Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18982 del 16/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 16/07/2019), n.18982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25571/2014 R.G. proposto da:

B.G., rappresentato e difeso, giusta mandato a margine del

ricorso, dall’avv. Massimo Zampese, con domicilio eletto presso lo

studio dell’avv. Marcello Cardi in Roma, via Bruno Buozzi, n. 51;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 334/14/14 della Commissione Tributaria

regionale del Veneto depositata il 19 febbraio 2014;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29 aprile 2019

dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott. Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo

dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e, in subordine, il

rigetto del ricorso;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Carlo Zanghi per

delega dell’avv. Massimo Zampese.

Fatto

FATTI DI CAUSA

B.G., esercente l’attività commerciale di confezione di biancheria intima e corsetteria, proponeva ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Treviso avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Amministrazione finanziaria, a seguito di verifica fiscale, aveva accertato maggiori redditi, con conseguente recupero a tassazione di IRPEF, IRAP e I.V.A. per l’anno d’imposta 2006.

Il ricorrente deduceva, in particolare, l’illegittimità dell’accertamento per avvenuto adeguamento al ricavo minimo previsto dallo studio di settore ed il difetto di prova di maggiori corrispettivi.

I giudici di primo grado accoglievano il ricorso ed avverso tale decisione proponeva appello l’Ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale che, in riforma della sentenza impugnata, rilevava che l’Amministrazione finanziaria poteva procedere alla rettifica delle dichiarazioni dei redditi di impresa anche in presenza di contabilità formalmente regolare e che, nel caso di specie, i ricavi effettivi erano stati ricostruiti sulla base di presunzioni assistite dai requisiti previsti dall’art. 2729 c.c..

Precisava, al riguardo, che in sede di processo verbale di constatazione e nell’avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate aveva evidenziato notevoli anomalie “sia nell’indice di redditività delle vendite sia, più in generale, nella redditività dell’attività d’impresa (che appariva finalizzata quasi esclusivamente a remunerare i debiti contratti), in presenza di irregolarità verificate nell’adempimento degli obblighi fiscali relativi alla contabilizzazione dei ricavi ed alla indicazione degli elementi utili ai fini dell’applicazione degli studi di settore”, sottolineando che dal complesso di tali elementi “emergevano disordine contabile e contraddittorietà nelle dichiarazioni del contribuente tali da legittimare il metodo utilizzato dall’Ufficio nella ricostruzione della produzione (mettendo in puntuale relazione funzionale le etichette segnataglia con la stoffa e gli altri materiali utilizzati) e quindi agli effettivi incassi dell’impresa”.

Considerato che a fronte della contestata antieconomicità della gestione dell’impresa non era stata dimostrata dal contribuente la correttezza della condotta gestionale, confermava l’atto impositivo impugnato.

Ricorre per la cassazione della suddetta decisione B.G., affidandosi a due articolati motivi.

L’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.

Il contribuente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce “illegittimità della sentenza impugnata – illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato adeguamento della ricorrente al ricavo minimo previsto dallo studio di settore – congruità dei ricavi dichiarati nel corso del 2006 dalla ditta B.G. – mancanza e/o carenza di prova in ordine all’asserita esistenza di corrispettivi non dichiarati – violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), – omessa motivazione su un fatto decisivo per la controversia – merito alla pretesa esistenza di maggiori ricavi presunti – infondatezza della pretesa impositiva illegittimità della sentenza impugnata – art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5″.

Osserva che è incontestato che la ditta si sia adeguata al ricavo minimo o di riferimento previsto dallo studio di settore in relazione ad aziende operanti nel medesimo settore aziendale e che la ripresa fiscale è stata eseguita sulla base di un mero indice presuntivo contrastante con la realtà aziendale; in particolare, sottolinea che la ricostruzione operata dall’Ufficio si fonda su un numero di segnataglie non idoneo di per sè a supportare l’esistenza di maggiori ricavi, come rilevato nella sentenza di primo grado, di cui viene trascritto uno stralcio in ricorso.

2. Con il secondo motivo, si deduce ” illegittimità della sentenza impugnata – illegittimità dell’avviso di accertamento impugnato adeguamento della ricorrente al ricavo minimo previsto dallo studio di settore – congruità dei ricavi dichiarati nel corso del 2006 dalla ditta B.G. – mancanza e/o carenza di prova in ordine all’asserita esistenza di corrispettivi non dichiarati – omesso esame di un fatto decisivo della controversia erronea pronuncia in ordine all’esistenza di presunzioni gravi precise e concordanti motivazione in merito alla pretesa esistenza di maggiori ricavi presunti omessa e/o carente e/o insufficiente motivazione degli avvisi di accertamento impugnati – violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,L. n. 241 del 1990, art. 3, e L. n. 212 del 2000, art. 7, cd. Statuto del contribuente infondatezza della pretesa impositiva – illegittimità della sentenza impugnata – art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5″.

