Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18994 del 31/07/2017

Cassazione civile, sez. un., 31/07/2017, (ud. 18/07/2017, dep.31/07/2017),  n. 18994

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sezione –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15365/2016 proposto da:

MARCHE MULTISERVIZI S.P.A., ASET S.P.A., ASTEA S.P.A., CIIP – CICLI

INTEGRATI IMPIANTI PRIMARI S.P.A., MULTISERVIZI S.P.A., in persona

dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA SALARIA 95, presso lo studio dell’avvocato

ANDREA GALVANI, che le rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

REGIONE MARCHE, DIRIGENTE TUTELA DELLE ACQUE – SERVIZIO

INFRASTRUTTURE TRASPORTI ED ENERGIA DELLA REGIONE MARCHE, AEEGSI –

AUTORITA’ DELL’ENERGIA ELETTRICA GAS E SERVIZIO IDRICO, ASSESSORE

DELLA REGIONE MARCHE, MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL

TERRITORIO E DEL MARE, A.A.T.O. N. 1 MARCHE NORD – PESARO E URBINO,

A.A.T.O. N. 2 MARCHE CENTRO – ANCONA, A.A.T.O. N. 3 MARCHE CENTRO

MACERATA, A.A.T.O. N. 5 MARCHE SUD – ASCOLI PICENO, ANCI MARCHE –

ASSOCIAZIONE REGIONALE DEI COMUNI MARCHIGIANI, UNCEM MARCHE – UNIONE

NAZIONALE COMUNI ED ENTI MONTANI DELEGAZIONE DELLE MARCHE, UNIONE

MONTANA DEL MONTEFELTRO, UNIONE MONTANA ALTA VALLE DEL METAURO,

UNIONE MONTANA ESINO FRASASSI, UNIONE MONTANA ALTE VALLI DEL POTENZA

E DELL’ESINO, UNIONE MONTANA MARCA DI CAMERINO, UNIONE MONTANA

CATRIA E NERONE, UNIONE MONTANA DEI MONTI AZZURRI, UNIONE MONTANA

DEI SIBILLINI, UNIONE MONTANA DEL TRONTO E DELLA VAL FLUVIONE;

– intimati –

per regolamento di giurisdizione in relazione al giudizio pendente n.

789/2015 del TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DELLE MARCHE –

ANCONA;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

lette le conclusioni scritte del Sostituto procuratore Generale dott.

SERGIO DEL CORE, il quale conclude nel senso che vada dichiarata la

giurisdizione del giudice tributario.

Fatto

FATTO E DIRITTO

rilevato che:

le società Multiservizi spa, Marche Multiservizi spa, ASET spa, CIIP Cicli Integrati Impianti Primari spa ed ASTEA spa, gestori del servizio idrico integrato in differenti ambiti territoriali marchigiani, impugnarono – presupponendone la natura di atti amministrativi generali ed avendo escluso la natura tributaria della prestazione patrimoniale che ne era oggetto ed era stata loro sollecitata, qualificata come elemento tariffario del servizio idrico integrato davanti al TAR delle Marche la diffida 09/10/2015 (contenente un riferimento ad una “decisione di Giunta regionale n. 912 CO/CE/RFP/AI seduta del 29/9/15”), confermata dalla successiva nota 27/11/2015, da parte degli organi della Regione a pagare il canone aggiuntivo di Euro/mc 0,04 sui consumi di acqua potabile, istituito con legge regionale n. 36/14 mediante l’inserimento di un comma c-bis all’art. 19 della previgente legge regionale n. 19/08 in tema di comunità montane, destinato a confluire anch’esso nel “fondo per la montagna”: e tanto in base a tre motivi, col primo dei quali erano dedotti differenti profili di illegittimità del procedimento seguito per l’adozione degli atti impugnati e con gli altri era denunziata l’illegittimità costituzionale della normativa;

