Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18975 del 16/09/2011

Cassazione civile sez. I, 16/09/2011, (ud. 10/05/2011, dep. 16/09/2011), n.18975

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

G.R. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE REGINA MARGHERITA 37, presso l’avvocato

BARRETTA ALESSANDRO, rappresentata e difesa dall’avvocato MARTINO

FRANCESCO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO ASCOSA;

– intimato –

sul ricorso 32182-2005 proposto da:

CONSORZIO AS.CO.SA. (p.i. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DELL’ORSO 74, presso l’avvocato DI MARTINO PAOLO, che lo rappresenta

e difende, giusta procura a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

G.R., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE REGINA

MARGHERITA 37, presso l’avvocato BARRETTA ALESSANDRO, rappresentata e

difesa dall’avvocato MARTINO FRANCESCO, giusta mandato in calce al

controricorso al ricorso incidentale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 2347/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/07/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2011 dal Consigliere Dott. ROSA MARIA DI VIRGILIO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato FRANCESCO MARTINO che, sulla

questione preliminare, non ritiene di dover intergrare il

contraddittorio, ma si rimette alla Corte; nel merito chiede

l’accoglimento del ricorso principale; il rigetto dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’integrazione del contraddittorio

nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

G.R. e F.D.M., quali proprietari di un fabbricato in (OMISSIS) e del fondo attiguo, in catasto al fg.7, particella 559, di complessivi mq. 1500, sottoposti a procedura espropriativa dal Consorzio AS.CO.SA., a tanto delegato dal Commissario di Governo, per la realizzazione della bretella di raccordo (OMISSIS), agivano in giudizio nei confronti del detto Consorzio e della Presidenza del Consiglio dei Ministri- Funzionario C.I.P.E., proponendo opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione, determinata in L. 209.408.710, comprese le maggiorazioni, notificata alla G. il 16/8/89.

I convenuti si costituivano, eccepivano ambedue il proprio difetto di legittimazione passiva, e nel merito, l’infondatezza della domanda.

Veniva disposta ed espletata C.T.U. Il Tribunale, dato atto che gli attori, con scrittura privata di cessione bonaria avevano percepito la somma di L. 300.000.000, condannava i convenuti in solido a pagare agli attori, a titolo di indennità di espropriazione, l’ulteriore somma di Euro 94.946,50, oltre rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat e gli interessi dal 16/7/2001v (data di emissione del decreto di acquisizione intervenuto in corso di causa), al soddisfo, ed a titolo di indennità di occupazione legittima, gli interessi legali sulla somma di Euro 94.946,50, dal febbraio 1990 al 16/7/2001, nonchè alla rifusione dei due terzi delle spese di lite, compensate per il resto.

Proponeva appello la Presidenza del Consiglio; il Consorzio proponeva appello incidentale; si difendevano il D.M. e la G..

La Corte d’appello, con sentenza depositata in data 8/7/04, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda degli attori nei confronti della Presidenza del Consiglio, nonchè la domanda del D.M. verso il Consorzio; ha condannato il Consorzio a pagare alla G. l’indennità di occupazione legittima, in misura pari agli interessi legali sulla indennità di espropriazione di Euro 143.774,49, dal febbraio 1990 al dicembre 1993; ha condannato il Consorzio al pagamento a favore degli attori della metà delle spese di lite di 1^ e di 2^ grado, come liquidate per la frazione, compensando nel resto le spese; ha compensato per intero le spese dei due gradi tra gli attori e la Presidenza del Consiglio dei Ministri; ha posto in via definitiva a carico degli attori e del Consorzio nella misura della metà ciascuno le spese della C.T.U..

La Corte d’appello ha in primis respinto la censura di ultrapetizione della sentenza di primo grado, fatta valere sia dall’appellante principale che dall’incidentale, rilevando che, a fronte della modifica della domanda da parte degli attori, effettuata all’udienza del 28/4/1998, da opposizione alla stima a risarcimento danni da accessione invertita, il I Giudice aveva correttamente riconosciuto l’indennità di espropriazione, essendo intervenuto in corso di causa il decreto di esproprio, da ciò conseguendo l’automatica conversione dell’originaria domanda risarcitoria in opposizione alla stima, e nel caso, era stato emesso dal Prefetto di Caserta il 16/7/2001 il decreto di acquisizione dell’opera realizzata e delle relative aree, D.Lgs. n. 354 del 1999, ex art. 9, comma 4, avente valore sostanziale di decreto di esproprio, costituente condizione dell’azione, anche nella procedura di cui alla L. n. 219 del 1981.

Ha ritenuto la Presidenza del Consiglio carente di legittimazione passiva, disattendendo l’analoga eccezione del Consorzio AS.CO.SA, unico legittimato passivo quale Concessionario, nel giudizio di opposizione alla stima nella procedura espropriativa di cui alla L. n. 219 del 1981, artt. 80, 81 e 84.

Ha escluso la legittimazione attiva del D.M., essendo solo la G. intestataria catastale del fondo di cui è causa, in virtù dell’atto di compravendita dell’8/6/1973, a cui appartiene anche il fabbricato, in forza del principio generale dell’accessione.

