Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18996 del 17/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 18996 Anno 2018
Presidente: STALLA GIACOMO MARIA
Relatore: BALSAMO MILENA

ORDINANZA

sul ricorso 14912-2011 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro

BRAZZALE SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
GIAMBATTISTA VICO 22, presso lo studio dell’avvocato
BENEDETTO SANTACROCE, rappresentato e difeso dagli
avvocati MICHELE PROCIDA, ALESSANDRO FRUSCIONE,
SALVATORE MILETO;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 25/2010 della COMM.TRIB.REG. di

Data pubblicazione: 17/07/2018

,
VENEZIA, depositata il 12/04/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 22/06/2018 dal Consigliere Dott. MILENA

BALSAMO.

RITENUTO IN FATTO
La società Brazzale spa, in persona del I.r., propose ricorso avverso il
silenzio rifiuto opposto ad istanza di rimborso dell’IVA, presentata nel luglio
2004, non detratta sui veicoli aziendali per gli anni dal 2000 al 2003 e rimasta
a proprio carico in virtù del regime di indetraibilità previsto dall’art.19 bis, co.1,
lett C d.p.r. n. 633/72, ritenendo tale disposizione in contrasto con la Direttiva

della Società rispetto alle annualità 2003 e 2004, dichiarava per dette
annualità la cessazione della materia del contendere e riconosceva, invece, il
diritto al rimborso per l’annualità 2002, escludendolo con riferimento
all’imposta relativa agli anni 2000-2001.
La decisione, appellata dall’ufficio, è stata parzialmente riformata, con la
sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione Tributaria Regionale del
Veneto la quale, dato atto che era intervenuta la sentenza della Corte di
Giustizia europea (che aveva dichiarato l’illegittimità per contrasto con la VI
Direttiva del Consiglio dell’Unione dell’art.19 bis citato), rilevava che l’istanza di
rimborso doveva considerarsi tempestiva.
Avverso la sentenza l’amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per la
cassazione, su tre motivi.
1. La contribuente resiste con controricorso.

CONSIDERATO CHE:
1.Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione
dell’art.21 D.LGS 546/92 in combinato disposto con l’art. 19 DPR 633/72,
censurando la pronuncia dei giudici territoriali laddove hanno ritenuto
applicabile l’art.19 d.p.r. n.633/72, e non il citato art. 21, stabilendo che il
diritto al rimborso non può sorgere immediatamente con l’estrinsecazione della
posizione creditoria a seguito della registrazione della fattura passiva, ma, solo
in un momento successivo, ovvero con la scadenza del termine per il computo
dell’imposta in detrazione ossia con la scadenza, prevista dall’invocato art.19,

CEE n.77/38. La Commissione Tributaria Provinciale, a seguito della rinuncia

del termine per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno
successivo a quello in cui è sorto il diritto alla detrazione.
3.Con il secondo ed il terzo motivo si deduce la violazione dell’art.112
c.p.c. ex art. 360 n. 4 c.p.c. e insufficiente motivazione circa un fatto
controverso decisivo per il giudizio, ex art. 360 n. 5 c.p.c, lamentando sotto il
primo profilo, vizio di extrapetizione per avere i giudici regionali affermato il