furono coinvolti nel procedimento non solo la Regione Marche ed i suoi organi od uffici che avevano emesso gli atti impugnati, ma pure il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, l’Autorità dell’Energia Elettrica Gas e Servizio Idrico (AEEGSI), le A.A.T.O. n. 1 Marche Nord – Pesaro e Urbino, n. 2 Marche Centro Ancona, n. 3 Marche Centro – Macerata, n. 5 (così indicata in ricorso) Marche Sud Ascoli Piceno, l’Associazione Regionale dei Comuni Marchigiani (ANCI Marche), l’Unione Nazionale Comuni ed Enti Montani delegazione delle Marche (UNCEM Marche), nonchè le Unioni Montane del Montefeltro, Alta Valle del Metauro, Esino Frasassi, Alte Valli del Potenza e dell’Esino, Marca di Camerino, del Catria e Nerone, dei Monti Azzurri, dei Sibillini, del Tronto e della Val Fluvione;

almeno la Regione Marche, per quel che in questa sede rileva, seguita sul punto anche da alcune delle altre parti costituite ed intervenienti (Associazione Regionale dei Comuni Marchigiani – ANCI Marche, Unione Nazionale Comuni ed Enti Montani delegazione delle Marche – UNCEM Marche e le Unioni Montane), eccepì il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice tributario o, in subordine, di quello ordinario, a seconda della natura della prestazione patrimoniale per cui era causa, contestando ogni doglianza di parte avversa, a cominciare dalla questione di illegittimità costituzionale della normativa regionale, per poi negare rilevanza all’omissione della pure prevista variazione di bilancio necessaria alla attuazione dell’istituzione del canone e, soprattutto, respingere la tesi della necessità di un preliminare atto amministrativo regolamentare o, comunque, generale;

le ricorrenti si sono indotte allora a proporre regolamento preventivo di giurisdizione – ribadendo la natura di tariffa della prestazione oggetto di intimazione, ma esaminando anche la differente ricostruzione della medesima quale tributo e risolvendo la questione sulla base dei principi di cui a Cass. 7665/16 – con ricorso notificato tra il 14 e il 20/06/2016, al quale non ha resistito alcuna delle parti del giudizio di merito;

il Procuratore Generale, con sua requisitoria scritta del 3-25 ottobre 2016, ampiamente argomentato per la natura di tributo della prestazione patrimoniale oggetto della disciplina regionale per cui è causa, ha concluso per la declaratoria della giurisdizione del giudice tributario, non rilevando neppure la carenza di un atto impositivo per essere il rilievo dell’improponibilità eventualmente da tanto derivante rimesso al giudice munito di giurisdizione;

considerato che:

la L.R. Marche 1 luglio 2008, n. 18, art. 19, (“Norme in materia di comunità montane e di esercizio associato di funzioni e servizi comunali”), prevede, a far data dal 01/01/2015 ed in forza della L.R. Marche 30 dicembre 2014, n. 36, art. 7, comma 1, al suo neointrodotto comma “c-bis”, che nel “fondo per la montagna” confluisce, tra l’altro, “un canone di euro 0,04 per metro cubo, a titolo di compensazione ambientale, sui consumi di acqua potabile”, specificando subito dopo che “il versamento alla Regione avviene a cadenza trimestrale da parte dei soggetti gestori del sistema idrico integrato” ed escludendone solo le utenze per attività agricole, per poi stabilire – alla L.R. n. 36 del 2014, medesimo art. 7, comma 2, – che si sarebbe provveduto alle variazioni di bilancio necessarie all’attuazione entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge istitutiva;

ai sensi della L.R. Marche 11 novembre 2013, n. 35, art. 7, per gli anni 2013 e 2014 il “fondo per la montagna” di cui alla detta L.R. n. 18 del 2008, art. 19, come modificato dalla medesima L. n. 35 del 2013, art. 8, era assegnato alle Comunità montane e, a decorrere dal 2015, alle Unioni montane, tanto da concorrere, detratta una quota da assegnare alla delegazione regionale dell’Associazione nazionale Comuni italiani (ANCI) quale contributo alle spese di funzionamento e per la realizzazione di studi ed iniziative a sostegno degli enti locali della montagna (detta L.R. n. 18 del 2008, art. 19, comma 2), al finanziamento delle attività istituzionali di queste, previa ripartizione operata dalla Giunta regionale (art. 19, comma 3);

