Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1900 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. II, 27/01/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 27/01/2011), n.1900

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 6723/07) proposto da:

B. VED. V.I. (C.F.: (OMISSIS)), quale

erede di V.L. di M. e di C.L.,

rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del

ricorso, dall’Avv. Frau Giovanni ed elettivamente domiciliata presso

il suo studio in Roma, via Sardegna, n. 38 (c/o studio Caporale);

– ricorrente –

contro

EREDITA’ GIACENTE DI L.N., in persona del curatore

Avv. T.L., rappresentata e difesa dagli Avv. Pontecorvo

Edoardo e Napoli Mario, in virtù di procura speciale apposta a

margine del controricorso giusta autorizzazione del giudice della

curatela del Tribunale di Torino in data 6 marzo 2007, elettivamente

domiciliata presso lo studio del primo in Roma, viale Carso, n. 77;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Torino n. 1076/2006,

depositata il 19 giugno 2006;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 1

dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito l’Avv. Edoardo Pontecorvo per la controricorrente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Velardi Maurizio, che ha concluso per l’accoglimento

del primo motivo dei ricorso con assorbimento degli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 2 dicembre 1989, il sig. V.d.M.L. e di C. conveniva dinanzi al Tribunale di Torino lo zio L.N. e, sul presupposto che aveva ereditato, nel (OMISSIS), dalla madre V. (sorella del suddetto N.) un ingentissimo patrimonio composto da beni immobili e mobili anche di particolare pregio e valore che aveva affidato alla gestione (in qualità di mandatario) dell’indicato zio, chiedeva che quest’ultimo rendesse il conto, ai sensi dell’art. 1713 c.c., delle operazioni realizzate, nonchè della detenzione di beni mobili di varia natura.

Costituitosi il convenuto (che proponeva anche domanda riconvenzionale per la condanna dell’attore alla rimessione di un saldo del prezzo ricevuto per la vendita di un immobile), nel prosieguo del giudizio si verificavano varie vicende modificative incidenti sul rapporto processuale instauratosi e in particolare: – il 30 gennaio 2001, il difensore del convenuto ne dichiarava in udienza il decesso con conseguente interruzione del giudizio, a cui seguiva, in data 20 luglio 2001, il deposito nell’interesse dell’attore del ricorso in riassunzione; – il 7 settembre 2001 l’attore notificava l’atto in riassunzione al sig. V.d.

T.F. e C. (nipote del L.), individuato, in seguito all’avvenuta rinuncia all’eredità da parte di B. (figlia), di A. e L. (nipoti) e di lui medesimo, quale unico erede del convenuto (il quale, tra l’altro, rimaneva contumace); – il 18 aprile 2002, si costituiva in giudizio la signora B.I., in qualità di erede (siccome coniuge) dell’attore V.L., anch’egli, nelle more, deceduto (il (OMISSIS)); – il 6 dicembre 2002, la predetta B., in considerazione dell’esito negativo dell’interpello rivolto, ai sensi dell’art. 481 c.c., al V., a fine dell’accettazione dell’eredità del L., e verificata l’inesistenza di altri chiamati nel possesso dei beni ereditari, depositava il ricorso per la nomina di un curatore dell’eredità giacente ex art. 528 c.c., che veniva individuato, in data 9 dicembre 2002, nella persona dell’avv. T.L.; – il 3 febbraio 2003, il menzionato curatore si costituiva, previa autorizzazione giudiziale, per eccepire l’avvenuta estinzione del giudizio in dipendenza dell’assunta inosservanza del termine semestrale di riassunzione, oltre che per far proprie le difese di merito già svolte dal L.. Il Tribunale adito, con sentenza in data 10 ottobre 2003, accoglieva l’indicata eccezione e, per l’effetto, dichiarava estinto il giudizio ai sensi dell’art. 305 c.p.c., compensando le spese di lite.

