Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18980 del 16/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/07/2019, (ud. 29/04/2019, dep. 16/07/2019), n.18980

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 12231/2013 R.G. proposto da:

R.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Stefano Fiorentini,

presso cui è elettivamente domiciliato in Roma alla via Nizza n.

45;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p. t., rappresentata

e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui è

domiciliata, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 84/21/12 della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio, depositata in data 4/4/2012 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 29/4/2019 dal

Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo

dichiararsi l’inammissibilità, o, in subordine, rigettarsi il

ricorso;

udito l’Avvocato Stefano Fiorentini per il ricorrente e l’Avvocato

dello Stato Alfonso Peluso per l’Agenzia delle Entrate.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. R.M. ricorre con due motivi avverso l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 84/21/12 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, depositata in data 4/4/2012 e non notificata, che ha rigettato l’appello del contribuente, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento basato sui parametri per l’annodi imposta 2002.

2. Con la sentenza impugnata, la C.T.R. del Lazio (di seguito C.T.R.), per quanto di interesse in questa sede, ha ritenuto che gli investimenti fatti dal contribuente (dichiaratamente al fine di usufruire delle agevolazioni fiscali previste dalla legge Tremonti bis), insieme con gli ulteriori costi sostenuti per la collaborazione di un altro dipendente, erano incompatibili con l’attività esercitata ed avevano determinato l’accertamento del fisco; inoltre, secondo la C.T.R., la congruità con lo studio di settore, affermata dal ricorrente, sarebbe dovuta all’occultamento di costi, che risultano invece dalla contabilità e dalla dichiarazione dei redditi.

3. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

4. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente denunzia l’omessa o insufficiente motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul fatto controverso e decisivo per il giudizio, consistente nella circostanza che la presenza di un dipendente part time e l’ammontare degli investimenti effettuati non costituivano ulteriori elementi di conferma del risultato dell’applicazione dei parametri, bensì solo alcune delle variabili prese in considerazione per la determinazione dei ricavi sulla base dell’applicazione dei parametri stessi, che aveva portato al rilievo dell’incongruità dei ricavi dichiarati, pari ad Euro 8.715,00.

Secondo il ricorrente l’accertamento sarebbe privo di elementi di riscontro e sarebbe basato solo sulle risultanze dei parametri, insufficienti a fondare l’accertamento presuntivo, in assenza di ulteriori elementi probatori del maggior reddito accertato.

1.2. Il motivo è inammissibile, perchè difetta di specificità, non indicando quali sarebbero i fatti decisivi e controversi sui quali la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente.

Piuttosto, il motivo tende a sollecitare un riesame del merito, sull’adeguatezza della variabili prese in considerazione per l’accertamento parametrico e sull’insussistenza di ulteriori riscontri di fatto, precluso in sede di legittimità.

Come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte. In tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (Cass. S.U. sent. n. 26635/2009).

Nel caso di specie è pacifico che vi sia stato regolare contraddittorio endoprocedimentale, per cui il contribuente aveva l’onere di contestare specificamente le risultanze derivanti dall’applicazione dei parametri, ai fini di escluderne l’applicabilità alla fattispecie concreta.

Parimenti inammissibile risulta il rilievo introdotto solo tardivamente con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., e relativo all’inapplicabilità dei parametri all’attività del promotore finanziario monomandatario.

La doglianza, infatti, risulta nuova e basata su elementi di fatto prima non dedotti.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso, consistente nella mancata applicazione retroattiva dello studio di settore più evoluto e nella conferma, senza adeguata giustificazione, dell’ammontare dei ricavi calcolato dall’Amministrazione, a fronte del diverso calcolo del contribuente.

2.2. Il motivo è inammissibile.

2.3. Come è stato detto, “nel processo tributario d’appello, la nuova difesa del contribuente, ove non sia riconducibile all’originaria causa petendi e si fondi su fatti diversi da quelli dedotti in primo grado, che ampliano l’indagine giudiziaria ed allargano la materia del contendere, non integra un’eccezione, ma si traduce in un motivo aggiunto e, dunque, in una nuova domanda, vietata ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 24 e 57,” (Sez. 5, Sentenza n. 13742 del 03/07/2015).

Nel caso di specie non è contestato che l’impugnazione dell’avviso di accertamento, relativa alla mancata applicazione retroattiva dello studio di settore più evoluto dell’anno 2008 (che il ricorrente asserisce essere più favorevole al contribuente), è stata avanzata per la prima volta in appello, mentre poteva e doveva essere proposta nella fase di trattazione del primo grado, una volta venuto ad esistenza lo studio di settore.

Inoltre, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile, qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio e non scaturisca da fatti sopravvenuti rispetto all’ultimo momento utile per la relativa introduzione nel processo di primo grado.

Nell’ipotesi di violazione del precetto di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, ovvero di pronuncia in sede di gravame su di una domanda nuova, il vizio potrà essere rilevato anche d’ufficio in sede di legittimità e non è sanato dall’acquiescenza delle parti.

Comunque, nel caso in esame, l’Ufficio, vittorioso in appello, ha richiamato, nel controricorso, l’eccezione d’inammissibilità sollevata nel secondo grado di giudizio.

Vale, infatti, il principio secondo cui “la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, non ha l’onere di proporre appello incidentale per richiamare in discussione le proprie domande o eccezioni non accolte nella pronuncia, da intendersi corre quelle che risultino superate o non esaminate perchè assorbite; in tal caso la parte è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello o nel giudizio di cassazione in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinunzia derivante da un comportamento omissivo” (Sez. U -, Sentenza n. 13195 del 25/05/2018).

In conclusione, la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione effettuata in dispositivo.

Sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito;

sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

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