Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18993 del 31/07/2017

Cassazione civile, sez. un., 31/07/2017, (ud. 18/07/2017, dep.31/07/2017),  n. 18993

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sezione –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7810/2017 proposto da:

F.S.A.C., elettivamente domiciliato in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato FRANCESCO GAMBARDELLA;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA

GIUSTIZIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 16/2017 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 17/02/2017;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Fabio Lattanzi per delega dell’avvocato Francesco

Gambardella.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha irrogato al dott. F.S.A.C., al momento sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria, la sanzione della censura per averlo riconosciuto responsabile dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1, e art. 2, comma 1, lett. e), per avere, venendo meno ai propri doveri di imparzialità, correttezza ed equilibrio, ingiustificatamente interferito nell’attività giudiziaria dei magistrati del pubblico ministero in servizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Gela; in particolare, egli è stato ritenuto responsabile di avere interferito nell’attività del sostituto procuratore della Repubblica Ca.Se., con riferimento alle indagini di cui al procedimento penale n. 775/2012 r.g.n.r. pendente presso la Procura della Repubblica di Gela, iscritto a carico di ignoti per il reato di omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. in danno di P.G., con tre concorrenti condotte nelle prime fasi seguite all’acquisizione – in data 19/08/2012 – della notizia della morte di costui da parte della polizia giudiziaria, dalla quale era sorto sospetto di reato (ai sensi dell’art. 116 disp. att. c.p.p.):

– immediatamente dopo che la polizia giudiziaria si era recata presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale di (OMISSIS), dando notizia dell’evento al sostituto procuratore Ca., per compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quanto utile per l’applicazione della legge penale (art. 55 c.p.p.), in tale contesto procedendo all’assunzione di informazioni dai sanitari che avevano avuto in cura la persona deceduta, al sequestro probatorio della cartella clinica relativa al ricovero di quest’ultima ed a porre il cadavere a disposizione dell’autorità giudiziaria per i successivi accertamenti tecnici, il F. si era presentato al maresciallo C.G., in servizio alla Stazione Carabinieri di (OMISSIS), il quale stava assumendo le prime sommarie informazioni dal medico B.A. in merito alla dinamica dell’evento ed al luogo nel quale si trovava la salma, ed aveva interrotto l’atto di polizia giudiziaria, chiedendo al militare perchè avesse iniziato ad acquisire notizie dai medici piuttosto che dai familiari del defunto;

– quindi, invitato dal militare ad allontanarsi, gli aveva ordinato di alzarsi in piedi, si era qualificato quale “dottor F., sostituto procuratore della Repubblica di Catania” ed esortava l’ufficiale di polizia giudiziaria a “non commettere falsità”, assumendo di essere un “amico della famiglia della vittima”;

– aveva infine il medesimo F. assistito a tutte le successive attività di indagine svolte dalla polizia giudiziaria sul luogo dell’intervento nonchè alla ricezione della denuncia presentata dai prossimi congiunti della vittima, assumendo in tal modo, di fatto, la direzione delle indagini medesime benchè il reato fosse di competenza del giudice di Gela, diverso da quello presso il quale esercitava le proprie funzioni.

2. La sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha, in particolare, ritenuto accaduti i fatti secondo la ricostruzione riferita dal maresciallo C. e poi trasfusi nel capo di incolpazione, qualificata come confermata dalle risultanze del testimoniale escusso a dibattimento, nonostante qualche incertezza reputata peraltro compatibile con l’intervallo temporale trascorso e soprattutto a dispetto della contrastante versione dell’incolpato e della sua conferma da parte di almeno due testimoni; in particolare ritenendo di comporre le discordanze in una “serie di elementi indiscutibili che, da soli, integrano il comportamento, rilevante disciplinarmente, contestato al dott. F., consistente nella ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato”.