In virtù di appello ritualmente interposto dalla signora B. I. (mediante il quale veniva dedotta l’erroneità della dichiarazione di estinzione pronunciata dal giudice di prima istanza), l’adita Corte di appello di Torino, nella resistenza della suddetta Curatela, con sentenza n. 1076 del 2006 (depositata il 19 giugno 2006), respingeva la proposta impugnazione, confermando la gravata decisione, e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata sentenza la Corte territoriale rilevava l’infondatezza dell’appello sul presupposto che l’estinzione del giudizio era stata, nella specie, correttamente pronunciata poichè l’originario attore, pur avendo provveduto, in effetti, a depositare, nel rispetto dei sei mesi dalla notizia dell’evento interruttivo, il ricorso per riassunzione, aveva, tuttavia, omesso di notificare, nel termine assegnatogli dal giudice, l’atto di riassunzione ed il decreto di fissazione dell’udienza di prosecuzione al soggetto passivamente legittimato a proseguirlo, senza che a tale adempimento avesse provveduto tempestivamente anche la subentrata erede B. I..

Avverso la suddetta sentenza di appello (notificata il 21 dicembre 2006) ha proposto ricorso per cassazione (notificato alla controparte il 19 febbraio 2007) la suddetta sig.ra B.I. ved.

V., articolato, complessivamente, su quattro motivi, al quale ha resistito con controricorso l’intimata Curatela dell’eredità giacente di L.N.. I difensori delle parti hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata sotto due distinti profili (riportati come 1 e 1 bis), ovvero per violazione e falsa applicazione degli artt. 303 e 305 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nella parte in cui dispongono che, ai fini della tempestività della riassunzione, il processo deve essere riassunto entro il termine perentorio di sei mesi dall’interruzione (circostanza in mancanza della quale il processo si estingue), nonchè (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul riportato aspetto, avendo la Corte di appello dichiarato estinto il processo a causa della mancata notifica del ricorso e del decreto di riassunzione entro il termine semestrale.

Con riguardo al primo aspetto la difesa della ricorrente ha formulato il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.: “Voglia la S.C. statuire se, ai fini della tempestività della riassunzione del procedimento interrotto, sia o meno sufficiente il deposito, da parte del soggetto interessato, entro il termine stabilito dal combinato disposto degli artt. 303 e 305 c.p.c. del ricorso finalizzato a ottenerne la prosecuzione”. Con riferimento a secondo aspetto la suddetta difesa ha censurato, di conseguenza, la motivazione della sentenza impugnata, individuando, quale momento di sintesi, l’insufficienza della stessa in ordine all’errata interpretazione delle citate norme processuali che aveva condotto la Corte territoriale a confermare la decisione di estinzione del giudizio.

1.1. Con il secondo motivo, anch’esso scomposto in due profili (indicati come 2 e 2 bis), la ricorrente ha, per un verso, denunciato (in virtù dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione dei citati artt. 303 e 305 c.p.c. nella parte in cui dispongono che, ai fini della tempestività della riassunzione, il processo possa essere riassunto previo deposito del relativo ricorso presso il competente giudice entro il termine perentorio di sei mesi dall’interruzione, senza necessità che il medesimo procedimento sia anche proseguito entro il citato termine, previa notifica di detto decreto entro il medesimo termine semestrale, e, per altro verso, ha prospettato (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto appena evidenziato, avendo la Corte di appello ritenuto estinto il processo a causa della mancata notifica del ricorso e del decreto di riassunzione entro il termine semestrale.

In relazione al primo profilo la difesa della ricorrente ha prospettato il seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.: “Voglia la S.C. statuire se, ai sensi dell’art. 303 e dell’art. 305 c.p.c., la riassunzione del processo possa dirsi ritualmente avvenuta nel caso in cui il ricorso per l’ottenimento del relativo decreto sia stato depositato entro il termine semestrale concesso dalla legge, a prescindere, in concreto, dall’intervenuta esatta notifica del ricorso e del pedissequo decreto ai soggetti legittimati passivi, sussistendo, in siffatti casi, al più, un obbligo di ordinare la rinnovazione della notificazione in capo al giudice, impossibilitato, invece, in assenza della rinnovazione d’ufficio del termine, a dichiarare l’estinzione del processo”. Con riferimento al secondo profilo la menzionata difesa ha censurato, di conseguenza, la motivazione della sentenza impugnata, individuando, quale momento di sintesi, l’insufficienza della stessa in ordine all’errata interpretazione delle citate norme processuali anche sotto l’aspetto del mancato ordine di rinnovazione della notifica nella fattispecie, che aveva condotto la Corte territoriale a confermare illegittimamente la pronunzia di primo grado di estinzione del giudizio.

