Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18990 del 17/07/2018


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Civile Ord. Sez. 5 Num. 18990 Anno 2018
Presidente: CRUCITTI ROBERTA
Relatore: BERNAZZANI PAOLO

ORDINANZA

sul ricorso 2254-2013 proposto da:
CUTECH SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA
DELLA SCROFA 64, presso lo studio dell’avvocato
STEFANO ZUNARELLI, che lo rappresenta e difende
unitamente all’avvocato LORENZO DEL FEDERICO;
– ricorrente contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 17/07/2018

nonchè contro

AGENZIA DELLE ENTRATE CENTRO OPERATIVO DI PESCARA;
– intimata

avverso

la

sentenza

COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST.

di

n.
PESCARA,

697/2012

della

depositata

il

udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 27/03/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO
BERNAZZANI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SERGIO DEL CORE che ha chiesto il rigetto del ricorso.

24/05/2012;

RILEVATO IN FATTO

La società CUTECH s.r.l. impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria
provinciale di Pescara il provvedimento con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva
negato, in conseguenza dell’esaurimento delle risorse finanziarie disponibili, il nulla
osta alla fruizione del credito dì imposta previsto dall’art. 1, commi 280-283, della
legge n. 296 del 2006, pari al 10% delle spese sostenute per la attività di ricerca e
sviluppo volta alla cd. innovazione del prodotto.

d.l. n. 185 del 2008, convertito nella legge n. 2 del 2009, che, modificando la
normativa precedente, aveva previsto, per gli anni 2008-2011, uno stanziamento
fisso nel bilancio dello Stato entro il quale quei crediti di imposta avrebbero trovato
copertura ed aveva stabilito che le somme stanziate sarebbero state attribuite agli
aventi diritto, per le attività di ricerca avviate prima del 29.11.08, secondo un
criterio meramente temporale, nel senso che sarebbero stati privilegiati coloro che,
per primi, avessero inoltrato per via telematica un formulario di prenotazione
contenente l’importo delle spese agevolabili da sostenere; eccepiva altresì la
violazione di norme del cd. Statuto dei diritti del Contribuente (legge n. 212 del
2000) e chiedeva dichiararsi la illegittimità del provvedimento di diniego.
L’Agenzia delle Entrate – Ufficio Centro Operativo di Pescara (C.O.P.)- chiedeva
il rigetto del ricorso, contestando i rilievi mossi dalla parte ricorrente.
La Commissione Tributaria provinciale respingeva il ricorso ed avverso tale
decisione proponeva appello la società contribuente. La Commissione Tributaria
regionale, con sentenza n. 697 in data 27.10.2011/24.5.2012, respingeva tutte le
censure sollevate e confermava la sentenza impugnata, evidenziando che il d.I. n.
185 del 2008, convertito in legge n. 2 del 2009, perseguendo l’obiettivo di
“fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale”, aveva la finalità di
rendere prevedibili le entrate e le uscite del bilancio dello Stato e, per tale ragione,
aveva esteso a quei crediti il sistema di monitoraggio ed il principio di fruizione
entro limiti quantitativi prefissati, come previsto, in generale, per tutti gli altri
crediti di imposta.
La società contribuente ricorre per cassazione affidandosi a sei motivi di ricorso
e l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis cod. proc. civ.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente prospetta l’illegittimità
costituzionale dell’art. 29, commi 1, 2, 3 del d.l. 29.11.08 (c.d. «decreto anticrisi»),

A sostegno del ricorso deduceva la illegittimità costituzionale dell’art. 29 del

convertito in legge 28.1.09 n. 2, per violazione degli artt. 3, 41, 97 e 117 della
Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.
1.1. Il motivo è infondato.
Occorre, al riguardo, osservare che in relazione all’asserito contrasto della
suddetta normativa con gli artt. 41, 97 e 117 Cost. si è già espressa questa Corte
con l’ordinanza n. 3576 del 2015, con motivazioni che questo Collegio condivide ed
alle quali si richiama espressamente.

Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, lett. a) e 3 del
d.l. n. 185 del 2008, nella parte in cui, anche per i crediti di imposta relativi a costi
sostenuti per attività di ricerca avviate prima del 29.11.2008, è previsto un tetto
massimo di stanziamento ed una procedura di ammissione al beneficio fiscale
basata sul criterio cronologico di ricezione telematica delle domande dei
contribuenti (cfr. Cass. sez. 6, ord. 23/02/2015, n. 3576).
La Corte Costituzionale, con la recente sentenza n. 149 del 27/06/2017, ha
dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma
1, del d.l. n. 185 del 2008 ed inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 29, commi 2 lett. a) e 3 del medesimo d.l., sollevate da questa Corte.
Dopo avere ricostruito il quadro normativo che regola i crediti di imposta
richiesti in relazione ad attività di ricerca e sviluppo, la Corte Costituzionale, dando
atto che, secondo il rimettente, la disposizione censurata avrebbe di fatto “abolito”
il diritto di credito già maturato in relazione ai costi già sostenuti, nonché
l’aspettativa del credito maturato in relazione ai costi da sostenere, ha rilevato che
il valore del legittimo affidamento nella certezza delle situazioni giuridiche, il quale
trova copertura costituzionale nell’art. 3 della Costituzione, non esclude che il
legislatore possa assumere disposizioni che modifichino in senso sfavorevole agli
interessati la disciplina di rapporti giuridici «anche se l’oggetto di questi sia
costituito da diritti soggettivi perfetti», ma esige che ciò avvenga alla condizione
«che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con
riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei
cittadini nella sicurezza giuridica…. L’intervento retroattivo del legislatore, dunque,
può incidere sull’affidamento dei cittadini a condizione che: 1) trovi giustificazione
in , e dunque abbia una , quale un interesse pubblico sopravvenuto o una
; 2) sia comunque rispettoso dei principio di
ragionevolezza…. inteso, anche, come proporzionalità….».

Questa Corte ha poi sollevato, in via subordinata, con riferimento all’art. 3 della

Nella specie, la Consulta ha ritenuto che la disposizione censurata abbia una
«causa normativa adeguata», poiché trova giustificazione nei «principi, diritti e beni
di rilievo costituzionale» tutelati dagli artt. 2, 3 e 81 della Costituzione, e non viola i
principi di ragionevolezza e proporzionalità, dato che, a seguito di successivi
interventi normativi, la posizione dei titolari di crediti «perdenti» non è stata incisa
in maniera assoluta, considerato che gli ulteriori stanziamenti previsti ex I. n. 191
del 2009 hanno permesso la copertura di circa metà dei loro crediti, e tenuto conto

destinati alla attività di ricerca, sicchè il loro venir meno non può avere avuto una
incidenza decisiva sul complesso andamento economico delle imprese.
Con riguardo alla questione sollevata da questa Corte in via subordinata,
premesso che secondo il rimettente la disposizione normativa di cui all’art. 29, co.
2, lett. a) e co. 3, dl. n. 185 cit. era da censurare nella parte in cui prevedeva una
procedura di ammissione al beneficio basato sul criterio cronologico di ricezione
delle domande telematiche dei contribuenti, perché il criterio selettivo è del tutto
scollegato dal merito delle ragioni di credito e dalla solerzia del loro esercizio, la
Corte Costituzionale ha ritenuto la questione inammissibile, sottolineando che un
eventuale suo accoglimento determinerebbe un assetto normativo caratterizzato da
iniquità ed irragionevolezza, perché coloro che sono risultati vincitori nella
procedura telematica non solo perderebbero il beneficio ottenuto, ma non
potrebbero neanche concorrere alla distribuzione del successivo finanziamento
previsto dall’art. 2, comma 236, della legge n. 191 del 2009, finanziamento che è
riservato ai «perdenti».
Alla luce dei principi enunciati dalla richiamata sentenza della Corte
Costituzionale deve dunque ritenersi manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale sollevata dalla parte ricorrente.
2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denuncia “contraddittorietà ed
illogicità della motivazione circa un fatto controverso e risolutivo per la definizione
del giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.”.
La ricorrente ha sottolineato che la C.T.R., pur avendo affermato che la legge
n. 296 del 2006 ha attribuito alle imprese un diritto soggettivo “perfetto” alla
fruizione del credito di imposta, ha ritenuto legittimo il diniego di nulla-osta emesso
dal C.O.P. sul presupposto che questo non riguarderebbe l’esistenza del diritto, ma
le sue modalità di fruizione, rinviate nel tempo per carenza di fondi.
2.1. Il motivo è infondato.
Il Giudice di appello, senza incorrere nel denunciato vizio di motivazione
contraddittoria o illogica, ha esaurientemente osservato che l’art. 29 del d.l. n. 185