3. A tal riguardo, premessa un’articolata disamina di tale illecito e della giurisprudenza della stessa Sezione sul punto (ricordato che quello può realizzarsi con varie modalità, dalla semplice richiesta di informazioni sino a vere e proprie pressioni atte a condizionare in concreto la corretta formazione dell’iter decisionale di un giudice o di un pubblico ministero e, se mai, anche a realizzare gli effetti distorsivi del condizionamento giudiziario) e qualificata come ingiustificata interferenza “ogni azione o iniziativa di intromissione o inframmettenza, diretta ad influire sull’autonomo percorso decisionale del magistrato o dei magistrati preposti alla trattazione di un processo in sede giurisdizionale”, i giudici disciplinari hanno così ritenuto idonei ad integrare l’illecito contestato al F., che le aveva tenute nella consapevolezza di non essere titolare delle indagini sulla vicenda per non essere quella sera il magistrato della Procura della Repubblica di Catania di turno esterno, le condotte: di qualificazione di se stesso come sostituto procuratore della Repubblica di Catania in una vicenda che in qualche modo aveva fino a quel momento anche solo messo in discussione l’esatta individuazione della competenza territoriale; di somministrazione all’ufficiale di p.g. procedente di indicazioni sull’audizione dei parenti della vittima e sull’acquisizione della cartella clinica in relazione ad una ipotesi di colpa professionale; di trattenimento nella sala del Pronto Soccorso e partecipazione alle decisioni in ordine alla tempistica e priorità negli atti da svolgere, a nulla rilevando il fatto che vi fosse stato sollecitato dall’ufficiale di p.g. procedente (a parte il fatto che questi aveva comunque avvertito l’esigenza di informare della intera vicenda il sostituto procuratore della Repubblica di Gela di turno quella notte, dott.ssa Ca.).

4. E tali condotte sono state qualificate idonee a condizionare l’operato dell’ufficiale di p.g. e a riflettersi sull’indipendenza delle indagini – o dell’attività investigativa – e del suo titolare, in violazione del dovere di correttezza che incombe sul magistrato, in considerazione del suo specifico interesse, seppure dettato da ragioni umanitarie e di amicizia, alla vicenda, senza che rilevasse in contrario la circostanza, dedotta dalla difesa, dell’assenza di qualunque indicazione da parte del dott. F. all’ufficiale di p.g. di specifici obiettivi investigativi, nè di elementi di reato da valorizzare, o di soggetti nei cui confronti indirizzare le indagini: così ritenuto l’incolpato meritevole della sanzione della censura.

5. Per la cassazione di tale sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, deliberata all’udienza dibattimentale del 16/06/2016 e pubblicata il 17/02/2017 col n. 16, ricorre oggi il dott. F., affidandosi a due motivi; ed alla pubblica udienza del 18/07/2017 il suo difensore, dopo avere per iscritto dichiarato di aderire all’astensione dalle udienze e da ogni attività nel settore penale indetta dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane per il giorno fissato per l’udienza stessa, prende incondizionatamente parte alla discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Non rileva la dichiarazione originariamente resa dal difensore del F., di adesione alla astensione dalle udienze ed attività nel settore penale indetta dalla Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane per il 18/07/2017, atteso che poi, sia pure per delega, egli ha preso parte alla pubblica udienza di discussione senza reiterare tale dichiarazione di adesione: ed a prescindere dal fatto che la medesima non gli avrebbe comunque giovato, non potendo qualificarsi attività nel settore penale – cui estendere l’astensione oggetto di indizione l’udienza del giudizio disciplinare davanti alle sezioni unite civili per l’impugnativa delle sentenze della sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura nei confronti dei magistrati.

2. Ciò posto, può esaminarsi il primo motivo di ricorso, col quale il ricorrente prospetta “violazione di legge ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, comma 1, lett. e), artt. 18,19 e 192 e 195 c.p.p.”: con tale complessa doglianza, il F. addebita alla gravata sentenza non solo la conclusione della responsabilità disciplinare a dispetto delle pure evidenziate discordanze nel testimoniale escusso, ma soprattutto la palese anomalia di attribuire esclusivo riferimento probatorio alle dichiarazioni del maresciallo C. e della dottoressa Ca., nonostante quest’ultima avesse deposto su quanto a lei riferito dal primo in punto di attribuzione, da parte di esso ricorrente, di una competenza territoriale e mancasse un riscontro alla deposizione così resa de relato in punto di attribuzione, da parte di esso ricorrente, della sua qualificazione ad intervenire in ragione del suo incardinamento nell’ufficio competente per territorio.

