Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18980 del 16/09/2011

Cassazione civile sez. I, 16/09/2011, (ud. 31/05/2011, dep. 16/09/2011), n.18980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

SIEM S.R.L. (p.i. (OMISSIS)), in persona dell’Amministratore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MICHELE MERCATI 51,

presso l’avvocato LUPONIO ENNIO, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati VALENTINI ALDO, VALAZZI MARIA EUGENIA,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MONDOLFO (c.f. (OMISSIS)), in persona del Commissario

Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PORTUENSE 104, presso la sig.ra DE ANGELIS ANTONIA, rappresentato e

difeso dall’avvocato BRUSCIOTTI BRUNO, giusta procura in calce al

ricorso passivo;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 666/2004 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 13/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/05/2011 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA FIORETTI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato ENNIO LUPONIO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato GAETANO TANZI, con delega,

che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La SIEM s.r.l. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Pesaro il Comune di Mondolfo per sentirlo condannare al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata approvazione, per colpa consistita nello scorretto esercizio delle funzioni amministrative, di un consistente progetto di lottizzazione in località (OMISSIS), finalizzato alla realizzazione di un centro turistico-alberghiero.

Esponeva la attrice a fondamento della domanda che aveva presentato successivamente più progetti, tutti infondatamente bocciati dal Comune di Mondolfo; che aveva impugnato gli atti di rigetto dinanzi al T.A.R. Marche, che, con sentenza n. 392/78, ne aveva disposto l’annullamento; che a fronte di tale pronuncia (che secondo la esponente aveva in sostanza riconosciuto il diritto di edificare in base ai progetti così come presentati e successivamente aggiornati e corretti in base alle stesse indicazioni della amministrazione) il Comune di Mondolfo, tenuto a riesaminare la pratica, all’esito di tale esame aveva infondatamente ed immotivatamente opposto nuovi dinieghi di approvazione; che, pertanto aveva proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato, impugnando con due distinti ricorsi, che erano stati poi riuniti, un diniego perfezionatosi attraverso la procedura del silenzio-rifiuto ed un diniego espresso, che era stato definito con l’annullamento degli ulteriori atti di diniego dell’amministrazione, dandosi atto in detto provvedimento sia della incompetenza del soggetto che aveva emesso l’atto reiettivo (Sindaco anzichè Consiglio Comunale), sia della carenza di motivazione del diniego reso in forma espressa; che per il non corretto e negligente esercizio della potestà amministrativa e per la prolungata inerzia della P.A., quindi, per fatto colpevole dell’amministrazione (valutabile nell’ottica dell’art. 2043 c.c.), si era verificata una grave lesione della sfera degli interessi patrimoniali della esponente, che dava luogo al diritto al risarcimento dei danni, stante la correlazione causale tra la lesione dell’interesse legittimo alla approvazione dei progetti summenzionati e la consequenziale diretta lesione del sottostante bene della vita (lo ius aedificandi) parallelo e correlato, nella sfera giuridica soggettiva, con il legittimo interesse al corretto esercizio della potestà amministrativa.

Costituitosi in giudizio il Comune di Mondolfo si opponeva all’accoglimento della domanda, sostenendo che la mancata approvazione dei progetti in questione era stata determinata da carenze progettuali in rapporto alle particolari esigenze di tutela ambientale dei luoghi interessati e che, comunque, pur a seguito delle pronunce di annullamento degli atti di diniego dell’amministrazione (dovute, peraltro, a vizi meramente formali degli atti, senza che il giudice amministrativo avesse mai dato atto della infondatezza di tali dinieghi in rapporto all’ordinamento urbanistico in vigore), la progettazione della SIEM non avrebbe potuto essere approvata, essendo nelle more intervenuta una variazione radicale dei piani urbanistici locali, comportante una nuova parametrazione rispetto alla quale i progetti a suo tempo presentati erano sotto ogni profilo del tutto inadeguati e superati.

Con sentenza non definitiva, datata 27.3.2001 il Tribunale riteneva fondata la domanda della SIEM, pronunciando condanna generica del Comune convenuto al risarcimento del danno e disponendo con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio ai fini della liquidazione del danno.

Detta sentenza veniva impugnata dal Comune di Mondolfo dinanzi alla Corte d’Appello di Ancona, che accogliendo la impugnazione rigettava la domanda risarcitoria proposta dalla soc SIEM s.r.l.

Avverso detta sentenza la SIEM ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi illustrati con memoria. Il Comune di Mondolfo ha resistito con controricorso e ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2935, 2938, 2948 c.c., in relazione agli artt. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Deduce la ricorrente che la Corte territoriale erroneamente avrebbe ritenuto che il diritto al risarcimento del danno, quale derivante dal diniego di lottizzazione, annullato dalla sentenza T.A.R. Marche n. 392/78, fosse prescritto.

