Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19008 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. I, 31/07/2017, (ud. 06/06/2017, dep.31/07/2017),  n. 19008

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FICHERA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 20894/2011 R.G. proposto da:

A.M. (C.F. (OMISSIS)), rappresentato e difeso dall’avv.

Massimo Di Lauro, elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’avv. Guido Parlato, in Roma, via di Porta Pinciana 6;

– ricorrente –

contro

Intesa San Paolo s.p.a. (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv.

Salvatore Marsella, elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’avv. Dario Martella, in Roma, largo di Torre Argentina 11.

– controricorrente –

e contro

Fallimento della (OMISSIS) s.r.l., in persona del curatore pro

tempore, D.C.G..

– intimati –

avverso la sentenza n. 143/2011 della Corte d’appello di Napoli,

depositata il 26 gennaio 2011.

Sentita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 giugno

2017 dal Consigliere Fichera Giuseppe.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 26 gennaio 2011, ha respinto il gravame, salva la correzione di un errore di calcolo, proposto da A.M. avverso la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, che lo aveva condannato, quale curatore del fallimento della (OMISSIS) s.r.l., a rifondere alla Sanpaolo Imi s.p.a. la metà delle somme da quest’ultima versate a titolo di risarcimento alla procedura, a seguito dell’azione di responsabilità, promossa dal nuovo curatore fallimentare nei confronti dei predetti, a causa di taluni ammanchi verificatisi sul libretto di deposito aperto presso la detta banca, risultato nella materiale disponibilità del terzo D.C.G..

La corte d’appello, anzitutto, ha considerato irrilevante la mancata trasmissione del fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado e, per quanto qui ancora rileva, ha giudicato inammissibili sei su sette motivi di appello formulati dall’ A., in difetto di specifiche censure nei confronti della sentenza di primo grado.

A.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; Intesa San Paolo s.p.a. – già Sanpaolo Imi s.p.a. – ha depositato controricorso, mentre non hanno spiegato difese il fallimento della (OMISSIS) s.r.l. e D.C.G..

La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380 – bis c.p.c., comma 1.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo deduce A.M. la violazione degli artt. 116 e 342 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), poichè la corte d’appello ha erroneamente ritenuto inammissibili i motivi di gravame, nonostante le specifiche censure sollevare nel corpo dell’atto di appello alla sentenza di primo grado.

Con il secondo motivo assume la violazione degli artt. 116 e 347 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5), avendo il giudice di appello ritenuto irrilevante la mancata acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado, nonostante dall’incartamento potessero trarsi elementi istruttori decisivi per la sorte del giudizio.

2. Il primo motivo è infondato.

Com’è noto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nel giudizio di appello – che non è un novum iudicium – la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e tale specificità esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico – giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono.

Ne consegue che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che fissando i limiti della controversia in sede di gravame, consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva deve sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (Cass. 27/09/2016, n. 18932; Cass. 18/04/2007, n. 9244; Cass. 27/01/2014, n. 1651; Cass. 13/04/2010, n. 8771).

Orbene, nella sentenza della corte d’appello che ha respinto sei fra i sette motivi di appello formulati dall’ A., si osserva come, accanto a taluni motivi (il primo, il secondo, il terzo, il quarto e il settimo) formulati in maniera generica, non autosufficiente, ovvero non rilevanti ai fini della decisione, altri (il quinto motivo) riproducevano il contenuto della comparsa conclusionale di primo grado, senza muovere critica di sorta alle argomentazioni del tribunale, pure analiticamente richiamate dalla medesima corte d’appello.

E sul punto la decisione del giudice di merito si mostra pienamente conforme al dettato dell’art. 342 c.p.c., non meritando critiche di sorta, avuto riguardo alla estrema genericità ed indeterminatezza delle doglianze sollevate dall’appellante principale, il quale si è limitato in larga parte a riprodurre le difese articolate nel giudizio di prime cure, rinviando senz’altro alle “chiare deposizioni dei testi escussi”, alle “dichiarazioni confessorie” di una parte del processo, nonchè alle “risultanze processuali in sede penale”, senza neppure riprodurre i brani degli atti istruttori ritenuti rilevanti e senza addurre puntuali argomentazioni idonee almeno astrattamente – a scalfire la motivazione assunta dal primo giudice.

3. Il secondo motivo è parimenti infondato.

Com’è noto, l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado nel processo d’appello ha una funzione meramente sussidiaria, sicchè, in mancanza, il procedimento di secondo grado e la relativa sentenza non sono viziati, nè tale omissione può costituire motivo di ricorso per cassazione, salvo che il ricorrente deduca che da detto fascicolo il giudice avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi su uno o più punti controversi della causa, non rilevabili aliunde, che è suo onere indicare specificatamente (Cass. 29/01/2016, n. 1678; Cass. 19/01/2010, n. 688).

Nella vicenda all’esame, invece, è all’evidenza come l’eventuale disamina delle prove testimoniali rese nel giudizio di primo grado, pure invocata dal ricorrente, non avrebbe giovato ad un diverso esito del giudizio, avendo la corte d’appello, come visto in precedenza, dichiarato inammissibili tutti i motivi di gravame non accolti.

4. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

PQM

 

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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