3. Il motivo è, prima che infondato, inammissibile, in quanto non coglie la ratio decidendi della gravata decisione, che non fonda affatto la disciplinare responsabilità del F. sulla rivendicazione espressa di una sua diretta competenza a condurre le indagini anche nella delicata fase del loro avvio, ma espressamente in una diversa e complessiva serie di condotte da lui tenute, qualificate sorrette da idonea prova anche al di là delle incongruenze nel testimoniale escusso ed in particolare, nella premessa che esse erano state comunque tenute dal ricorrente nella consapevolezza di non potere essere titolare delle indagini sulla vicenda per non essere quella sera il magistrato della Procura della Repubblica di Catania di turno esterno, le condotte: di aver qualificato se stesso come sostituto procuratore della Repubblica di Catania in una vicenda che in qualche modo aveva fino a quel momento anche solo messo in discussione l’esatta individuazione della competenza territoriale (e quindi implicato proprio l’ipotesi della competenza dell’ufficio di cui egli aveva messo in luce di fare parte); se non di avere dato all’ufficiale di p.g. procedente indicazioni espresse sull’audizione dei parenti della vittima e sull’acquisizione della cartella clinica in relazione ad un’ipotesi di possibile colpa professionale, di essersi comunque trattenuto nella sala del Pronto Soccorso e presenziato alle decisioni in ordine alla tempistica e priorità negli atti da svolgere, a nulla rilevando il fatto che vi fosse stato sollecitato dal medesimo ufficiale di p.g. procedente.

4. Tale essendo la ratio decidendi delle condotte ascritte con certezza all’incolpato e comunque ricordato che in punto di ricostruzione del fatto, soprattutto quando questa ha luogo sulla base di una complessiva valutazione di elementi istruttori, il controllo di legittimità si arresta all’intrinseca congruità della motivazione in fatto operata dal giudice disciplinare, attesa la tendenziale insindacabilità, nella presente sede di legittimità, che comunque assiste la ricostruzione dei fatti da parte del giudice disciplinare (su cui, in generale e tra le altre, v. Cass. Sez. U. 13/11/2012, n. 19704), non sussiste il vizio prospettato dal medesimo nel primo motivo di ricorso.

5. Col secondo motivo di ricorso, poi, il F. si duole di “violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2”, e di “mancanza e manifesta illogicità della motivazione”: argomentando ampiamente per la non configurabilità di un’interferenza, per di più ingiustificata, nella condotta ascrittagli e, segnatamente, ricordando la necessità di applicare in via preliminare il principio di offensività, sicchè ogni interferenza disciplinarmente rilevante andrebbe esclusa in assenza di una condotta obiettivamente idonea a porre in pericolo i beni giuridici che la disposizione intende tutelare; invocata l’autorità di Cass. Sez. U. 26/11/2014, n. 25136(che escluse l’interferenza ove non fossero intervenute sollecitazioni per indebiti interessi dell’incolpato, nè gravi mancanze di rispetto dell’autonomia, nè dell’immagine o del prestigio della magistratura), fornisce un’ampia esegesi del concetto di interferenza, a partire dalla sua etimologia corrente, per paventare almeno tre rischi (l’utilizzo strumentale dovuto alla vaghezza del precetto; la preclusione di ogni confronto informale tra magistrati; la definizione della fattispecie mediante il riferimento ad un parametro che riguarderebbe non la condotta specifica o il fatto, ma l’effetto della situazione considerata) di applicazioni casuali, discriminatorie, arbitrarie, soggettivistiche e, soprattutto, incontrollabili.

6. Ancora, il ricorrente prospetta la necessità che l’attività di interferenza sia idonea a modificare la decisione altrimenti assunta, per poi escludere la rilevanza di semplici cattive maniere o di condotte di mera discussione di iniziative o provvedimenti di colleghi; e conclude per l’inidoneità perfino della sua negata condotta di rivendicazione della titolarità dell’indagine in capo alla Procura di Catania ai fini del condizionamento della libera determinazione e della serenità di giudizio della dott.ssa Ca., con la quale non aveva mai nemmeno interloquito e rispetto alla quale anzi l’appartenenza ad altro ufficio giudiziario – neppure sovraordinato, anche solo funzionalmente – escludeva in radice qualunque influenza pure solo indiretta sulla collega.