pertanto, il canone per cui è causa concorre in modo diretto al finanziamento degli obiettivi complessivi ed indifferenziati della detta normativa regionale, fissati in via generale dal suo art. 1, nell’obiettivo del riequilibrio territoriale, riconoscendo come finalità di preminente interesse regionale la tutela, la valorizzazione e lo sviluppo delle aree montane e interne, tendendo a favorire la riqualificazione di tali aree e il miglioramento delle condizioni di vita delle relative popolazioni, attraverso: a) la promozione di interventi rivolti alla salvaguardia del territorio, all’equa distribuzione dei servizi e delle infrastrutture, nonchè allo sviluppo economico, sociale e culturale; b) la valorizzazione del ruolo istituzionale delle Comunità montane – poi Unioni montane – per la promozione e lo sviluppo dei territori montani e per l’esercizio associato delle funzioni comunali; c) il sostegno e la promozione dell’esercizio associato delle funzioni e dei servizi comunali, al fine di migliorare l’efficienza e l’efficacia della gestione e di ottenere economie di spesa;

nella specie, oggetto dell’impugnativa davanti al TAR delle Marche sono: la diffida a firma del Dirigente del Servizio Infrastrutture, Trasporti ed Energia, P.F. Tutela delle Acque, del 09/10/2015, a tutte le ricorrenti a pagare il canone suddetto in forza dell’applicazione della norma di legge richiamata specificamente; una decisione della Giunta Regionale, di contenuto al momento del ricorso al TAR ancora ignoto, ma evidentemente presupposta dalla prima; la nota 27/11/2015 dell’assessore regionale, di significazione del fatto che la Regione era pronta ad utilizzare ogni mezzo per far rispettare la legge istitutiva del “canone”; tutti gli atti presupposti e conseguenti, ancorchè non conosciuti;

va verificato se trattasi, nella specie, di tributo: e ad una tale conclusione deve qui giungersi;

al riguardo, va brevemente osservato che, per la costante giurisprudenza di questa Corte (per un cenno riepilogativo, v. Cass. ord. 28/12/2016, n. 27074), gli elementi di identificazione di un tributo (al quale fine è irrilevante il nomen iuris: tra le altre, Corte cost., n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005), si identificano generalmente: a) nella matrice legislativa della prestazione imposta, in quanto il tributo nasce direttamente in forza della legge, risultando irrilevante l’autonomia contrattuale (Corte cost., n. 58 del 2015); b) nella doverosità della prestazione (Corte cost., n. 141 del 2009, n. 64 del 2008, n. 334 del 2006, n. 73 del 2005), che comporta un’ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico (Corte cost., n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995 e n. 26 del 1982), in forza della quale i soggetti tenuti al pagamento del contributo non possono sottrarsi a tale obbligo e quanto alla quale la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti (Corte cost., n. 238 del 2009, punto 7.2.3.2, nonchè, in relazione al contributo al Servizio sanitario nazionale, Cass., sez. un., n. 123/07); c) nel nesso con la spesa pubblica, nel senso che la prestazione è destinata allo scopo di apprestare in via generale i mezzi per il fabbisogno finanziario dell’ente impositore (Corte cost., n. 37 del 1997, n. 11 e n. 2 del 1995, n. 26 del 1982, nonchè, tra varie, Cass. Sez. U. nn. 21950/15 e 13431/14);

tali tratti caratteristici del tributo si rinvengono tutti nel “canone” per cui è causa: in quanto la fonte dell’obbligo di pagamento si rinviene in via diretta ed immediata nella legge regionale e non anche in un rapporto sinallagmatico (contratto o convenzione o simili); in quanto il canone non costituisce corrispettivo o controprestazione nè dell’uso in generale di beni collettivi regionali, nè per la fornitura di specifici servizi predisposti dalla Regione, neppure se necessari per la gestione od anche solo utili o funzionali a quello erogato dalle ricorrenti; in quanto è istituito un collegamento del prelievo alla pubblica spesa in funzione di un presupposto economicamente rilevante di fiscalità e quindi di interesse generale, visto che il canone in questione è destinato al finanziamento indistinto di un fondo per spese pubbliche in materia solo lato sensu definibile “ambientale”, quale può definirsi il “fondo per la montagna” alla luce della sua destinazione;

in quanto tale, perciò, ben può dirsi che il prelievo di cui si tratta ha per oggetto la preservazione o il sostenibile sfruttamento di un bene pubblico siccome collettivo, sicchè può fungere da strumento di riparto, ai sensi dell’art. 53 Cost., del carico della spesa pubblica in ragione della capacità economica dimostrata, con il concreto attingimento – a fini di suo sfruttamento – della risorsa, dai soggetti gestori del servizio idrico integrato;

