Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18991 del 27/09/2016


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Cassazione civile sez. III, 27/09/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 27/09/2016), n.18991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3583/2014 proposto da:

RELAIS SANTA CROCE SRL, in concordato preventivo in persona

dell’Amministratore Unico G.M., elettivamente domiciliata

in ROMA, PIAZZA DELL’EMPORIO 16/A, presso lo studio dell’avvocato

ILARIA PAGNI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati

GIUSEPPE PANCANI, LUIGI SPINA giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M., in proprio e nella qualità di tutore di

C.I.M.G. elettivamente domiciliato in ROMA, L.GO TRIONFALE 7,

presso lo studio dell’avvocato ERNESTO ABBATE, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIAN PAOLO OLIVETTI RASON giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

BAGLIONI HOTELS SPA SOCIO UNICO, P.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 776/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 09/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito l’Avvocato LUIGI SPINA;

udito l’Avvocato FRANCESCO ARNAUD per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Ai fini che ancora rilevano nel presente giudizio, la Corte di appello di Firenze (sentenza del 4 giugno 2013) confermò, correggendo la motivazione, la decisione del primo giudice, che aveva dichiarato risolto, ex art. 1453 e 1455 c.c., il contratto di locazione di una porzione di immobile per attività alberghiera, per via della morosità nel pagamento dei canoni di locazione, dalla metà dell'(OMISSIS), oltre ad altre spese (circa 115.000 Euro).

Il giudizio era stato promosso nei confronti della originaria conduttrice (Relais Santa Croce) e nei confronti della società (Baglioni Hotels spa) con la quale questa (a metà (OMISSIS)) aveva stipulato un contratto di affitto di azienda. Società, quest’ultima, cessionaria del contratto di locazione, comunicato alla locatrice, che non aveva liberato la cedente dalle sue obbligazioni.

2.Avverso la suddetta sentenza, Relais Santa Croce srl in concordato preventivo, propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resiste con controricorso M.M. nella qualità.

Baglioni Hotels spa, non si difende.

Entrambe le parti depositano memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte di merito, in riferimento all’eccezione di adempimento da parte del conduttore di aver effettuato il pagamento dei canoni in contestazione, rilevato che gli ordini di bonifico indicavano solo “affitto” senza riferimento alla mensilità relativa, e che il creditore, in mancanza di specifica imputazione da parte del debitore aveva imputato i pagamenti a canoni scaduti pregressi rispetto a quelli in contestazione, in applicazione del criterio legale di cui all’art. 1193 c.c., comma 2, mentre il debitore non aveva, come era suo onere, neanche chiesto di provare che i canoni pregressi cui il creditore aveva imputato i pagamenti erano già stati diversamente estinti, ha ritenuto l’inadempimento.

1.1. Così decidendo, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio, secondo cui “Il creditore che agisce per il pagamento ha l’onere di provare il titolo del suo diritto, non anche il mancato pagamento, giacchè il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca. L’onere della prova torna a gravare sul creditore il quale, di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva, ossia puntualmente eseguito con riferimento a un determinato credito, controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso da quello indicato dal debitore, fermo restando che, in caso di crediti di natura omogenea, la facoltà del debitore di indicare a quale debito debba imputarsi il pagamento va esercitata e si consuma all’atto del pagamento stesso, sicchè una successiva dichiarazione di imputazione, fatta dal debitore senza l’adesione del creditore, è giuridicamente inefficace.” (Cass. n. 19527 del 2012).

1.1. La società conduttrice ricorrente censura la statuizione con i primi due motivi di ricorso.

Deduce, invocando la violazione dell’art. 1193 c.c., l’omessa considerazione da parte del giudice di una “imputazione tacita” dei pagamenti – avvenuti mediante bonifici con l’indicazione della causale “affitto” senza ulteriore specificazione – quale si sarebbe potuta dedurre dal diverso importo dei canoni per via dell’adeguamento Istat previsto in contratto.

A prescindere dalla configurabilità della imputazione tacita a fronte della giurisprudenza consolidata che, in caso di crediti di natura omogenea, richiede una dichiarazione di imputazione, è assorbente la considerazione della novità del profilo, dedotto per la prima volta in sede di legittimità. Deduce, inoltre, la violazione dell’art. 2697 c.c., sempre in riferimento all’art. 1193 c.c..

Al contrario di quanto si sostiene nel ricorso, tale regola non è stata violata dalla Corte di merito atteso che, in difetto di imputazione specifica del debitore, ha ritenuto operante l’imputazione legale dei pagamenti ai crediti preesistenti, con conseguente spettanza al debitore dell’onere di provare di aver altrimenti estinto questi ultimi.

Infatti, solo a fronte di un pagamento eseguito in riferimento a un determinato credito l’onere della prova sarebbe gravato sul creditore che avesse controdedotto che il pagamento era da imputarsi ad un credito diverso.

I primi due motivi, pertanto, sono privi di pregio.

2. Con il terzo motivo, invocando la violazione degli artt. 1453 e 1455 c.c., si deduce l’erroneità della sentenza nella parte in cui non avrebbe dato rilievo, per escludere la gravità dell’inadempimento, alla “tolleranza” del locatore, che aveva inviato la diffida ad adempiere dopo un anno dall’ultimo adempimento.

In particolare, la sentenza avrebbe errato: – a non dare rilievo all’aspetto soggettivo, avendo il locatore prestato una costante acquiescenza per via delle trattative in corso per l’acquisto da parte sua delle quote della società conduttrice; – a non comprendere che nel giudizio di appello si era discusso della gravità dell’inadempimento proprio in riferimento alla dedotta tolleranza del creditore e che, quindi, il profilo della gravità era stato sviluppato; – nel riferirsi all’inoperatività della clausola risolutiva espressa in caso di tolleranza nel ritardo del canone, salvo la ripresa di efficacia della stessa clausola in caso di nuova manifestazione di volontà (Cass. n. 2111 del 2012); – a non considerare che la condotta del creditore va valutata secondo il principio della buona fede.

2.1. La censura non è fondata e va rigettata.

Come il ricorrente sostiene – mediante il rituale richiamo agli atti processuali – nel giudizio di appello si discusse della gravità dell’inadempimento sotto il profilo soggettivo e, al fine di sostenere la mancanza di tale gravità, il conduttore argomentò nel senso del rilievo a tal fine della tolleranza del creditore. La Corte di merito, per rilevare la cessazione della tolleranza ha correttamente richiamato la giurisprudenza relativa alla reviviscenza della efficacia della clausola risolutiva espressa. In riferimento alla clausola risolutiva espressa prevista in un contratto di locazione, la tolleranza del locatore nel ricevere il canone oltre il termine stabilito la rende inoperante, ma la clausola riprende la sua efficacia se il creditore, che non intende rinunciare ad avvalersene, provveda, con una nuova manifestazione di volontà, a richiamare il debitore all’esatto adempimento delle sue obbligazioni (tra le tante, Cass. n. 2111 del 2012). Nella specie, il locatore manifestò la propria volontà di porre fine alla tolleranza con la lettera del 2 dicembre 2009, pacificamente restata senza risposta da parte del conduttore. A questa seguì l’azione giudiziaria per la convalida di sfratto in forza della quale il conduttore pagò con riserva di ripetizione, sostenendo di nulla dovere. In definitiva, correttamente la Corte di merito ha confermato la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore anche sotto il profilo soggettivo.

3. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti, seguono la soccombenza a vantaggio del controricorrente.

Non avendo l’altra società intimata svolto difese, non sussistono i presupposti per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 12.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2016

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