1.2. Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto della ravvisata imputabilità della mancata notifica, nel termine semestrale, del decreto di riassunzione ad una sua ritenuta negligenza per le seguenti ragioni:

– sia perchè (come già rilevato nel primo mezzo del ricorso) pretendere che dovessero essere effettuati entro sei mesi dall’interruzione sia la notifica che lo svolgimento di tutte le attività necessarie alla identificazione del legittimato passivo si sarebbe risolto in una lettura atta a cagionare un indebito pregiudizio a carico del procedente e, pertanto, in una compressione del suo diritto alla difesa e in una palese discriminazione tra soggetti riassumenti; – sia perchè, in concreto, tutta l’attività era stata svolta di concerto con il giudice di primo grado, che all’uopo aveva espletato, invero, anche un’attività di controllo della condotta processuale dell’attrice, onde risultava difficilmente sostenibile, e contrario al principio di non contraddizione che deve informare il nostro ordinamento, asserirne la colpevolezza per lo svolgimento di attività disposte dallo stesso giudice.

1.3. Con il quarto motivo la ricorrente ha prospettato, ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata sul punto della ritenuta interruzione del procedimento nonostante la costituzione in giudizio del curatore dell’eredità giacente del defunto convenuto, non avendo la Corte territoriale idoneamente valutato che il curatore non si era costituito solo eccependo l’estinzione del processo, bensì anche contestando i fatti dedotti in giudizio ed entrando nel merito delle questioni sostanziali sollevate dall’attrice.

2. Rileva il collegio che i primi tre riportati motivi – che risultano supportati dall’idonea illustrazione del requisito imposto dall’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella fattispecie, risultando pubblicata la sentenza impugnata il 19 giugno 2006) – possono essere esaminati congiuntamente perchè intimamente connessi e riguardanti, sotto plurimi profili, la medesima questione processuale dedotta in questa sede.

E’ preliminare osservare che la Corte territoriale, nel rigettare l’appello proposto dall’attuale ricorrente e nel confutare l’impostazione dell’impugnazione dalla stessa prospettata, aveva evidenziato che, sul piano strettamente letterale, gli artt. 302 e 303 c.p.c. configurano la fattispecie di riassunzione in termini complessi, includendovi non solo la presentazione del ricorso, ma anche la notifica del ricorso stesso unitamente al decreto giudiziale di rifissazione dell’udienza di prosecuzione del giudizio. Nel rimarcare tale aspetto la Corte di appello di Torino, ponendo riferimento ad un principio ritenuto costantemente ribadito in giurisprudenza (si citano, in proposito, Cass. 28 giugno 2002, n. 9504, e Cass. 18 aprile 2002, n. 5625), ha sottolineato che, se è vero che per la tempestività della riassunzione del processo interrotto è sufficiente il deposito della relativa istanza nel termine di sei mesi, altrettanto indubitabile è che intanto l’effetto riassuntivo si perfeziona con riguardo al soggetto nei cui confronti il processo deve continuare, in quanto avvenga la notificazione del ricorso e del decreto nel termine assegnato dal giudice, precisandosi che, al fine di evitare l’estinzione del processo, nell’impossibilità di osservare il termine (comunque ordinatorio) indicato dal giudice per la prescritta notifica, la parte riassumente deve ritenersi obbligata a chiederne una proroga prima della sua scadenza (eventualità che – secondo l’avviso dello stesso giudice di appello – non si era venuta a verificare nel caso esaminato, nel quale l’attore originario prima aveva notificato l’atto di riassunzione nei confronti di un soggetto che non aveva la qualità di erede e la B., poi, costituitasi volontariamente quale erede in sostituzione del sig. V.L. (nelle more deceduto), aveva esercitato l’actio interrogatoria ex art. 481 c.c. ben oltre i termini di riassunzione e, solo dopo il suo esito negativo, si era attivata per la l’apertura dell’eredità giacente del convenuto provvedendo a richiederne la nomina di un curatore al competente tribunale).

