Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1899 del 27/01/2011

Cassazione civile sez. II, 27/01/2011, (ud. 01/12/2010, dep. 27/01/2011), n.1899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11038-2005 proposto da:

T.C.A. (OMISSIS), T.C.U.

(OMISSIS), TA.CA.AN. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. ANTONELLI 49, presso lo

studio dell’avvocato MATERA CORRADO, rappresentati e difesi

dall’avvocato SALERA SANDRO;

– ricorrenti –

contro

F.M.;

– intimata –

sul ricorso 15064-2005 proposto da:

F.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIALE CARSO 71, presso lo studio dell’avvocato ARIETA

GIOVANNI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente e ric. incidentale –

contro

D.M.G. (OMISSIS), in proprio e quale erede,

C.E. (DECEDUTA), e per essa gli eredi D.M.L.

(OMISSIS), D.M.V. (OMISSIS), D.M.

F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G

ANTONELLI 49, presso lo studio dell’avvocato MATERA CORRADO,

rappresentati e difesi dall’avvocato SALERA SANDRO;

– controricorrenti –

e contro

T.C.A., T.C.U., TA.CA.AN.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2748/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 09/06/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2010 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Arieta Giovanni difensore del resistente che si

riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI MAURIZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 27.10.95 D.M.G., C. E., T.C.U., Ta.Ca.An., T. C.A. e C.B., convenivano avanti al tribunale di Cassino, F.M., e premesso che erano proprietari pro- indiviso dei terreni siti in (OMISSIS) in via del Foro (distinti al catasto al foglio 84 part. 722, 723, 724 e 729) e che la convenuta vi aveva apposto un recinzione impossessandosi di tali terreni senza avervi titolo, chiedevano che venisse dichiarata la loro esclusiva proprietà della suddetta area, con la conseguente condanna della F. al rilascio della stessa oltre al risarcimento dei danni.

Si costituiva la convenuta chiedendo il rigetto della domanda siccome infondata contestando sia i titoli che il possesso degli attori ed in subordine in quanto la proprietà dei terreni era stata da lei acquistata per usucapione, di talchè, in via riconvenzionale instava per la declaratoria di acquisto del fondo a tale titolo.

L’adito tribunale di Cassino espletata l’istruttoria, con sentenza n. 129/2001 accoglieva la domanda attrice dichiarando che tutte le parti attrici erano proprietarie dei terreni in parola; dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta, che condannava alla restituzione dei terreni previo ripristino dell’originario stato dei luoghi ed al pagamento delle spese processuali.

Avverso la suddetta sentenza proponeva appello la F. insistendo per il rigetto della domanda degli attori. Si costituivano questi ultimi (tranne An., T.C.A. e C. B.) contestando i motivi dell’impugnazione di cui chiedevano il rigetto.

L’adita Corte d’Appello di Roma con la decisione n. 2748/04, depos.

in data 9.6.2004, accoglieva parzialmente l’appello, rigettando la domanda formulata in primo grado dai T.C. e da C. B. in quanto i medesimi, a differenza degli altri attori, non avevano dimostrato l’esistenza di un titolo di proprietà, nè il possesso del cespite utile per l’usucapione.

Ricorrono T.C.U., Ta.Ca.An. e T. C.A. per la cassazione della predetta statuizione con ricorso fondato su n. 2 censure; resiste con controricorso, proponendo ricorso incidentale articolato in 3 censure F. M.; resistono con controricorso D.M.G., nonchè L., V. e F. quali eredi di C.E..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei ricorsi.

Passando all’esame del ricorso principale, con il primo motivo, gli esponenti T.C.U., Ta.Ca.An. e T. C.A. denunciano l’omessa insufficiente e contraddittorietà della motivazione.