se tanto è vero, la stessa giurisprudenza invocata dalle ricorrenti (Cass. Sez. U. 18/04/2016, n. 7665) depone nel senso che, per investire direttamente costoro la spettanza stessa della prestazione patrimoniale prevista a loro carico e sotto diversi profili, la giurisdizione deve dirsi devoluta al giudice tributario, poichè nessuno dei tratti dell’atto amministrativo generale può riconoscersi agli atti impugnati: non alle diffide, caratterizzate da una ampiezza e vaghezza di espressioni tale da non potersi loro connettere alcuna valida od utile specificazione rispetto al generico richiamo alla norma di legge; non alla decisione di Giunta regionale specificamente indicata nel ricorso al TAR, che, a quanto consta, neppure è riferibile in particolare all’oggetto della controversia ed è comunque connotata da una analoga rarefatta genericità;

pertanto, con l’impugnativa di tali atti, benchè soggettivamente di certo riferibili alla pubblica amministrazione, effettivamente le ricorrenti hanno inteso semplicemente contestare l’an della pretesa della prestazione patrimoniale prevista dalla legge regionale ed il cui versamento è stato sollecitato, senza peraltro alcun anche solo implicito concreto atto impositivo di quello in una misura specifica e ben determinata: in effetti spettando alle commissioni tributarie la giurisdizione a prescindere dal fatto che si controverta sulla sussistenza del potere impositivo o sulla correttezza del suo esercizio in concreto (Cass. Sez. U. 08/06/2011; Cass. Sez. U. 05/03/2001, n. 88), nè rileva, come puntualmente rimarca il PROCURATORE GENERALE, che la carenza di un valido atto impositivo, in assenza di un atto concreto e giuridicamente efficace di esercizio della pretesa tributaria per non contenere alcuna specificazione della medesima nei confronti del singolo obbligato, possa, per non essere consentite dinanzi al giudice tributario azioni di accertamento negativo, comportare l’improponibilità della domanda dinanzi al giudice che sulla medesima si individua munito di giurisdizione: infatti, ogni relativa determinazione al riguardo è riservata appunto, sia pure prima di ogni altra, esclusivamente a quest’ultimo (Cass. Sez. U. 20/11/2007, n. 24011);

infine, neppure rileva l’ulteriore argomento addotto dalla Regione Marche dinanzi al TAR circa la giurisdizione del giudice ordinario: questa presuppone una corrispettività della prestazione di fonte convenzionale, come, proprio per la Regione Marche, queste Sezioni Unite hanno di recente puntualizzato (in tema di somme dovute ad un consorzio di bonifica dal gestore del servizio idrico integrato che utilizzi canali e strutture come recapito di scarichi provenienti da insediamenti abitativi od industriali esterni, avendo la normativa regionale di dettaglio previsto che la contribuzione venga assolta mediante il versamento di canoni determinati all’esito di una procedura negoziale: Cass. sez. U. ord. 20/02/2017, n. 4309); mentre è di tutta evidenza che la prestazione patrimoniale per cui oggi è causa non può ricondursi in alcun modo ad un’obbligazione di fonte convenzionale, per quanto appena più su argomentato;

pertanto, va dichiarata la giurisdizione del giudice tributario, in applicazione del seguente principio di diritto: “impregiudicata la valutazione di proponibilità di una domanda di accertamento negativo della pretesa tributaria in dipendenza dell’attuale sussistenza o meno di un valido e concreto atto impositivo, valutazione che resta riservata al giudice munito di giurisdizione, è devoluta a quella del giudice tributario la controversia intrapresa dal gestore di servizio idrico integrato che impugni atti dell’amministrazione regionale con cui si solleciti in modo generico l’adempimento dell’obbligo di pagamento di un canone rapportato al consumo di acqua potabile e destinato a confluire nel fondo per la montagna, dovendo esso qualificarsi tributo per la sua previsione in fonti normative, la sua doverosità e la sua funzionalizzazione alla fiscalità generale”;

le parti vanno rimesse dinanzi al giudice tributario, con i termini di riassunzione previsti dalla legge, mentre le spese del presente regolamento restano a carico di chi lo ha proposto, attesa la sua sostanziale soccombenza.

PQM

 

dichiara la giurisdizione del giudice tributario, rimette le parti.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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