aver valutato l’illegittimità della normativa in materia IVA per contrasto con la
normativa comunitaria invece di soffermarsi sulla eccezione di decadenza dal
diritto al rimborso.
4. Il primo motivo è fondato, assorbiti gli altri.
L’art. 19-bis del D.P.R. 633/1972, nel testo vigente sino all’agosto 2006,
stabiliva che: «In deroga alle disposizioni di cui all’art. 19: … e) l’imposta
relativa all’acquisto o alla importazione di ciclomotori, di motocicli e di
autovetture ed autoveicoli indicati nell’art. 54, lettere a) e c.), del decreto
legislativo 50 aprile 1992, n. 285, non compresi nell’allegata tabella 13 e non
adibiti ad uso pubblico, che non formano oggetto dell’attività propria
dell’impresa e dei relativi componenti e ricambi, nonché alle prestazioni di
servizi di cui al terzo comma dell’art. 16 ed a quelle di impiego, custodia,
manutenzione e riparazione relative ai beni stessi, non è ammessa a
detrazione salvo che per gli agenti o rappresentanti di commercio..»
La Corte di Giustizia UE con la sentenza relativa alla causa C-228/05, ha
stabilito che i limiti posti dalla legislazione italiana alla detrazione iva per le
autovetture erano contrari alle disposizioni del diritto comunitario; pertanto, i
contribuenti ai quali la normativa italiana non aveva consentito di detrarre l’Iva
assolta sull’acquisto di autovetture e le relative spese di impiego avrebbero
potuto recuperare tale imposta conformemente alle disposizioni contenute
nell’art.17 della sesta direttiva comunitaria (“nella misura in cui i beni e i
servizi sono stati impiegati ai fini di operazioni soggette ad imposta”) a partire
dal 15 settembre 2006 anche per le annualità pregresse.
5. Questa Corte — premesso che la sentenza della Corte di giustizia
richiedeva una disciplina amministrativa di attuazione adottata con il D.L.
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diritto al rimborso sulla base delle norme comunitarie e sotto il terzo mezzo per

258/2006 e dettante modalità di esercizio e cadenze temporali con decorrenza
dalla sua data di entrata in vigore (Cass. n. 5411 del 2012 e n. 27185 del
2014; conf. nn. 3008, 3024, 3259, 3260 del 2013) – ha chiarito che tale
disciplina non interferisce, però, coi giudizi in corso su istanze di rimborso
avanzate e disattese prima della sentenza comunitaria del 14 settembre 2006
(Cass. n. 11943 del 2012).

giudice tributario siano stati presentati anteriormente all’entrata in vigore del
D.L. n.258/2006, porta ad escludere l’applicabilità della normativa
sopravvenuta disciplinante le formalità prescritte per l’ammissibilità della
domanda.
6. In altri termini, la normativa attuativa è applicabile ai giudizi pendenti
alla data del 14 settembre 2006 unicamente laddove essa è diretta a
considerare, per gli acquisti effettuati dal primo gennaio 2003 al 13 settembre
2006, in ogni caso ampliati i termini di decadenza per la presentazione
dell’istanza, ossia estesi sino alla scadenza del biennio dal 15 novembre 2006,
come precisato nel provvedimento direttoriale, ovvero, in base a una diversa
tesi, dal 23 febbraio 2007 data di pubblicazione in G.U. del provvedimento
direttoriale che fissa alcuni contenuti dell’istanza (così Cass. n.5176 del 2016
citata; Cass. n.8373, n.14789 e n.14790 del 2015; v. anche Cass. n.27185 e
n.23552 del 2014).
7. Nel caso in esame, residua, quale oggetto del contendere, a seguito
della rinuncia da parte del contribuente per gli anni di imposta dal 2003 in poi,
l’Iva sugli acquisti versata in epoca precedente al “1 gennaio 2003″ e,
conseguentemente, esclusa dal recupero generalizzato di cui al citato
provvedimento.
L’istanza di rimborso – fondata sulla non conformità della norma interna
con la sesta direttiva – è stata presentata nel luglio 2004 – ossia in epoca
anteriore alla data (14 settembre 2006) della pronuncia comunitaria.
Al riguardo, come questa Corte ha rilevato, necessita distinguere l’ipotesi,
qui non ravvisabile, della domanda di rimborso o restituzione del credito
d’imposta maturato dal contribuente, da considerarsi già presentata con la
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Infatti, la circostanza che sia la richiesta di rimborso IVA sia il ricorso al

compilazione nella dichiarazione annuale del quadro relativo che configura
formale esercizio del diritto, rispetto alla presentazione altresì del modello di
rimborso, che costituisce solo presupposto per l’esigibilità del credito e,
dunque, adempimento per dar inizio al procedimento di esecuzione del
rimborso. Ne consegue che, una volta esercitato tempestivamente in
dichiarazione il diritto esso non può considerarsi assoggettato al termine