Erroneamente sarebbe stata ritenuta quale data di inizio della decorrenza del termine di prescrizione quinquennale la data di pronuncia di detta sentenza, atteso che dopo questa sentenza la ricorrente aveva presentato ulteriori progetti sempre finalizzati alla approvazione della lottizzazione per la realizzazione del medesimo centro turistico-alberghiero, tutti fatti oggetto di una serie continuativa e concatenata di provvedimenti illegittimi, tali dichiarati dal T.A.R. ed, infine, dal Capo dello Stato. Pertanto sarebbe corretto far decorrere il termine di prescrizione solo a partire dall’ultimo di detti provvedimenti, posto che solo in conseguenza dell’ultimo atto illegittimo la ricorrente avrebbe acquistato la piena consapevolezza di avere subito una lesione della propria sfera patrimoniale.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043,1218, 1337, 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Deduce la ricorrente che la Corte d’Appello non avrebbe fatto buon governo delle norme di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., e dell’art. 1218 in relazione all’art. 2043 c.c. La impugnata sentenza avrebbe errato nel ritenere che la società ricorrente fosse onerata di dimostrare la colpa dell’amministrazione e la sussistenza del nesso causale tra l’elemento soggettivo ed il danno reclamato, con applicazione rigorosa e non condivisibile dell’art. 2043 c.c., senza considerare che la recente giurisprudenza di legittimità, per l’ipotesi di responsabilità della P.A. da attività illegittima, avrebbe indicato i parametri valutativi di cui all’art. 1218 c.c. (secondo la quale l’onere della prova dell’elemento soggettivo dell’illecito andrebbe ripartito tra le parti secondo criteri sostanzialmente corrispondenti a quelli codificati dall’art. 1218 c.c.) ovvero quelli di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c. (in ossequio ai quali, ove la illegittimità derivi da vizio di violazione di legge per mancata osservanza di prescrizioni dettate da norme giuridiche e non risultino fatti positivi escludenti la colpa nel caso concreto, il giudice deve ritenere provato l’elemento psichico della condotta.).

La società ricorrente, con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado e con la copiosa produzione documentale, avrebbe fornito al giudice validi elementi di valutazione per ritenere la gravità delle violazioni di legge commesse dalla P.A., riconosciute peraltro nella sentenza T.A.R. Marche e nel decreto del Capo dello Stato 13.4.1987, aveva chiarito e documentato di aver fornito tutto l’apporto collaborativo richiesto dal Comune per le modifiche da apportare ai progetti presentati e, nonostante tale apporto, la P.A. aveva continuato ad esprimere dinieghi illegittimi.

Quindi il giudice a quo, oltre che avere applicato in tema di ripartizione dell’onere della prova principi ormai superati dalla più recente giurisprudenza di legittimità, non avrebbe tenuto in alcun conto che la società ricorrente aveva fornito al giudice tutti gli elementi gravemente indiziali della colpa dell’amministrazione nella emanazione di atti illegittimi; conseguentemente il giudice a quo avrebbe dovuto ritenere sussistente la colpa dell’amministrazione, onerata, eventualmente, di dimostrare la sussistenza dell’errore scusabile.

Il ricorso è infondato.

Va esaminato per primo, dato il suo carattere pregiudiziale, il secondo motivo di ricorso.

Il collegio osserva che la società ricorrente ha proposto azione di risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 2043 c.c. per la mancata approvazione, per colpa consistita nello scorretto esercizio delle funzioni amministrative, di un progetto di lottizzazione, finalizzato alla realizzazione di un centro turistico-alberghiero.

Pertanto l’onere di provare gli elementi integranti l’illecito grava sulla società, attuale ricorrente, senza che possa invocare una diversa ripartizione dell’onere della prova, adducendo la sussistenza di una responsabilità da contatto non configurabile nel caso di specie nè dedotta.

Con l’azione risarcitoria proposta la ricorrente assume che la lesione dell’interesse legittimo alla approvazione del progetto di lottizzazione avrebbe determinato la consequenziale lesione del bene della vita, costituito dallo ius aedificandi.

Ha dedotto, pertanto, la lesione di un interesse pretensivo, essendo tale l’interesse legittimo alla approvazione di un piano di lottizzazione, trattandosi di interesse al conseguimento di una posizione vantaggiosa.