Lamentano che la Corte d’Appello, a differenza del tribunale, aveva ritenuto che essi esponenti, attori in revindica, non avevano dimostrato, in carenza di titolo, di avere avuto l’esercizio del possesso sul terreno almeno a partire dal 1976 e quindi per oltre vent’anni, periodo utile per far maturare l’usucapione. Invero la Corte d’Appello avrebbe dovuto a sua volta esaminare le prove per testi richiamate nelle sentenza di primo grado “trovarne ed evidenziarne i punti deboli, contestarne quindi gli esiti sottolineandone, se rilevata, l’eventuale improduttività delle conclusioni alle quali (era) invece giunto il Giudice di primo grado”. Tutto ciò – secondo i ricorrenti – non aveva riscontro nella sentenza impugnata ed era dunque evidente il vizio di motivazione denunciato.

Con il secondo motivo gli esponenti deducevano un ulteriore difetto della motivazione della sentenza impugnata. Osservano che “i coniugi D.M. – C. ed i sig.ri T. – C. risultavano comproprietari dell’immobile poi distrutto e di conseguenza, comproprietari del terreno oggetto di causa che, pertanto (andava) considerato strutturalmente omogeneo e funzionalmente coordinato in modo da costituire un unicum in comproprietà pro indiviso tra tutti gli originari proprietari. Conseguentemente il riconoscimento della proprietà degli altri due attori in virtù di un vetusto atto di acquisto avrebbe comportato, unitamente alla valutazione delle deposizione dei testi, anche quello del compossesso dell’area da parte dei ricorrenti per il periodo necessario ai fini dell’usucapione”. Sotto il profilo processuale inoltre non era ipotizzabile un parziale accoglimento della domanda di rivendica, non essendo possibile che l’immobile potesse risultare “in parte di proprietà di una delle due ditte e in parte inopinatamente restare nella disponibilità della parte convenuta a seguito di mancato accoglimento della domanda di rivendica della seconda ditta”.

Le due doglianze sono infondate.

intanto va subito precisato che l’azione di rivendica di alcuni soltanto dei comproprietari riguarda necessariamente l’intera proprietà e l’accertamento del difetto di titolarità attiva di uno di essi non comporta necessariamente il rigetto della domanda sostenuta dalla titolarità attiva degli altri.

Quanto al denunciato difetto di motivazione, si rileva che la corte di merito ha motivato, seppure in modo succinto, la propria decisione, ritenendo che i ricorrenti, privi di titolo, non avessero fornito la necessaria prova di un possesso idoneo all’usucapione.

Costoro invece, con valutazioni di fatto e in difetto di autosufficienza non hanno saputo indicare precise e concrete ragioni in forza delle quali, a loro avviso, il giudicante avrebbe dovuto accogliere la loro domanda. Venendo meno ai principi di autosufficienza del ricorso (Cass. n. 13587 del 4.06.10), non sono state inoltre riportate integralmente le dichiarazione dei testi escussi, ma solo alcuni squarci, dai quali comunque, sia pure in astratto, non potrebbe ritenersi dimostrato compiutamente un possesso dei bene uti dominus utilizzabile ad usucapionem. Invero secondo questa S.C. per la configurabilità dei possesso “ad usucapionem” è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo e non interrotto inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario (Cass. Sez. 2, n. 11000 del 09/08/2001). Peraltro, l’accertamento relativo al predetto possesso “ad usucapionem”, alla rilevanza delle prove ed alla determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici. (Cass. Sez. 2, n. 4035 del 21/02/2007).

Si rileva ancora che l’eccezione avanzata in via subordinata della convenuta di usucapione del bene (ciò che comporterebbe il riconoscimento della proprietà in capo agli attori) è stata proposta dalla medesima solo in via subordinata, dopo la contestazione del titolo di proprietà degli stessi attori.

