Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18979 del 31/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 31/08/2010, (ud. 30/06/2010, dep. 31/08/2010), n.18979

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D’ARPE MEDICINALI DI GIUSEPPE MAGNO & C SAS in liquidazione,

in

persona del liquidatore G.C. e da G.C.,

quale erede del socio accomandatario M.G., entrambi

elettivamente domiciliati in Roma, viale Vaticano n. 46, presso

l’avv. NANNI Francesca Romana, rappresentati e difesi dall’avv.

Marcuccio Marcello per procura rilasciata a margine del ricorso per

cassazione;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliata in Roma, via A. Mordini

n. 14, presso l’avv. Bruschi Flavia, rappresentata e difesa dall’avv.

Chironi Iuri per procura rilasciata a margine del controricorso;

– controricorrente –

M.M.G. e MA.GI., nella qualita’ di eredi di

M.G.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 1735/2008 della Corte d’appello di Lecce,

depositata il 23/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30.06.2010 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

PATRONE Ignazio.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

S.A., gia’ dipendente di D’Arpe Medicinali di Giuseppe Magno & C. s.a.s. e licenziata per cessazione dell’attivita’ aziendale, conveniva detto datore dinanzi al giudice del lavoro di Lecce chiedendo il riconoscimento di differenze retributive pari alla differenza tra quanto ricevuto e quanto spettante a seguito della rideterminazione del trattamento economico in riferimento all’orario di lavoro contrattuale, che assumeva unilateralmente ridotto dal datore, in violazione del D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 5, comma 10.

Radicatosi il contraddittorio, il giudizio si interrompeva per decesso del socio accomandatario e veniva riassunto nei confronti della societa’ e degli eredi del defunto. Costituitasi di nuovo la societa’ in persona del suo liquidatore, il Tribunale rigettava la domanda.

Proponeva appello la S., sostenendo che mai era stato concordato di trasformare il rapporto da tempo pieno in part time, che la induzione di orario non era concordata e che, comunque, al riguardo non era stato redatto un atto scritto.

Costituitasi solo la societa’, che con appello incidentale subordinato ribadiva l’eccezione di prescrizione gia’ formulata in primo grado, la Corte di appello di Lecce con sentenza 16 – 23.10.08 accoglieva l’impugnazione, rilevando che per il passaggio dal full time al part time e, quindi, per la riduzione dell’orario di lavoro era necessario l’atto scritto ad substantiam, ai sensi del D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 5, comma 10. La mancanza di tale requisito formale (quando pure fosse esistito un accordo verbale tra le parti) comportava la qualificazione a tempo pieno del rapporto.

Acclarata l’esattezza del conteggio offerto dal lavoratore e rigettata l’eccezione di prescrizione, la Corte accoglieva la domanda e condannava la societa’ al pagamento della somma di Euro 18.623,40 oltre accessori.

Proponeva ricorso per cassazione la Societa’ D’Arpe Medicinali di Giuseppe Magno & C. s.a.s. in liquidazione deducendo violazione: 1) degli artt. 101, 102, 111, e 331 c.p.c. e degli artt. 2313, 2315, 2318 e 2324 c.c. e nullita’ della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, rilevando che la Corte d’appello avrebbe dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di M.G. e che tale omissione determinerebbe la nullita’ dell’intero processo di secondo grado e, conseguentemente, della sentenza che l’ha concluso; 2) del D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 5, degli artt. 2697, 2126 e 1207 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., nonche’ carenza di motivazione sostenendo che l’accordo per la riduzione dell’orario era intervenuto e che era stata fatta erronea applicazione del D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, convertito dalla L. 19 dicembre 1984, n. 863, traendosene erronee conclusioni circa la conversione del rapporto; 3) delle stesse norme sotto diverso profilo, sostenendo che il lavoratore avrebbe dovuto provare di aver offerto la propria prestazione; 4) dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori e dell’art. 2948 c.c. nonche’ dell’art. 112 c.p.c. e carenza di motivazione, sostenendo che la Corte avrebbe rigettato l’eccezione di prescrizione per le pretese della dipendente relative a periodo anteriore al 1997 sull’erroneo presupposto che il datore non avesse fornito prova della stabilita’ reale, mentre invece risultava agli atti che nell’azienda erano occupati piu’ di quindici dipendenti; 5) dell’art. 166 c.p.c. in relazione all’art. 230 c.p.c., n. 3, contestando la mancata ammissione di prova testimoniale a proposito della riduzione di orario concordata con i lavoratori.