Rileva il collegio che la suddetta ricostruzione operata dalla Corte territoriale non si profila corretta alla luce del superamento del ricordato indirizzo giurisprudenziale tenuto presente, avendo questa Corte, con la sentenza a Sezioni unite n. 14854 del 28 giugno 2006, dirimendo il contrasto prima manifestatosi sulla relativa questione, stabilito, in via principale, che l’osservanza del termine di riassunzione, ove ne sia prescritto il compimento in forma di ricorso, debba essere valutata con riguardo esclusivo al momento del deposito in cancelleria del ricorso medesimo. In particolare con la suddetta sentenza n. 14854/2006 (a cui si sono conformate le successive pronunce, tra cui Cass., sez. 1^, 8 marzo 2007, n. 5348;

Cass., sez. 1^, 6 settembre 2007, n. 18713; Cass., sez. 3^, 16 marzo 2010, n. 6325, e, da ultimo, Cass., sez. 3^, 7 luglio 2010, n. 16016), le Sezioni unite (riprendendo, in particolare, le argomentazioni di Cass., sez. 3^, 1 luglio 2005, n. 14085, già opportunamente richiamata nel ricorso della B.) hanno posto in risalto come l’art. 305 c.p.c. (nel testo risultante a seguito della sentenza n. 159/1971 della Corte costituzionale) fissi per la riassunzione il termine perentorio di sei mesi a decorrere dalla data in cui le parti hanno avuto conoscenza dell’evento interruttivo, ma non specifica espressamente se entro quel termine debbano essere espletate entrambe le fasi del procedimento di riassunzione sopra menzionate, ovvero soltanto la prima di esse. La risposta, tuttavia, appare obbligata. Il termine in questione è posto, infatti, a carico della parte che intenda procedere alla riassunzione, ma solo la prima delle due fasi del procedimento – il deposito in cancelleria del ricorso per riassunzione – dipende immediatamente dall’iniziativa della parte stessa, essendo poi rimesso al giudice di stabilire i tempi entro cui dovrà essere espletata la seconda fase, consistente nella notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza. A tal proposito si osserva che può ben accadere che il termine fissato dal giudice per eseguire la notificazione prescritta dall’art. 303 c.p.c. oltrepassi la scadenza semestrale prevista dal citato art. 305 c.p.c., onde è inevitabile che l’intero procedimento di riassunzione si completi oltre detta scadenza, specificandosi come non sia dubitabile che siffatto termine di notificazione, in sè solo considerato, abbia natura meramente ordinatoria, posto che il richiamato art. 303 c.p.c. non dispone diversamente. Alla stregua di questa premessa, le Sezioni unite hanno ritenuto che costituirebbe una soluzione incongrua (anche con riferimento al parametro costituzionale di cui all’art. 24 Cost.) far dipendere la concreta possibilità di disporre la rinnovazione di quella notificazione, se viziata, dalla scadenza di un termine che si riferisce ad un adempimento già compiuto e che potrebbe essere o meno già decorso in conseguenza di un evento del tutto indipendente dall’attività della parte medesima. Pertanto, è stata ritenuta preferibile l’opzione ermeneutica (già fatta propria dalla citata Cass. n. 14085/2005), in virtù della quale, in presenza di un meccanismo di riattivazione del rapporto processuale interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata “editio actionis” da quello della “vocatio in ius”, il termine perentorio indicato dall’art. 305 c.p.c. sia riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento e recuperato così il contatto tra la parte interessata ed il giudice, quel termine non può più sortire alcun effetto. La fissazione successiva ad opera del medesimo giudice di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, presuppone che quell’altro precedente termine sia stato rispettato, ma ormai ne prescinde e risponde, invece, unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della “vocatio in ius”, ivi compresa quella – espressamente menzionata dal citato art. 303 c.p.c., u.c. – secondo la quale la parte cui l’atto sia stato notificato e che non si sia costituita deve essere dichiarata contumace. Le Sezioni unite hanno, perciò, concluso che bisogna, appunto, porre riferimento alle disposizioni dettate dall’art. 291 c.p.c., implicitamente così richiamate, per individuare la disciplina applicabile in caso di nullità della notifica dell’atto di riassunzione; donde la conseguenza che, in simili casi, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notifica medesima entro un termine perentorio (e che tale è perchè così espressamente lo definisce il citato art. 291 c.p.c., comma 1), solo il mancato rispetto del quale determinerà poi l’eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291 c.p.c., u.c. e del successivo art. 307 c.p.c., comma 3.