Passando all’esame del ricorso incidentale della F., si rileva che con il 1 motivo, la medesima denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 183 e 189 c.p.c. e artt. 922 e 948 c.c. nonchè l’omessa o insufficiente motivazione. L’esponente insiste sul fatto che nella citazione introduttiva del giudizio “gli attori avevano indicato e specificato le particelle del fondo di cui rivendicavano la proprietà (precisamente le particelle comprese nel foglio 84 e contraddistinte con i nn. 722, 723, 724, 727 e 729), mentre all’udienza di precisazione delle conclusioni le particelle di terreno erano state diversamente individuate e rivendicate, facendosi riferimento al foglio 90, part. N. 525, 529, 530/parte, 532, 534, 73”. In realtà gli attori all’udienza di precisazione delle conclusioni, avevano, inammissibilmente mutato il contenuto oggettivo della domanda rispetto a quella formulata nell’atto introduttivo, incorrendo nella violazione del divieto di mutatio libelli.

La doglianza è priva di fondamento.

A parte l’evidente genericità della censura, non avendo spigato gli esponenti perchè mai gli attori chiederebbero l’attribuzione di un terreno diverso rispetto, a quello menzionato nella citazione, la Corte territoriale ha spiegato in modo del tutto plausibile che la diversa numerazione delle particelle era dovuta ad una riqualificazione delle particelle stesse nel passaggio dal vecchio e nuovo catasto, per cui deve ritenersi che il bene attribuito è esattamente quello che le parti istanti avevano fatto oggetto della loro domanda di rivendicazione.

Con il 2 motivo l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 922, 948, 1142 e 1143 c.c. nonchè l’omessa o insufficiente motivazione. Assume che gli attori in rivendica devono dare una prova rigorosa del titolo di proprietà o del possesso ad usucapionem. Nella fattispecie gli attori non si potevano giovare della presunzione di possesso intermedio nè di quello anteriore, per il semplice fatto che essi non avevano il possesso attuale del terreno, che invece competeva solo ad essa F..

La doglianza non ha pregio.

Ha precisato a questo riguardo questa S.C. che la norma dell’art. 1143 c.c., secondo cui quando il possessore attuale vanti un titolo a fondamento del suo possesso si presume che esso abbia posseduto dalla data del titolo, è ispirata alla considerazione che normalmente l’acquisto della proprietà o di un diritto reale in base ad un titolo comporta anche l’acquisto del possesso, tal che non è dettata per l’usucapione ventennale, perchè in relazione a questo istituto la sussistenza del titolo a fondamento del possesso non avrebbe alcun significato, non avendo il possessore munito di titolo concretamente idoneo (e, quindi, valido) alcuna necessità di invocare l’usucapione ai fini della prova del dominio o di altro diritto reale (Cass. Sez. 2, n. 9134 del 28/08/1993).

Con il 3 motivo l’esponente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. artt. 922 e 948 c.c. e art. 112 c.p.c. nonchè l’omessa o insufficiente motivazione con riguardo alla propria eccezione di usucapione.

La Corte non ha accertato l’assolvimento da parte degli attori, dell’onere probatorio dell’appartenenza del bene ai loro danti causa in epoca anteriore a quella in cui la convenuta assumeva di avere iniziato a possedere, nonchè la prova che quell’appartenenza non era stata interrotta da un possesso idoneo ad usucapire da parte della stessa convenuta. Considera contraddittoria la valutazione del giudice circa l’eccezione di usucapione, che si afferma non provata e tuttavia viene interpretata come un riconoscimento della proprietà degli attori. La doglianza è infonda. La Corte di merito in realtà ha effettuato un motivato accertamento circa l’esistenza di una situazione possessoria in capo agli attori idonea ad usucapionem, valorizzando al riguardo nella fattispecie, oltre che il possesso ultraventennale del bene, anche il titolo di proprietà da essi posseduto.

Conclusivamente devono essere rigettati sia il ricorso principale che quello incidentale. Attesi i particolari profili, sostanziali e processuali della fattispecie, si ritiene di dover compensare le spese di giudizio fra tutte le parti.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2011

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