Rileva che il processo verbale di constatazione non aveva mosso alcuna contestazione in relazione alla quantità di stoffa utilizzata per il confezionamento delle camicie e che all’esito dei controlli i verificatori avevano riscontrato delle incongruenze desunte dai seguenti dati: 1) utilizzo di etichette “marchio” nel corso dell’anno per un numero di 17.540; 2) utilizzo di etichette “segnataglia” nel corso dell’anno per un numero di 11.910; 3) utilizzo di n. 84140 bottoni, divisi per nove pari al numero di bottoni per camicia, n. 9.348 capi; dei tre dati avevano poi valorizzato quello corrispondente al numero di segnataglia, dal quale aveva poi ricavato il numero di camicie confezionate nell’anno in contestazione.

Osserva, inoltre, che nel corso dell’anno in esame aveva provveduto a modificare il proprio marchio di fabbrica ed aveva, pertanto, cessato di utilizzare le vecchie etichette, che conservava in casa, apponendo alle camicie solo quelle nuove che aveva ordinato; conseguentemente, ad avviso del ricorrente, essendo stato utilizzato un solo elemento presuntivo che non appariva fornito dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, l’operato dell’Amministrazione non poteva ritenersi corretto e la sentenza impugnata, che si era limitata a recepire acriticamente gli elementi offerti dall’Ufficio, omettendo di valutare e di motivare in relazione alle altre circostanze di fatto evidenziate dalla parte contribuente, era affetta dai vizi denunciati.

3. I motivi dedotti, essendo strettamente connessi, possono essere trattati unitariamente e sono inammissibili.

4. Entrambi i motivi censurano la decisione impugnata sia per violazione di disposizioni di legge sia per vizi di motivazione.

4.1. Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte (Cass. Sez. U., n. 9100 del 6 maggio 2015), in materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati.

4.2. Il ricorso per cassazione che cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, risulta quindi ammissibile, allorchè esso comunque evidenzi in modo specifico la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. n. 9793 del 23 aprile 2013).

4.3. Deve, al contrario, ritenersi inammissibile la mescolanza di mezzi di impugnazione tra loro eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, qualora le diverse censure non conservano una loro autonomia e non consentano di distinguere i profili che attengono strettamente alla violazione o falsa applicazione della norma da quelli che investono l’omessa motivazione su un punto rilevante e decisivo della causa.

4.4. Nella fattispecie in esame, l’esposizione cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze probatorie acquisite nel corso del giudizio di merito e l’asserita illegittimità dell’accertamento operato dall’Ufficio per violazione delle disposizioni di legge denunciate in rubrica impone al giudice di legittimità di isolare le singole censure proposte, al fine di ricondurle ad uno dei parametri d’impugnazione previsti dall’art. 360 c.p.c., per poi decidere successivamente su di esse, sicchè le censure, così come prospettate e dedotte, non sono ammissibili.

5. Va, inoltre, rilevato che entrambi i motivi di ricorso, laddove invocano il parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, risultano inammissibili anche sotto altro profilo.

L’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n, 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, ossia che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia.

Ciò comporta che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, n. 8053 del 7 aprile 2014).

Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento, ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. n. 7983 del 4 aprile 2014; n. 17761 del 8 settembre 2016; n. 29883 del 13 dicembre 2017; n. 21152 del 8 ottobre 2014; Cass. Sez. U., n. 5745 del 23 marzo 2015). Non costituiscono, invece, “fatti”, il cui omesso esame può determinare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, le argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass. n. 14802 del 14 giugno 2017; n. 21152 del 8 ottobre 2014), gli elementi istruttori e una moltitudine di circostanze e di fatti (Cass. n. 21439 del 21 ottobre 2015).

5.1. Nel caso in esame, il ricorrente non ha indicato il “fatto” storico rilevante e decisivo che i giudici di appello, nell’accogliere l’appello dell’Ufficio, avrebbero omesso di prendere in considerazione, ma ha piuttosto richiamato le deduzioni difensive fatte valere in primo grado e riproposte nel giudizio di appello, già sottoposte al vaglio della Commissione regionale, la quale ha ritenuto che gli elementi presuntivi offerti dall’Ufficio siano dotati di requisiti di gravità, precisione e concordanza e siano idonei a giustificare la ricostruzione dei maggiori redditi operata in sede di verifica.

Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, i giudici regionali hanno chiaramente posto in rilievo che l’accertamento analitico -induttivo, del tutto legittimo anche in presenza di contabilità formalmente regolare, ha fatto emergere una incongruenza dei dati contabili e una antieconomicità della gestione d’impresa, “che appariva finalizzata quasi esclusivamente a ripianare debiti contratti”, ed hanno, di conseguenza, ritenuto che la ricostruzione della produzione, operata dai verificatori mettendo in relazione le etichette segnataglia con la stoffa e gli altri materiali (quali i bottoni) utilizzati per la realizzazione delle camicie, offrisse pieno riscontro degli effettivi ricavi dell’impresa. In difetto di prove contrarie non offerte dal contribuente, hanno pertanto confermato la ripresa a tassazione, evidenziando peraltro che l’avviso di accertamento impugnato risulta congruamente motivato.

Il giudizio espresso dai giudici regionali risulta esaustivo ed adeguatamente motivato, mentre le generiche argomentazioni e deduzioni difensive esposte dal ricorrente con i mezzi di ricorso non rispettano la nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, e non superano pertanto il vaglio dell’inammissibilità.

6. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla deve disporsi in merito alle spese del giudizio di legittimità, in assenza di attività difensiva della parte intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

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