Ciò posto, si prospetta evidente che, nella fattispecie, essendo stato depositato il ricorso in riassunzione nel prescritto termine semestrale (ovvero il 20 luglio 2001 a fronte della dichiarazione dell’evento interruttivo intervenuta il 30 gennaio 2001), non poteva conseguire la declaratoria di estinzione.

E’, peraltro, importante sottolineare che, al di là dell’eventualità della rinnovazione di una notificazione nulla dell’atto di riassunzione da attivare secondo il riferito meccanismo individuato dalle Sezioni unite, alla parte riassumente si impone, malgrado la natura ordinatoria del termine per la notifica stessa, un onere di diligenza nel garantire il sollecito ristabilimento del contraddittorio per la prosecuzione del giudizio, attraverso la corretta individuazione (per quanto possibile) delle parti passivamente legittimate a continuarlo o a superare gli ostacoli (oggettivi o soggettivi) che si frappongono per garantire l’effettività dell’instaurazione del nuovo contraddittorio, non potendosi demandare la riattivazione del sub-procedimento notificatorio alla completa discrezionalità dello stesso riassumente, in modo tale da determinare uno stato di quiescenza del processo non temporalmente definibile che prescinda da un’attività di controllo del giudice, il cui intervento, perciò, deve essere idoneamente sollecitato mediante la richiesta di rifissazione di un nuovo termine anteriormente alla scadenza di quello preventivamente assegnato. Anche la più recente giurisprudenza di questa Corte (v.

Cass., sez. lav., 20 marzo 2008, n. 7611) ha avuto modo, in proposito, di riconfermare e di puntualizzare che, in tema di interruzione del processo, una volta eseguito tempestivamente il deposito del ricorso in cancelleria con la richiesta di fissazione di una udienza, il rapporto processuale, quiescente, è ripristinato con integrale perfezionamento della riassunzione, non rilevando l’eventuale errore sulla esatta identificazione della controparte contenuto nell’atto di riassunzione, che opera, in relazione al processo, in termini oggettivi ed è valido, per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.c., quando contenga gli elementi sufficienti ad individuare il giudizio che si intende far proseguire;

ne consegue che il termine di sei mesi, previsto dall’ari 305 c.p.c., non svolge alcun ruolo nella successiva notifica del ricorso e dell’unito decreto, che è volta unicamente ad assicurare il corretto ripristino del contraddittorio ed il rispetto delle regole proprie della “vocatio in jus”, ivi compresa quella relativa alla regolarità della dichiarazione di contumacia. Il giudice, pertanto, ove la notifica sia viziata od inesistente o, comunque, non sia stata correttamente compiuta in ragione di un’erronea od incerta individuazione del soggetto che deve costituirsi, deve ordinarne la rinnovazione, con fissazione di un nuovo termine, e non può dichiarare l’estinzione del processo.

Orbene, alla luce del coacervo dei principi complessivamente enunciati, non può dirsi che, nella fattispecie, all’attore originario e all’attuale ricorrente, nella subentrata qualità (quale parte riassumente il giudizio in primo grado a seguito della dichiarata interruzione) fosse specificamente addebitabile un difetto di diligenza nel completamento del sub-procedimento notificatorio poichè, alla stregua del consentito esame degli atti sulla scorta del sollecitato sindacato sull’inosservanza di norme processuali, è effettivamente emerso che la parte riassumente si è sempre ritualmente e doverosamente attenuta alle preventive disposizioni del giudice di primo grado, senza aver omesso la notifica del ricorso in riassunzione che, in assenza di un soggetto che potesse qualificarsi come erede accettante, l’aveva comunque tempestivamente effettuata nei confronti di un chiamato (che successivamente aveva dichiarato di non voler accettare la delazione), nel frattempo promuovendo sia l'”actio interrogatoria” prevista dall’art. 481 c.c. che l’apertura dell’eredità giacente con la conseguente nomina di un suo curatore, solo all’esito della quale era stato possibile ripristinare l’effettivo contraddittorio per la prosecuzione del giudizio precedentemente interrotto.

