Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18982 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. I, 11/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 11/09/2020), n.18982

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13177/2019 proposto da:

M.I. Alias B., elettivamente domiciliato in Roma Via

Chisimaio, 29 presso lo studio dell’avvocato Cardone Marilena, che

lo rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro-tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

nonchè contro

Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione

Internazionale di Verona – sezione di Vicenza;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

15/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere VELLA Paola.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Il Tribunale di Venezia ha respinto le domande di riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria o umanitaria, proposte dal cittadino gambiano I.M. (alias B.), nato il (OMISSIS), il quale aveva narrato di essere fuggito dal proprio Paese “per il timore di essere perseguitato o comunque di essere soggetto a ritorsioni da parte dei membri di una famiglia M., che avrebbe voluto impossessarsi dei terreni di suo padre”.

2. Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

3. Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 4, e art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e n. 5), per avere il tribunale fornito una motivazione “meramente tautologica e contrastante con gli specifici atti del procedimento” in relazione agli atti persecutori subiti “senza potere contare in alcun aiuto da parte delle Autorità locali”.

3.1. La censura è inammissibile perchè del tutto generica.

3.2. Invero, all’esito di ulteriore audizione del ricorrente, il tribunale, oltre ad aver confermato la riconducibilità dei fatti alla sua “sfera privatistica”, ha puntualmente esposto le ragioni di non credibilità del racconto (v. pagina 7 e 8 del decreto impugnato), le quali, se non adeguatamente censurate, integrano valutazioni di merito non sindacabili in questa sede (ex multis, Cass. 5114/2020, 21142/2019, 3340/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018), poichè “l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 33858/2019).

3.3. In effetti, le riferite valutazioni non sono state adeguatamente censurate secondo i canoni del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che rende l’apparato argomentativo sindacabile in sede di legittimità solo entro precisi limiti (ex plurimis Cass. 17247/2006, 18587/2014), non avendo il ricorrente assolto l’onere di indicare – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020), ferma restando l’inammissibilità della denunzia di mera insufficienza o contraddittorietà della motivazione (Cass. Sez. U, 33017/2018).

3.4. D’altro canto, nel decreto impugnato non è riscontrabile alcuna delle ipotesi cui si è ridotto il sindacato di legittimità sulla motivazione, quali la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, 8053/2014).

3.5. Anche di recente le sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito l’inammissibilità di un “ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito” (Cass. Sez. U, 34476/2019).

4. Con il secondo mezzo si censura la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per mancato assolvimento del dovere di cooperazione istruttoria officiosa in ordine alla situazione oggettiva del paese d’origine anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, avendo il tribunale erroneamente escluso la sussistenza in Gambia di una situazione di “violenza generalizzata”, contrariamene a quanto risulterebbe dal rapporto Amnesty international 2017-18, attestante “un peggioramento della situazione”, specie con riguardo agli abusi di potere delle forze dell’ordine.

4.1. La censura, oltre che generica, è infondata, poichè il tribunale ha in realtà acquisito e valutato le cd. COI (Country of Origin Information) attraverso fonti plurime e qualificate, aggiornate al 2018, espressamente citate a pagina 10 del decreto impugnato.

4.2. Orbene, per consolidato indirizzo di questa Corte (ex multis Cass. 8908/2019, 284/2019, 13858/2018, 32064/2018), D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), deve essere interpretato in conformità alla fonte Eurounitaria di cui è attuazione (art. 9 e art. 15, lett. c), direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE) e in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia, la quale ha precisato che “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c), della direttiva, a motivo del fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (Corte giust., 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30). La stessa Corte giust. (Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36) ha altresì chiarito che, di norma, i rischi cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese non costituiscono ex sè una minaccia individuale definibile come “danno grave” (direttiva n. 2011/95/UE, Cons. 26).

4.3. Pertanto, la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, postula – ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), – da un lato, la sussistenza di una situazione configurabile come “conflitto armato” (inteso come scontro tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati) e, dall’altro, una conseguente violenza generalizzata idonea a comportare una minaccia “grave e individuale alla vita o alla persona di un civile” derivante da quella violenza. Circostanze, queste, che sono state escluse dal giudice di merito in base ad una valutazione non sindacabile in questa sede, se non per il tramite di una censura motivazionale conforme al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nel caso di specie nemmeno prospettata.

5. Il terzo motivo prospetta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere il tribunale omesso di considerare la vulnerabilità del ricorrente a causa della “totale impossibilità di difendersi contro la prepotenza dei vicini di casa nella quale si troverebbe a vivere in caso di rimpatrio”.

5.1. La censura è inammissibile in quanto del tutto generica, avendo questa Corte più volte evidenziato che, ai fini della protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) – occorre “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019, 1040/2020) e al riguardo le Sezioni Unite, pur ribadendo che “l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, hanno tuttavia precisato che “non può, peraltro, essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018, 630/2020).

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese in favore del Ministero controricorrente, liquidate in dispositivo.

7. Sussistono invece i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019 e 4315/2020), se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

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