che i crediti di imposta originariamente riconosciuti coprivano solo il 10% dei costi

del 1998, convertito nella legge n. 2 del 2009, perseguendo l’obiettivo di
“fronteggiare l’eccezionale situazione di crisi internazionale”, non ha inciso sulla
spettanza del diritto al credito di imposta, ma ha, piuttosto, introdotto un limite
quantitativo alla fruizione di quel diritto che trova proprio giustificazione nella
esigenza di non poter assumere oneri finanziari in assenza della necessaria
copertura, dovendosi far fronte alla grave situazione economica in atto.
3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente ha dedotto “violazione e falsa

comma, n. 3 cod. proc. civ.” perché la Commissione Tributaria regionale ha ritenuto
non censurabile l’applicazione retroattiva dell’art. 29 d.l. n. 185 del 2008, che ha
introdotto un tetto massimo per la fruibilità del credito di imposta, con effetto anche
per i crediti maturati anteriormente.
3.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte affermato che le disposizioni della legge n. 212 del
2000 – fra cui il principio dettato dall’art. 3, secondo il quale “salvo quanto previsto
dall’art. 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”, così
codificando nella materia fiscale il principio di irretroattività delle leggi stabilito
dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale -, pur se costituenti principi
generali dell’ordinamento tributario, non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango
superiore alla legge ordinaria (essendone, invero, ammessa la modifica o la deroga,
purché espressa e non ad opera di leggi speciali), con la conseguenza che una
previsione legislativa che si ponga in contrasto con esse non è suscettibile di
disapplicazione, né può essere di per sé oggetto di questione di legittimità
costituzionale, non potendo le disposizioni dello Statuto fungere direttamente da
norme parametro di costituzionalità (Cass. n. 4815 del 28/02/2014).
Pertanto, la regola generale dell’irretroattività delle disposizioni tributarie ex
art. 3 della legge n. 212 del 2000, può essere legittimamente derogata da altra
specifica ed espressa norma, di pari rango, senza che ciò comporti alcun vulnus ai
principi costituzionali.
4. Anche il quarto motivo di ricorso con il quale si lamenta “violazione e falsa
applicazione dell’art. 10, comma 2, della legge 212 del 2000 e dei principi
comunitari in tema di legittimo affidamento, in relazione all’art. 360, primo comma,
n. 3 cod. proc. civ.”, è infondato.
La C.T.R. ha rilevato che la nuova normativa non viola il principio
dell’affidamento, né i prìncipi comunitari di tutela del legittimo affidamento in
ragione della sussistenza di un superiore interesse dello Stato a far fronte alla grave
crisi economica ed a rispettare i parametri imposti dalla Comunità europea, come

applicazione dell’art. 3, legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo

successivamente sottolineato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.
149 del 27 giugno 2017.
Sebbene la C.T.R. abbia fornito una interpretazione del principio di legittimo
affidamento più restrittiva di quella ammessa dalla Corte Costituzionale e dalla
Corte di Giustizia dell’Unione Europea- interpretazione secondo la quale il principio
non opera in relazione agli atti del legislatore, ma solo riguardo all’Amministrazione,
mentre, al contrario, il giudice delle leggi nazionale e la Corte di Giustizia ritengono

l’imprecisione diventa irrilevante nell’economia complessiva del giudizio, in quanto
non solo la Corte Costituzionale, ma anche la stessa Corte di Giustizia, in qualche
occasione, ha ammesso che l’applicazione del principio possa flettersi di fronte ad
interventi legislativi in presenza di situazioni particolari e a determinate condizioni.
Con riferimento alle materie regolate da norme euro-unitarie, la Corte di
Giustizia, occupandosi della definizione del concetto di legittimo affidamento, ha
affermato che, per quanto lo stesso sia un principio fondamentale dell’ordinamento
dell’Unione, non si traduce nella aspettativa di intangibilità di una normativa, in
particolare in settori in cui è necessario, e di conseguenza ragionevolmente
prevedibile, che le norme in vigore vengano continuamente adeguate alle variazioni
della congiuntura economica (Corte Giust., sentenza del 23/11/1999 nella causa C149/96).
E ancora: «Di conseguenza, gli operatori economici non possono fare
legittimamente affidamento sulla conservazione di una situazione esistente che può
essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle istituzioni comunitarie
(cfr. sentenza 15 luglio 1982, causa 245/81, Edeka, Race. 1982, pag. 2745, punto
27 della motivazione; sentenza 28 ottobre 1982, causa 52/81, Faust, Race. 1987,
3745, punto 27 della motivazione; sentenza 17 giugno 1987, cause riunite 424 e
425/85, Frico, Race. 1979, pag. 2755, punto 33 della motivazione)»(Corte Giust.,
causa C-350/88).
5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce “violazione e falsa applicazione
dell’art. 7, comma 1, della legge 212 del 2000 e dell’art. 3 della legge n. 241 del
1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.”.
Lo stesso è, parimenti, infondato.
Invero, l’obbligo di motivazione quale scaturisce dal parametro normativo
invocato non è stato violato, né erroneamente interpretato, posto che il
provvedimento di diniego è stato adeguatamente motivato sulla base del rilievo che
il mancato rilascio del nulla osta alla fruizione del credito di imposta era dipeso