Dai suddetti atti del giudizio si evincono i seguenti passaggi: – che all’udienza del 30 gennaio 2001 era stata dichiarata l’interruzione del giudizio per avvenuta attestazione del sopravvenuto decesso del convenuto L.N. (avvenuto il 27 ottobre 1999, e perciò da oltre un anno); – in data 20 luglio 2001, la difesa dell’originario attore V.L. aveva depositato il ricorso in riassunzione del giudizio, a cui aveva fatto seguito l’emissione del decreto di rifissazione dell’udienza di prosecuzione per il 6 dicembre 2001, concedendo termine fino al 29 settembre 2001 per la notifica al chiamato “ex lege” all’eredità del predetto convenuto, sig. V.F., che veniva eseguita il 7 settembre 2001; – alla fissata udienza del 6 dicembre 2001, il designato G.O.A., verificata la ritualità dell’avvenuta notificazione del ricorso in riassunzione e la mancata costituzione del V., ne dichiarava la contumacia e differiva la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza dell’11 aprile 2002: – solo in quest’ultima udienza il difensore dell’originario attore, previa dichiarazione dell’intervenuto decesso del suo assistito, dichiarava di costituirsi in giudizio con apposita memoria nell’interesse della moglie (quale erede) dell’indicato attore, B.I., chiedendo apposito termine per verificare se il predetto V.F. avesse accettato l’eredità del L. (alla quale avevano già rinunciato gli altri chiamati) e, quindi, per esercitare, in caso negativo, l'”actio interrogatoria”; – espletato in detta udienza, senza successo, il tentativo di conciliazione ai sensi della L. 22 luglio 1997, n. 276, art. 13, la causa veniva rinviata nuovamente per la decisione all’udienza del 20 giugno 2002; – in questa udienza il difensore della B.I. (costituitasi volontariamente alla precedente udienza quale primo momento utile successivamente al decesso del coniuge, evitandosi, peraltro, la dichiarazione di ulteriore interruzione) faceva presente che, in mancanza di accettazione espressa dell’eredità del L. da parte del V., era stato già proposto tempestivamente ricorso al giudice competente per la fissazione del termine ai sensi dell’art. 481 c.c., che era stato individuato con riferimento alla scadenza del 30 ottobre 2002, riservandosi all’esito, in caso negativo, di attivare prontamente la procedura per l’apertura dell’eredità giacente al fine della nomina di apposito curatore, nei cui confronti proseguire legittimamente il giudizio; – differito il processo alla successiva udienza del 29 gennaio 2003 anche per la comparizione delle parti ai sensi della L. n. 276 del 1997, citato art. 13, che si teneva effettivamente il 3 febbraio 2003, in essa, oltre a comparire il difensore della B.I., presenziava anche il difensore dell’eredità giacente di L.N., che si era costituito volontariamente nell’interesse della stessa in forza di procura del 31 gennaio 2003 conferita dal curatore avv. T.L. nominato – su istanza della stessa B. – dal Tribunale di Torino in data 9 dicembre 2002; – il giudizio veniva, quindi, rinviato nella stessa udienza per la precisazione delle conclusioni.