7. Anche tale motivo è infondato, perchè è la peculiare connotazione della concatenazione, complessivamente considerata nel suo contesto, delle condotte serbate dal F. a rilevare quale ingiustificata inframmettenza nella fase delle attività investigative immediatamente successive all’acquisizione della notizia di reato e, quindi, idonea a condizionarle o influenzarle, anche soltanto con la spendita della circostanza della sua appartenenza ad un ufficio del quale era stata prospettata la possibile competenza territoriale a seconda proprio dell’esito degli atti cui il magistrato stesso, senza alcun titolo, aveva comunque deciso di presenziare, rivolgendo severi moniti all’ufficiale procedente nel momento in cui questi esternava i suoi primi intendimenti e conseguendo comunque il risultato di un implicito o potenziale condizionamento dell’ufficiale stesso nell’adozione delle prime iniziative.

8. Ed è in tali specifiche modalità di evidente inframmettenza nell’attività investigativa immediata, sulla quale unico a vigilare doveva essere il pubblico ministero competente per territorio e di turno, il Consiglio Superiore della Magistratura ha, correttamente, ravvisato l’interferenza rilevante ai sensi della norma che prevede l’illecito disciplinare: la quale, quindi, è stata correttamente applicata ad una fattispecie altrettanto correttamente sussunta entro la sua astratta previsione.

9. E’ ben vero che queste Sezioni Unite hanno adeguatamente puntualizzato, sulla base di una accurata ricostruzione della ratio dell’illecito disciplinare per cui oggi è causa, che (Cass. Sez. U. 26/11/2014, n. 25136, richiamata anche dal ricorrente, alla cui ampia motivazione basti in questa sede un rinvio) “l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria costituisce illecito disciplinare del magistrato, ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. e, solo quando la condotta del magistrato interferente sia idonea, almeno astrattamente, a mettere in pericolo la libertà di determinazione e la serenità di giudizio del magistrato destinatario”; ma non sono mai giunte a condividere la più ampia o generosa interpretazione, di cui si sono limitate a dar conto, talvolta adottata dal giudice disciplinare, in ordine alla necessità l’oggettiva idoneità della condotta di interferenza a determinare la modificazione della decisione naturaliter assunta.

10. E tuttavia è evidente che un’inframmettenza rilevante a tali fini, perfino – cioè – alla stregua della giurisprudenza di queste Sezioni Unite appena richiamata, vi è stata proprio nella condotta ritenuta provata dal Consiglio Superiore della Magistratura, siccome tenuta con le viste e descritte modalità nel contesto ricordato e perfino ove fosse vero che il F. non avesse posto in essere le condotte di vero e proprio indirizzo – circa gli uni piuttosto che gli altri fra gli atti da compiere – che invece l’ufficiale di polizia giudiziaria gli attribuisce, nei primi atti di indagine relativi ad una notizia di reato per la quale si erano profilati dubbi sulla corretta individuazione della competenza territoriale, ad opera di chi agiva senza alcuna veste formale per non essere magistrato di turno esterno dell’ufficio in potenziale conflitto.

11. Infatti, tale condotta ha integrato una sicura forma di influenza – anche indiretta o potenziale, non foss’altro che per la non giustificata presenza, nemmeno quale amico personale della famiglia della vittima, durante le determinazioni di quell’ufficiale di polizia giudiziaria nell’avvio delle indagini e dopo un severo monito a non commettere falsità dopo l’espressione dei primi intendimenti da parte dell’Ufficiale di P.G. – sull’indirizzo da imprimere alle prime iniziative da intraprendere, le quali oltretutto, per nozioni di comune esperienza, sono decisive ai fini dello sviluppo delle successive indagini – anche solo quanto a prontezza di determinazione ed esecuzione dei primi atti a preferenza di altri – e degli eventuali procedimenti penali da instaurare per i casi di omicidio colposo da responsabilità sanitaria.

12. La potenziale idoneità della condotta del F. a deviare o influenzare la finale impostazione dell’attività di polizia giudiziaria e quindi del pubblico ministero cui questa avrebbe dovuto riferire è evidente e sussiste l’interferenza ingiustificata oggetto dell’incolpazione.

13. Il ricorso, inammissibile il primo e infondato il secondo motivo, è pertanto respinto.

PQM

 

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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