Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18997 del 31/07/2017
Cassazione civile, sez. I, 31/07/2017, (ud. 21/12/2016, dep.31/07/2017), n. 18997
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente –
Dott. ACIERNO Maria – rel. Consigliere –
Dott. FERRO Massimo – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9690-2015 proposto da:
FALLIMENTO (OMISSIS) s.r.l., in persona del Curatore Dott.
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA 39 F, presso
l’avvocato EMANUELE CARLONI, rappresentato e difeso dall’avvocato
SALVATORE FIERAMONTI, giusti procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO
50, presso l’avvocato VINCENZO MAURO, rappresentata e difesa dagli
avvocati MARCO SOTTORIVA, ROBERTO CARACCIOLO, giusta procura a
margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
C.C.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1896/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 24/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
21/12/2016 dal Consigliere Dott. ACIERNO MARIA;
uditi, per la controricorrente, gli Avvocati SOTTORIVA MARCO e
CARACCIOLO ROBERTO che hanno chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte d’Appello ha revocato il fallimento della s.r.l. (OMISSIS) accogliendo il reclamo proposto dalla società avverso la sentenza di primo grado, sulla base delle seguenti argomentazioni:
– nell’istruttoria prefallimentare non si era raggiunta la prova che i debiti della fallenda scaduti e non pagati ammontassero almeno ad Euro 30000;
– l’onere di provare il raggiungimento di tale limite quantitativo stabilito dalla L.Fall., art. 15, u.c., incombe sulla parte che chiede il fallimento mentre gli altri requisiti di non fallibilità devono essere provati dal debitore. Tale specifico onus probandi, infatti, non può che essere posto a carico del creditore in quanto ove incombesse sul debitore si risolverebbe in una prova negativa.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il fallimento affidandosi a due motivi. Ha resistito con controricorso la società.
Nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L.Fall., art. 15, u.c.. Il legislatore non ha chiarito esplicitamente se debba essere l’attore a provare che il convenuto abbia un’esposizione debitoria superiore alla somma indicata nella norma o se gravi sul convenuto l’onere in oggetto ma deve ritenersi che quando il dato non emerga dagli atti del giudizio l’onus probandi sia a carico del debitore. Il fatto impeditivo negativo può essere dimostrato mediante documenti contabili in possesso del debitore, ciò anche in virtù del principio di prossimità della prova e del dovere di collaborazione.
Nella specie la Corte d’appello avrebbe potuto acquisire l’elenco cronologico delle domande d’insinuazione al passivo presentate in modo da riscontrare il notevole superamento della soglia in questione.
Nel secondo motivo viene dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione. La Corte d’Appello ha omesso ogni motivazione in ordine all’eccezione d’inammissibilità – improcedibilità del reclamo, proposta dalla curatela fallimentare, per mancanza di prova da parte del debitore del mancato possesso congiunto dei requisiti di fallibilità. La carenza di tali requisiti ha carattere conformativo dell’oggetto dell’impugnazione ed, indirettamente, della sua natura nonchè delle facoltà istruttorie riconosciute dalla legge alle parti in questa fase di gravame.
Il primo motivo deve ritenersi infondato ma la motivazione della sentenza impugnata deve essere corretta ex art. 384 c.p.c., u.c..
La L.Fall., art. 15, u.c., stabilisce espressamente che il limite quantitativo di fallibilità riferito ai debiti scaduti e non pagati deve risultare dagli atti dell’istruttoria prefallimentare (Cass. 14727 del 2016) costituendo, una condizione oggettiva di fallibilità. Il positivo superamento dell’ammontare predeterminato dalla norma, quando sia contestato in sede di reclamo, deve, sulla base degli ordinari criteri d’imputazione dell’onus probandi, essere allegato e provato dal fallimento o dai creditori.
Nella specie la Corte d’Appello, tuttavia, ha svolto un insindacabile accertamento di fatto, fondato sull’esame degli atti acquisiti in sede prefallimentare ed ha accertato l’insussistenza del requisito.
La mera deduzione in ricorso dell’esistenza di molte domande d’insinuazione al passivo è del tutto irrilevante in quanto si tratta di accertamenti successivi alla fase prefallimentare (Cass. 14727 del 2016).
Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile perchè denuncia, ancorchè sotto l’errata rubrica dell’omessa motivazione,un vizio di omessa pronuncia su un’eccezione d’inammissibilità senza indicare in ricorso il contenuto dell’eccezione e allegarne e provarne la sua tempestiva deduzione.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con applicazione del principio della soccombenza in ordine alle spese processuali del presente giudizio.
PQM
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte resistente da liquidarsi in Euro 6000 per compensi ed Euro 200 per esborsi oltre accessori di legge. Raddoppio contributo.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 dicembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017