Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19003 del 14/09/2020
Cassazione civile sez. VI, 14/09/2020, (ud. 07/07/2020, dep. 14/09/2020), n.19003
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11674-2019 proposto da:
L.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BOEZIO 19,
presso lo studio dell’avvocato GILBERTO CERUTTI, che la rappresenta
e difende;
– ricorrente –
contro
F. MIN DI E.F. MIN SAS, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
EZIO 24, presso lo studio dell’avvocato GIANCARLO PEZZANO, che la
rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 767/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 22/02/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 07/07/2020 dal Presidente Relatore Dott. LUCIA
ESPOSITO.
Fatto
RILEVATO
CHE:
La Corte d’appello di Roma confermava la decisione di primo grado di rigetto della domanda avanzata da L.L. nei confronti di F. MIN DI E.F. MIN SAS per l’accertamento dello svolgimento di mansioni superiori;
rilevavano i giudici del merito che la L. aveva omesso qualsiasi allegazione a fondamento della domanda, essendosi limitata a descrivere in modo generico le mansioni, a suo dire riconducibili al livello quarto, senza descrivere il contenuto della relativa declaratoria contrattuale, fornire allegazioni idonee a ricondurre le mansioni svolte a tale livello di inquadramento ed effettuare la comparazione con il livello in suo possesso;
avverso la sentenza propone ricorso per cassazione L.L. sulla base di unico articolato motivo;
resiste la società con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti- unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
entrambe le parti hanno prodotto memorie.
Diritto
CONSIDERATO
CHE:
L’unico motivo, formulato in termini di violazione di legge (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.), si articola in due rilievi: per un verso si afferma che è illogico e comunque eccessivamente formalistico il difetto di allegazione rilevato nella motivazione della Corte, per altro verso si lamenta che la Corte territoriale abbia adottato una aprioristica interpretazione della domanda, giacchè la ricorrente, pur allegando lo svolgimento di mansioni di cameriera di ristorante, aveva chiesto comunque e principalmente l’accertamento del diritto alle differenze retributive fra una prestazione a tempo pieno e una prestazione a tempo parziale, quale risultante dalle buste paga;
la censura si appalesa inammissibile sotto il primo aspetto, poichè investe la rilevazione e l’interpretazione del contenuto della domanda, attività riservata al giudice del merito, insindacabile se, come nella specie, non si prospetti che lo stesso Giudice sia incorso in un vizio di nullità processuale o di violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, mentre l’erronea qualificazione di un fatto allegato può assumere rilevanza in termini di vizio di motivazione, il cui esame in concreto è precluso, versandosi in ipotesi di doppia conforme, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e dell’art. 348 c.p.c., u.c. (Cass. 11103 del 10/6/2020);
il secondo profilo di censura è del pari inammissibile, poichè con esso si deduce, nella sostanza, l’omessa trattazione da parte del Giudice del merito di un capo di domanda, senza che la sua formulazione sia riportata puntualmente e in difetto di specifica indicazione e trascrizione, nelle parti rilevanti, degli atti processuali dai quali desumere che tale capo sia stato proposto – e in che termini – nel giudizio di primo grado e quale censura sia stata svolta al riguardo in appello (cfr. Cass. 5344 del 4/3/2013);
in base alle svolte argomentazioni il ricorso va dichiarato inammissibile, con liquidazione delle spese secondo soccombenza.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 7 luglio 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2020