Con la sentenza n. 500 del 1999, resa a sezioni unite, questa Suprema corte ha affermato che, nel caso sia stata introdotta davanti al giudice ordinario, in un giudizio pendente alla data del 30 giugno 1998 (il presente giudizio è stato introdotto con citazione del 1990), una domanda risarcitoria ex art. 2043 c.c. nei confronti della P.A. per illegittimo esercizio di una funzione pubblica, questi dovrà procedere, in ordine successivo alle seguenti indagini:a) in primo luogo dovrà accertare la sussistenza di un evento dannoso;b) dovrà, poi, stabilire se l’accertato danno sia qualificabile come ingiusto, in relazione alla sua incidenza su di un interesse rilevante per l’ordinamento (a prescindere dalla qualificazione formale di esso come diritto soggettivo); c) dovrà, inoltre, accertare, sotto il profilo causale, facendo applicazione dei criteri generali, se l’evento dannoso sia riferibile ad una condotta della P.A.; d) infine, se detto evento dannoso sia imputabile a responsabilità della P.A.. Tale imputazione non potrà avvenire sulla base del mero dato obbiettivo della illegittimità del provvedimento amministrativo, richiedendo, invece, una più penetrante indagine in ordine alla valutazione della colpa, che, unitamente al dolo, costituisce requisito essenziale della responsabilità aquiliana, elemento questo da ritenersi configurabile qualora l’atto amministrativo sia stato adottato ed eseguito in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa e che il giudice ordinario ha il potere di valutare, in quanto limiti esterni alla discrezionalità amministrativa.

Questa Suprema Corte, in tema di risarcimento del danno prodotto dall’illegittimo esercizio della funzione pubblica, ha, inoltre, più volte affermato che, se l’interesse è pretensivo, al fine di ritenere la sussistenza o meno del diritto al risarcimento del danno, occorre valutare, a mezzo di un giudizio prognostico, da condurre in base alla normativa applicabile, se colui che ha richiesto il risarcimento fosse titolare di una mera aspettativa, come tale non tutelabile, o di una situazione che, secondo un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole (cfr. per tutte cass. n. 2771 del 2007; cass. n. 8097 del 2006).

Secondo l’orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, che il collegio condivide, l’approvazione di un piano di lottizzazione non è atto dovuto, pur se conforme al piano regolatore generale o al programma di fabbricazione, ma costituisce sempre espressione di potere discrezionale dell’autorità amministrativa (comunale o regionale), chiamate a valutare l’opportunità di dare attuazione – in un certo momento del tempo ed in certe condizioni – alle previsioni dello strumento urbanistico generale, essendovi tra quest’ultimo e gli strumenti attuativi un rapporto di necessaria compatibilità, ma non di coincidenza, dimodochè l’attuazione dello strumento generale può, per motivi di opportunità, essere articolata per tempi o per modalità, in relazione alle esigenze dinamiche che si manifestano nel periodo di vigenza dello strumento generale (cfr. Cons. Stato n. 1223 del 1997).

Alla luce dei principi su riportati, la ricorrente, per vedere accolta la propria domanda, avrebbe dovuto provare: che, pur essendo il piano di lottizzazione conforme al vigente strumento urbanistico, la P.A., nell’esercizio del proprio potere discrezionale, ne aveva negato l’approvazione, violando le regole di imparzialità, correttezza e buona fede, cui deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa (questo per quanto riguarda l’elemento soggettivo dell’illecito); inoltre che il comportamento colposo della pubblica amministrazione aveva causato la lesione del bene della vita, costituito dallo ius aedificandi (questo per quanto riguarda l’elemento oggettivo). Nulla di tutto questo risulta dalla sentenza impugnata.

Da detta sentenza risulta che i provvedimenti di diniego sono stati annullati dal giudice amministrativo per ragioni esclusivamente formali (incompetenza e difetto di motivazione ), senza che dette pronunce si siano espresse sulla conformità o meno dei vari progetti di lottizzazione, sottoposti all’esame della P.A., al vigente strumento urbanistico, lasciando così aperta la possibilità per la P.A. di rifiutare l’approvazione del piano, il cui presedente diniego di approvazione era stato annullato, adottando una più adeguata motivazione.

Un giudicato di annullamento per vizi formali non elimina nè sostanzialmente riduce il potere dell’amministrazione di provvedere anche negativamente in ordine all’oggetto del precedente atto annullato (Cfr. in tal senso Cons. Stato n. 375 del 1981; Cons. Stato n. 569 del 1993).

Giustamente, pertanto, il giudice a quo ha ritenuto che non ricorressero, nel caso di specie, gli estremi di legge per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno per il reiterato rifiuto di approvazione del piano di lottizzazione.

Il rigetto di questo motivo di ricorso comporta l’inammissibilità del primo per difetto di interesse, non potendosi porre la questione della prescrizione di un diritto, se detto diritto non è mai venuto ad esistenza.

Per tutte queste considerazioni il ricorso deve essere respinto, con la condanna della ricorrente al pagamento a favore del resistente delle spese del giudizio di cassazione, che, tenuto conto della complessità della controversia, appare giusto liquidare in complessivi Euro 9.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 9.200,00 (novemiladuecento/00), di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 31 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2011

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