Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18977 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. I, 11/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 11/09/2020), n.18977

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7818/2019 proposto da:

K.U., elettivamente domiciliato in Roma Via Paolo Mercuri,

8 presso lo studio dell’avvocato Ludovici Luigi, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro-tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 955/2019 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato

il 30/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Venezia ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero della protezione sussidiaria o umanitaria, proposta dal cittadino (OMISSIS) K.U., nato il (OMISSIS) a (OMISSIS) ((OMISSIS)), il quale ha narrato di essere (OMISSIS), di aver sempre vissuto a (OMISSIS) e di essere fuggito nel 2016 dalla (OMISSIS), dove lavorava come imbianchino, “perchè gli anziani della comunità volevano che diventasse sacerdote per consultare l’idolo; essendosi il ricorrente rifiutato veniva minacciato di essere offerto in sacrificio all’idolo”.

2. Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo si deduce sia la nullità del decreto ex art. 132 c.p.c., n. 4, sia l’omesso esame di fatti decisivi in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5), in quanto la motivazione sulla inattendibilità del ricorrente violerebbe il minimo costituzionale ex art. 111 Cost., comma 6, – stante la sua manifesta illogicità ed irriducibile contraddittorietà – e comunque il tribunale avrebbe omesso di esaminare il contenuto delle dichiarazioni rese dal ricorrente all’udienza del 24 maggio 2018, con riguardo alle conseguenze patite dal padre del ricorrente (violenza fisica, detenzione in carcere e allontanamento dalla comunità) e al persistere del pericolo (avendo egli dichiarato: “Non posso tornare in (OMISSIS) perchè mia madre mi riferisce che continuano a cercarmi e che se torno mi vogliono uccidere e sacrificare”).

3.1. Il motivo presenta profili di inammissibilità e infondatezza.

3.2. Occorre premettere che, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (ad opera del D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012), il sindacato di legittimità sulla motivazione deve intendersi ridotto – alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi – al “minimo costituzionale”, nel senso che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sè, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce – con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza” – nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. Sez. U, 8053/2014; cfr. Cass. Sez. U, 33017/2018).

3.3. Nel caso di specie, la motivazione del decreto impugnato supera ampiamente il livello minimo costituzionale di cui sopra, mentre le doglianze sono rivolte ad apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, risolvendosi in censure non rispettose dei canoni del novellato art. 360 c.p.c., n. 5), i quali postulano l’indicazione di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo per l’esito della controversia, di tal che il ricorrente ha l’onere di indicare – nel rispetto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020). In particolare, difetta il requisito della decisività dei punti dei quali si assume l’omesso esame, in quanto il giudizio di non credibilità formulato dal tribunale, all’esito di nuova audizione del ricorrente, risulta sorretto anche da ulteriori elementi, tra i quali “la genericità della storia” e le “contraddizioni in ordine alle date salienti della vicenda” (v. pag. 6 del decreto); inoltre, il tribunale evidenzia il fatto che i familiari del ricorrente si sono allontanati dal villaggio di origine e vivono ora a (OMISSIS), con conseguente venir meno dell’attualità degli effetti persecutori asseritamente subiti e ancora temuti.

3.4. Orbene, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, si tratta di valutazioni di merito non sindacabili in questa sede (ex multis, Cass. 5114/2020, 21142/2019, 3340/2019, 32064/2018, 30105/2018, 27503/2018, 16925/2018), anche perchè “l’intrinseca inattendibilità delle dichiarazioni del richiedente, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 attiene al giudizio di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ed osta al compimento di approfondimenti istruttori officiosi, cui il giudice di merito sarebbe tenuto in forza del dovere di cooperazione istruttoria, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori” (Cass. 33858/2019).

4. Il secondo mezzo censura la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per avere il tribunale omesso di considerare la grave violazione dei diritti umani fondamentali derivante dalla condizione socio-politica della (OMISSIS), desumibile dal sito “(OMISSIS)” aggiornato al 21/09/2017 e dal rapporto Amnesty International 2016-2017, che giustificherebbe la protezione umanitaria invocata anche alla luce delle condizioni di violenza armata e criminalità registrate dal tribunale nel (OMISSIS), specie con riguardo ai rapimenti di civili e operai del settore petrolifero per ottenere il pagamento del riscatto.

4.1. La censura è infondata, poichè la decisione risulta in linea con la giurisprudenza di questa Corte che, ai fini della protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) – richiede “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019, 1040/2020), escludendo il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari solo “in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018, 630/2020). Occorreva quindi che le lamentate condizioni di vulnerabilità venissero individualizzate sulla persona del ricorrente, ciò che però non è avvenuto.

5. Segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.

6. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019 e 4315/2020), se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

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