che il principio coinvolga anche l’esercizio della funzione legislativa- tuttavia

dall’esaurimento delle risorse finanziarie, circostanza pienamente idonea ad
esplicare e giustificare la mancata concessione dell’agevolazione fiscale in esame.
Peraltro, come posto in evidenza dalla C.T.R., «…la intera procedura è stata
gestita da un programma informatico…» e la indicazione del giorno e dell’ora di
arrivo della domanda ha consentito alla società ricorrente di verificare che non
siano state accolte istanze inviate in epoca o in ora successiva alla sua.
6. Con il sesto motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza per

nonché dell’art. 21-octies della legge 7 agosto 1990, n. 241, in relazione all’art.
360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.”.
6.1. La ricorrente lamenta il fatto che la C.T.R. abbia ritenuto che il diniego di
nulla osta non necessitasse dell’indicazione del responsabile del procedimento e
sostiene che l’atto della Amministrazione finanziaria privo di tale requisito, previsto
espressamente dall’art. 7, comma 2, dello Statuto del Contribuente, sarebbe
annullabile per violazione di legge, a nulla rilevando che si sia trattato di una
procedura telematica, essendo previsto dall’art. 21-octies della legge n. 241 del
1990 “è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di
legge”.
Il motivo è infondato. L’indicazione del responsabile del procedimento negli atti
dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dall’art. 7 della I. n. 212 del 2000,
a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta dall’art. 36, comma 4ter, del d.l. n. 248 del 2007, conv., con modif., dalla I. n. 31 del 2008, solo con
riferimento alle cartelle di pagamento riferite a ruoli consegnati agli agenti della
riscossione a decorrere dal 10 giugno 2008 (Cass. n. 11856 del 12/05/2017).
Peraltro, l’art. 36, comma 4 ter d.l. n. 248 del 2007 si riferisce espressamente
alle cartelle esattoriali di cui all’art. 25 d.P.R. n. 600 del 1973, mentre nella specie
si tratta di un provvedimento di diniego di agevolazione, e, quindi, di atto di natura
diversa.
Con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 21-octies della legge n. 241 del
1990 – anche a voler prescindere dalla questione circa l’applicabilità di tale norma in
ambito tributario, connotato dal principio di tassatività delle cause di nullità degli
atti impositivi – va ribadito il principio già espresso, secondo cui in base a tale
norma, la cui ratio va ravvisata nell’intento di sanare, con efficacia retroattiva, tutti
gli eventuali vizi procedimentali non influenti sul diritto di difesa, va esclusa
l’annullabilità di un provvedimento di natura vincolata, per la violazione delle norme
del procedimento, in ragione dell’inidoneità dell’intervento dei soggetti ai quali è

“violazione e falsa applicazione dell’art. 7, comma 2, della legge n. 212 del 2000

riconosciuto un interesse, ad interferire sul suo contenuto (Cass. Sez. U., n. 14878
del 2009).
Nella fattispecie in esame il provvedimento di diniego adottato ha sicuramente
natura vincolata e non discrezionale, considerato che il rilascio del nulla osta
dipendeva esclusivamente dalla disponibilità delle risorse economiche e dall’ordine
cronologico di arrivo della domanda e non avrebbe, di conseguenza, potuto avere
contenuto diverso da quello adottato.

La novità delle questioni trattate, in ragione del recente intervento della Corte
Costituzionale, giustifica la compensazione integrale delle spese di lite.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese processuali.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 27 marzo 2018

In conclusione, il ricorso proposto va integralmente respinto.

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