Alla luce dell’evidenziazione dei suddetti passaggi del processo di primo grado, sul presupposto della tempestività del precedente deposito del ricorso in riassunzione a seguito della disposta interruzione del giudizio per il dichiarato decesso dell’originario convenuto, si evince che l’odierna ricorrente (costituitasi volontariamente solo a decorrere dall’udienza dell’11 aprile 2002, a seguito del decesso dell’attore, che aveva provveduto a notificare, in prima battuta, tempestivamente il ricorso in riassunzione all’unico chiamato all’eredità, che ancora non aveva espressamente nè rinunciato nè accettato) aveva esercitato tutte le iniziative necessarie per favorire, nel modo più sollecito possibile, la prosecuzione del giudizio nei confronti del soggetto effettivamente legittimato e, per adempiere a tale onere di diligenza, aveva – nel corso della continuità dello svolgimento del processo di primo grado e sotto il diretto controllo del giudice al quale era stata chiesta la concessione degli appositi termini per far fronte sia all'”actio interrogatoria” di cui all’art. 481 c.c. che all’apertura dell’eredità giacente ai sensi del combinato disposto dell’art. 528 c.c. e art. 721 c.p.c. – svolto tutte le attività idonee (considerate anche le particolarità del caso) al raggiungimento dell’indicato scopo, che si erano venute a realizzare, in via definitiva (dopo l’espletamento delle altre necessarie formalità contemplate dalla legge), con la nomina del curatore dell’eredità giacente e la tempestiva costituzione in giudizio del relativo curatore nominato. Per questa ragione (valorizzata anche la circostanza della successiva costituzione volontaria della B. I. in dipendenza del sopravvenuto decesso dell’originario attore e dell’andamento del processo, che non aveva consentito, oltretutto, di utilizzare la modalità di notificazione del ricorso in riassunzione ai sensi dell’art. 303 c.p.c., comma 2, presso l’ultimo domicilio del defunto in persona degli eredi collettivamente ed impersonalmente) non sono individuabili alcuna inerzia o alcun ritardo imputabili alla stessa (e, prima ancora, al V.L.) dai quali far conseguire – diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello di Torino nella sentenza impugnata – l’effetto sanzionatorio dell’estinzione del giudizio.

3. In definitiva, in accoglimento dei primi tre motivi del ricorso proposto nell’interesse della sig.ra B.I. (in essi assorbito il quarto, in quanto superato dalla ravvisata fondatezza degli altri, non trascurandosi, peraltro, che la curatela aveva formalizzato tempestivamente l’eccezione di estinzione prima di ogni altra sua difesa), la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Torino, da individuarsi correttamente quale tale ai sensi dell’art. 383 c.p.c., comma 1, avendo la Corte territoriale, nella specie, rigettato l’appello e confermato la decisione di estinzione pronunciata in primo grado dal Tribunale a seguito della rimessione della causa per la decisione ai sensi dell’art. 189 c.p.c. (e, quindi, essendo stato investito anche del merito della controversia), rientrando, quindi, nei suoi poteri, in virtù del pieno effetto devolutivo dell’appello, la possibilità di trattenere la causa e deciderla nel merito, qualora avesse ritenuto fondato il motivo relativo alla dichiarata estinzione in prima istanza (non ricadendosi nell’ipotesi testualmente e tassativamente prevista dall’art. 354 c.p.c., comma 2, per la rimessione della causa al primo giudice: v., per opportuni riferimenti, Cass. 15 luglio 1980, n. 4545; Cass. 9 luglio 1987, n. 5976, e Cass. 29 maggio 2008, n. 14343).

L’indicato giudice di rinvio provvederà anche sulla disciplina delle spese del presente giudizio e si atterrà, al fine della prosecuzione del giudizio illegittimamente dichiarato estinto, al principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite con la richiamata sentenza n. 14854 del 2006, con la specificazione che, in ogni caso, una volta depositato tempestivamente il ricorso in riassunzione ex art. 303 c.p.c., non può pervenirsi alla declaratoria di estinzione del giudizio, in relazione al disposto dell’art. 307 c.p.c., commi 3 e 4 (nel testo previgente alla L. n. 69 del 2009), qualora la parte riassumente si sia adeguatamente ed altrettanto tempestivamente attivata nel richiedere al giudice (assolvendoli sotto il suo diretto controllo) i necessari adempimenti nei termini assentiti per il completamento del subprocedimento notificatorio nei casi di obiettiva difficoltà nell’individuazione del soggetto passivamente legittimato alla prosecuzione del processo o di altri oggettivi ostacoli di natura processuale, non imputabili alla stessa parte, che risultino indispensabili in funzione della corretta e definitiva individuazione di tale soggetto (come verificatosi nella fattispecie, per la necessità dell’accertamento dell’esistenza di eredi effettivi della parte deceduta, con conseguente instaurazione dell'”actio interrogatoria” ex art. 481 c.c. e con la successiva necessaria richiesta della nomina del curatore dell’eredità giacente).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Torino, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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