art. 16), ma solo a quello di prescrizione ordinario decennale ex art. 2946 c.c.,
(cfr. Cass. n. 4559/2017; n. 9115/2016; N. 7223 del 2016; n. 20678/2014;
11444/11, 1605/08, 1154/08, 11832/02 e 11511/01).
8. Ne deriva, alla luce dei principi sopra illustrati, in mancanza della
esposizione del credito nella dichiarazione dei redditi, circostanza neppure
allegata, e vertendosi su rimborsi per gli anni dal 2000 al 2002, l’intempestività
della domanda di restituzione presentata nel luglio 2004 riguardo a tutte le
somme pagate dalla contribuente per IVA assolta dal 2000 al giugno 2002,
operando l’ordinario termine di decadenza previsto dall’art. 21 proc. trib. per
qualsivoglia rimborso atipico anche di derivazione comunitaria e non, invece, i
termini ampliati di cui al D.L. n.258/2006, né gli art.19 e 57 D.P.R. 633 del
1972, invocati dalla contribuente (Cass. n. 15229/2013; Sez.U, n.13676 del
2014; Cass. n. 9034/ 2015; Cass. n. 8373/2015; Cass. n. 19115 e n. 7223 del
2016; Cass.n. 11652/2017; Cass. n. 4459/2017; Cass. n. 4150/2018).
9.Inoltre, nella presente fattispecie, la domanda di rimborso, non
rientrando tra quelle previste dall’art. 30, D.P.R. n. 633 del 1972 (nel testo
vigente all’epoca dei fatti), non è contemplata da disposizioni specifiche, per
cui va proposta a norma di quanto previsto dall’art. 21, comma 2, D.Lgs. n.
546 del 1992, disposizione secondo la quale «la domanda di restituzione, in
mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni
dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il
presupposto della restituzione»

(Cass. n. 23823/2017; 8461/2005,

12433/2011, n.5014/2015, n. 20964/2015, n. 21674/2015).
10. L’art. 1 del D.L. 15 settembre 2006, n. 258, convertito con Legge 10
novembre 2006, n. 278, ha costituito, in particolare, in deroga al principio
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biennale di decadenza previsto ora dall’art. 21 proc. trib. (già D.P.R. n. 636,

dell’efficacia retroattiva delle sentenze del giudice europeo, un nuovo diritto
alla ripetizione, con il relativo termine di esercizio, ma ha fatto salvo il diritto
dei contribuenti che non abbiano aderito alla procedura di rimborso forfetario
(o che non abbiano presentato l’istanza entro il 15 aprile 2007) di chiedere la
restituzione dell’intera imposta, purché la relativa domanda sia proposta nel
termine di decadenza stabilito dall’art. 21, comma 2, del D.Lgs. 31 dicembre

c) e d), è venuto meno sin dalla sua istituzione, di tal che l’indebito si è
determinato all’atto del pagamento ed è da esso che conseguentemente
decorre il dies a quo per la presentazione della domanda di rimborso” (Cass.
nn. 8373 e 9034 del 2015 citata; n. 4150/2018).
Questa Corte ha avuto, altresì, modo di evidenziare (Cass. n. 20964/2015)
che la suindicata regola “ha trovato un’unica e ben delimitata eccezione nel
caso in cui la domanda di rimborso sia conseguita ad un provvedimento
coattivo”. E’ stato, infatti, più volte ribadito che” in materia di IVA, il soggetto
passivo dell’imposta, dopo la scadenza del termine di cui all’art. 21, secondo
comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, può chiedere il rimborso dell’IVA
non dovuta non già per qualsiasi imposta della quale il “committente di servizi”
pretenda od abbia preteso il rimborso per la sua qualità di “prestatore di detti
servizi”, né per quella che esso abbia rimborsato spontaneamente, ma
esclusivamente per quell’imposta che “ha dovuto rimborsare al committente”
predetto, vale a dire per l’imposta il cui rimborso in favore del committente sia
stato effettivamente eseguito in esecuzione di un provvedimento coattivo di
rimborso a suo danno ed in favore del committente, la cui pretesa restitutoria,
siccome idonea a far sorgere un qualche dovere di rimborso a carico del
“prestatore di detti servizi”, non consente di superare la decadenza,
eventualmente verificatasi, del “prestatore di detti servizi” dall’eventuale diritto
di rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria finché non si
concretizza con l’adempimento dell’afferente comando imperativo da parte del
prestatore di servizi. Il più breve termine di decadenza previsto dalla norma
nazionale nel regolare i rapporti dello stesso con l’amministrazione finanziaria
può, dunque, essere disapplicato solo per garantire il principio di effettività del
5

