motivo, in essi assorbito il primo, con rigetto degli altri motivi, cui consegue la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio dinanzi ad altra sezione della Corte di appello di Venezia, che procederà ad un nuovo esame delle domande proposte in appello ed interessate dalla presente pronuncia di annullamento, in ordine al quale si atterrà al principio di diritto complessivamente illustrato in precedenza (v.

sub 4). Lo stesso giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso, in essi assorbito il primo; rigetta gli altri; cassa e rinvia, in relazione ai motivi accolti, anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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