Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18989 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. I, 11/09/2020, (ud. 01/07/2020, dep. 11/09/2020), n.18989

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7869/2019 proposto da:

N.N., elettivamente domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso

la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’Avvocato Loredana Liso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n.

12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

nonchè contro

Procuratore Generale presso la Corte Cassazione e Procuratore

Repubblica presso il Tribunale di Bari;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BARI depositato in data

11/2/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

01/07/2020 dal cons. PAZZI ALBERTO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. il Tribunale di Bari, con decreto del 11 febbraio 2019, rigettava il ricorso presentato da N.N., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale al fine di domandare il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 14 e del diritto alla protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

in particolare il Tribunale rilevava che non erano state neppure dedotte situazioni di persecuzione, quali vessazioni o repressioni violente e implacabili, a cui il richiedente asilo fosse sottoposto, così come non erano state enunciate circostanze suscettibili di rientrare nel concetto di danno grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); peraltro l’inverosimiglianza delle dichiarazioni del migrante (il quale aveva dichiarato di aver abbandonato il suo paese a causa del proprio orientamento omosessuale) e l’assenza nel paese di origine di una condizione di conflitto armato con violenza generalizzata impedivano di ravvisare i presupposti per il riconoscimento di quest’ultima forma di protezione;

il collegio del merito escludeva infine che potesse essere riconosciuta la protezione umanitaria, in mancanza dell’allegazione e della dimostrazione di una situazione di vulnerabilità che potesse essere valorizzata a tal fine;

2. per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso N.N. prospettando due motivi di doglianza, aì quali ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

3.1 il primo motivo di ricorso, sotto la rubrica “omesso esame di fatti decisivi/violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b)”, assume che il Tribunale abbia tralasciato di considerare che i fatti narrati dal ricorrente dimostravano il ricorrere dei presupposti per il riconoscimento sia dello status di rifugiato, sia della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. b), tenuto conto, ai sensi dell’art. 5 del medesimo decreto legislativo, che la minaccia di un danno grave può pervenire anche da soggetti non statuali se lo Stato, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o il territorio non possono o non vogliono fornire protezione;

il giudice di merito avrebbe poi omesso di assolvere adeguatamente al proprio dovere di cooperazione, in quanto non aveva disposto l’audizione del ricorrente nè aveva svolto alcun approfondimento istruttorio rispetto alle problematiche da questi rappresentate e alle minacce subite;

3.2 il secondo motivo di ricorso, sotto la rubrica “vizio motivazionale: motivazione apparente/violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, art. 10 Cost., il D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,7,14 e 17; D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, art. 32, comma 3; D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6”, sostiene che il Tribunale non avrebbe valutato compiutamente la documentazione prodotta e la situazione personale del ricorrente e avrebbe motivato il proprio diniego in maniera generica e insufficiente, omettendo di svolgere l’istruttoria a cui era tenuto e non considerando le problematiche addotte rispetto alla condizione di omosessualità e a violenze e minacce subite in Libia;

il giudice del merito – in tesi di parte ricorrente – avrebbe dovuto assolvere il proprio dovere istruttorio verificando la disciplina normativa e il trattamento riservati agli omosessuali nel paese in cui doveva essere disposto il rimpatrio;

il rigetto della domanda di protezione umanitaria sarebbe poi avvenuto in maniera automatica in conseguenza della reiezione delle altre domande, senza alcuna indagine sulle diverse condizioni poste a base di questa peculiare integrazione raggiunta;

4. i motivi, da esaminarsi congiuntamente parziale sovrapponibilità, sono nel loro complesso inammissibili;

4.1 il giudice di merito ha escluso il ricorrere dei presupposti della protezione prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 7, poichè non era state neppure dedotte “situazioni di persecuzione intesa quale vessazione o repressione violenta implacabile”;

a fronte di questo rilievo il ricorso si limita a sostenere che la vicenda narrata rientrerebbe pienamente nell’istituto del rifugio internazionale, senza comprendere la ratio decidendi della decisione impugnata, che ha fatto applicazione del principio dispositivo (secondo il quale il ricorrente anche in questa materia ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio; cfr. Cass. 27336/2018), nè muovere alcuna contestazione ad essa in maniera autosufficiente, indicando puntualmente come e dove, all’interno del ricorso, simili allegazioni erano state invece compiute;

4.2 il Tribunale ha escluso la possibilità di riconoscere la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in primo luogo poichè “non sono state enunciate, nel corso dell’intervista, circostanze suscettibili di rientrare nel concetto di danno grave”, aggiungendo poi che “il racconto, ad ogni modo, s’appalesa inattendibile, vago e inverosimile, con forti perplessità e quindi insufficiente a fondare la concessione della protezione sussidiaria”;

il ricorrente non ha sollevato alcuna specifica e autosufficiente censura rispetto alla prima valutazione del giudice di merito, circa l’impossibilità di ricondurre il narrato alle caratteristiche precipue della protezione richiesta, rendendo così inammissibile l’intera impugnazione proposta con riferimento al mancato riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); infatti, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali sia logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi (si vedano in questo senso Cass. 11222/2017, Cass. 18641/2017, Cass., Sez. U., 7931/2013);

4.3 l’allegazione di minacce e violenze subite in Libia risultava irrilevante ai fini di ravvisare il pericolo di un danno grave previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

secondo la giurisprudenza di questa Corte infatti l’allegazione da parte del richiedente che in un paese di transito (quale la Libia nel caso di specie) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide (Cass. 31676/2018);

4.4 ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base di un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (Cass. 17075/2018);

il Tribunale si è ispirato a simili criteri, prendendo in esame una pluralità di informazioni aggiornate sulla situazione in Nigeria, puntualmente elencate a pag. 5 del decreto impugnato, risalenti agli anni 2017 e 2018;

la critica sollevata in realtà, sotto le spoglie dell’asserita violazione di legge, cerca di sovvertire l’esito dell’esame dei rapporti internazionali apprezzati dal Tribunale, malgrado l’accertamento del verificarsi di una situazione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, rilevante a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), costituisca un apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 32064/2018);

4.5 rispetto alla protezione umanitaria il Tribunale, lungi dal far discendere la reiezione della domanda in maniera automatica dal mancato accoglimento delle altre richieste di protezione, ha invece constatato che il ricorrente non aveva allegato e convenientemente dimostrato alcuna condizione di vulnerabilità rilevante a tal riguardo (“Nel caso di specie non risulta una effettiva lesione di diritti fondamentali del medesimo nè è comprovata una specifica situazione denotante vulnerabilità del soggetto, in considerazione della non credibilità della vicenda esposta ed in particolare del suo orientamento omosessuale” pag. 7);

nè risulta trascurata la prospettata situazione di integrazione, che al contrario il Tribunale ha ritenuto di non ravvisare sulla base della relazione del parroco di (OMISSIS) presente in atti; la doglianza risulta così inammissibile, sia perchè propone censure prive di specifica attinenza al decisum del decreto impugnato, sia perchè finisce per sollecitare un’inammissibile rivisitazione del merito della controversia;

5. in forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.100, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 1 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

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