1992, n. 546; l’obbligo impositivo a suo tempo previsto dall’art. 19 bis 1, lett.

diritto comunitario, ovvero per evitare che le conseguenze dei pagamenti
indebiti dell’IVA imputabili allo Stato siano sopportate esclusivamente dal
soggetto passivo in tale imposta” (cfr. Cass. nn.6600/2013, 25988/2014,
3627/2015; Cass. n. 23823/2017).
Ed al riguardo va osservato, che, in ipotesi, quale quella in esame, in cui
“in mancanza di disciplina comunitaria di domande di rimborso delle imposte

Stato membro stabilire i requisiti al ricorrere dei quali tali domande possano
essere presentate, purchè i requisiti in questione rispettino i principi di
equivalenza e di effettività” (Corte di Giustizia, sentenza 15 marzo 2007,
causa C-35/05) e che « la previsione di un termine di decadenza di due anni
entro il quale il soggetto passivo può reclamare il rimborso dell’IVA versata a
torto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, mentre il termine di
prescrizione per le azioni di ripetizione dell’indebito oggettivo tra privati è
decennale» è compatibile con il diritto dell’Unione in quanto « non è di per
sè contraria al principio di effettività» (cfr. Corte di Giustizia, 15 dicembre
2011, C427/10, p-27 che richiama la sentenza 17 novembre 1998, causa C228/96 Aprile, sent.30 giugno 2011, causa C-262/09, e la sentenza 8
settembre 2011, cause riunite C-89/10 e C-96/10),

essendo idoneo a

consentire a qualsiasi soggetto passivo normalmente diligente di far
validamente valere di diritti attribuitigli dall’ordinamento giuridico dell’Unione
(Corte di Giustizia 15 dicembre 2011, C-427/10, che richiama la sentenza 21
gennaio 2010, causa C.472/08).
Appare pertanto evidente l’errore in cui è incorsa la C.T.R. la quale ha
tratto dallo ius superveniens (D.L. n. 258 del 2006) conferma della ritenuta
“possibilità di cumulo dei due termini”, quello cioè previsto dall’art. 19, comma
1, D.P.R. n. 633 del 1972, in forza del quale l’imposta “avrebbe potuto essere
detratta con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui
il diritto a detrazione era sorto”, e quello previsto dall’art. 21, comma 2, D.Lgs.
n. 546 del 1992, il quale a propria volta sancisce la possibilità per il
contribuente di dimostrare il diritto alla detrazione presentando apposita
domanda di restituzione nel biennio.
6

indebitamente prelevate, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno

Il ricorso va dunque accolto con riferimento al primo motivo, assorbiti gli
altri.
La novità delle soluzioni giurisprudenziali (rispetto alla data di proposizione
del ricorso) induce a compensare integralmente tra le parti le spese dell’intero
giudizio.
P.Q.M.

– accoglie il ricorso con riferimento al primo motivo, assorbiti gli altri; cassa
la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara decaduto il
contribuente dal diritto al rimborso dell’IVA per il periodo 2000- giugno 2002.
– Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della quinta sezione civile in data
22.06.2018

Gia

Il Direttore
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La Corte

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