Rispondeva con controricorso la S., mentre non svolgevano attivita’ difensiva gli eredi M., cui il ricorso era stato notificato.

Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c. che e’ stata comunicata al Procuratore generale ed e’ stata notificata ai difensori costituiti.

La ricorrente ha depositato memoria.

Il ricorso e’ infondato.

Essendo la sentenza pubblicata in data 23.10.08, il procedimento in questione cade sotto il regime processuale introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40. In particolare deve verificarsi se sia adempiuto il disposto dell’art. 366 bis c.p.c., per il quale la illustrazione dei motivi di ricorso che denunziano i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4 deve a pena di inammissibilita’ concludersi con la formulazione di un quesito di diritto, e la illustrazione dei motivi che denunciano vizi di motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sempre a pena di inammissibilita’, deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso o delle ragioni per le quali la motivazione — in ragione delle denunziate carenze — e’ inidonea a giustificare la decisione.

I motivi primo, secondo e terzo, nonostante le questioni dedotte, che richiamano complessi temi giuridici in materia di litisconsorzio processuale e di qualificazione giuridica del lavoro pari time, non ottemperano all’art. 366 bis c.p.c., in quanto non propongono al Collegio alcun quesito di diritto e, pertanto, sono inammissibili.

Con riferimento al secondo motivo, parte ricorrente nella sua memoria ha richiamato un passaggio delle dichiarazioni rese in primo grado dalla S. (a proposito del suo “restare a disposizione” dell’azienda) che, secondo la tesi sostenuta, se correttamente interpretato, avrebbe dovuto portare ad escludere che la stessa avesse effettivamente messo a disposizione del datore le sue energie lavorative per un orario superiore a quello di lavoro. Associata alla mancanza di esplicita messa in mora del datore, tale circostanza avrebbe dovuto escludere ogni pretesa della dipendente per le ore non lavorate.

Al riguardo deve rilevarsi che sotto le vesti della denunzia del vizio motivazionale parte ricorrente implicitamente non fa altro che dedurre una ulteriore problematica di diritto il cui esame, in quanto tale, e’ subordinato alla formulazione di un quesito di diritto.

Il quarto motivo e’ infondato, in quanto basato su un presupposto di fatto non verificabile. Sostiene, infatti la societa’ ricorrente che ove fosse stata presa visione della nota 20.11.90 piu’ volte richiamata, sarebbe emerso che era firmata da quattordici dipendenti cui avrebbero dovuto aggiungersi la S. ed altri dipendenti “che, affermando di essere stati dipendenti della societa’, hanno deposto nel giudizio ed espressamente richiamati nella sentenza n. 981/2005” (pag. 26 del ricorso). Sulla base di tali valutazioni – peraltro di non facile lettura — non e’ possibile verificare quale fosse il contenuto di detta scrittura e quali fossero i suoi firmatari, atteso che il documento — di cui non e’ indicato il momento dell’avvenuta produzione — non e’ allegato al ricorso ex art 369 c.p.c. e neppure e’ riportato nella sua formulazione e, soprattutto, nella sua sottoscrizione.

Inoltre, nessun riferimento e’ desumibile dalla sentenza recante il n. 981 del 2005, di cui e’ ignota la presenza in atti, non avendo parte ricorrente indicato se e dove essa sia stata prodotta. Per completezza, inoltre, va notato che sulla base di tale argomentazione al piu’ la consistenza del personale potrebbe essere acclarata al 20.11.90, mentre il periodo preso in considerazione del giudice al fine della liquidazione delle spettanze della S. e’ gennaio 1996 – 14.1.01.

Appare, infine, infondato anche il quinto motivo con cui si lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale circa l’avvenuto raggiungimento di un accordo tra datore e maestranze per la riduzione dell’orario di lavoro. Al riguardo deve rilevarsi che la prova non sarebbe stata comunque decisiva, in quanto la pattuizione per la riduzione dell’orario di lavoro (per passare dal full time al part time), secondo l’assunto del giudice di merito, avrebbe dovuto pur sempre essere provata per iscritto.

Il ricorso e’, in conclusione, infondato e deve essere rigettato.

Quanto alle spese, parte ricorrente in ragione della soccombenza e’ tenuta nei confronti della sola S. e non anche delle eredi M., che non hanno svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese in favore della controricorrente, che liquida in Euro 30,00 (trenta/00) per esborsi ed Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, oltre spese generali. Nulla spese nei confronti delle intimate.

Cosi’ deciso in Roma, il 30 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2010

 

 

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