Ha ritenuto fondate le censure proposte nel merito dal Consorzio, ritenendo eccessivo il valore unitario di L. 135.000 al mq., attribuito dal Tribunale recependo le indicazioni del C.T.U., essendo il bene compreso nella zona E Agricola, in base allo strumento urbanistico vigente all’epoca dell’occupazione, irrilevanti essendo la ricomprensione in zona B di completamento nel P.R.G. adottato, ma non ancora approvato,e le circostanze che avevano indotto il C.T.U. a riconoscere l’edificabilità di fatto, ed ha quindi concluso per l’attribuzione al terreno, all’epoca dell’emanazione del decreto di espropriazione, del valore unitario di L. 40.000 al mq., in conformità di quanto statuito dalla stessa Corte in altri giudizi per terreni situati nella stessa zona (vedi sentenza n. 2536/2003, prodotta dal Consorzio AS.CO.SA).

Ha respinto la tesi del Consorzio, secondo cui non si sarebbe dovuto tenere conto del fabbricato in quanto abusivo, atteso che risultava presentata il 28/4/1986 domanda di sanatoria ex L. n. 47 del 1985, erano state pagate le prime due rate e presentata la documentazione all’UTE per l’accatastamento, per cui, in forza del silenzio accoglimento L. n. 47 del 1985, ex art.35 il fabbricato non poteva considerarsi abusivo.

La Corte del merito ha ritenuto congruo il valore di mercato attribuito al fabbricato dal C.T.U., con riferimento ai valori correnti del marzo 1993, tenuto conto della consistenza dell’immobile, delle caratteristiche costruttive e dello stato di conservazione, e, considerate le variazioni medio tempore intervenute nel mercato immobiliare, presumibilmente non dissimili dalle oscillazioni del potere di acquisto della moneta, ha incrementato del 30% il valore all’epoca del decreto di esproprio (16/7/2001).

Ha proceduto alla determinazione dell’indennità di espropriazione per l’area agricola e per il fabbricato, in base al criterio della media del valore venale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio ( o, in mancanza, del relativo reddito dominicale), L. n. 2892 del 1885, ex art. 13 richiamato dalla L. n. 219 del 1981, art. 80 e, atteso che gli importi così calcolati erano inferiori alla somma offerta e riscossa dalla G. in base alla cessione bonaria del 14/12/89, con l’intesa di corrispondere la differenza, ove fosse stata giudizialmente accertata somma superiore, ha respinto l’opposizione alla stima della indennità di espropriazione.

Ha quindi calcolato l’indennità di occupazione nella misura degli interessi legali sull’indennità dì espropriazione, e non con riferimento al valore venale del bene, e solo dal febbraio 1990, data di decorrenza indicata dal Tribunale con statuizione non oggetto di censura, al 1993, stante l’espressa limitazione della domanda da parte attrice.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione la G., sulla base di quattro motivi.

Il Consorzio si difende e propone ricorso incidentale, articolato in quattro motivi.

La G. ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale e memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1.- Con il primo motivo, la G. denuncia violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 39 e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della causa, censurando la sentenza impugnata per avere applicato, per la quantificazione dell’indennità di espropriazione, la L. n. 2892 del 1885, sul Risanamento di Napoli, inapplicabile nel caso di fabbricati siti all’esterno del Comune; ed inoltre, il Commissario di Governo per le Aree Esterne al Comune di Napoli, per fugare ogni perplessità, con l’ordinanza 70/82, aveva ben specificato che l’indennità di espropriazione dei fabbricati corrispondeva al valore venale degli stessi. Secondo la ricorrente, il richiamo alla L. 219 del 1981, art. 80 sulla realizzazione del programma straordinario di edilizia residenziale per le zone terremotate del Mezzogiorno, non può essere effettuato genericamente per tutti gli interventi sia all’interno che all’esterno del Comune, atteso che due sono i Commissari Straordinari, le relative ordinanze sono differenziate, sostanziale è pertanto la differenza di normativa regolante le due diverse fattispecie.

1.2.- Con il secondo motivo, la G. denuncia violazione dell’ordinanza del Commissario straordinario di Governo per le aree esterne al Comune di Napoli n. 70/1982 del 10/8/82, e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della causa, censurando la sentenza impugnata per non avere in alcun modo motivato sulla scelta di determinare l’indennità di espropriazione per i fabbricati con dimidiazione del valore venale, senza tenere conto della normativa e dell’ordinanza commissariale e del fatto che la stessa indennità offerta era stata calcolata con il criterio del valore venale senza alcuna dimidiazione.

1.3.- Con il terzo motivo, la ricorrente principale denuncia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della causa, per avere la Corte del merito, senza alcun valido ragionamento logico giuridico, dimezzato il valore venale, riducendo così anche l’indennità di occupazione legittima, per la quale ha individuato in modo erroneo la durata, atteso che il decreto di acquisizione è stato emesso il 21/7/2001.

1.4.- Con il quarto motivo, la G. denuncia vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della causa, per avere la Corte del merito confuso tra l’occupazione del fondo circostante il fabbricato, che si è avuta dal 1987 al 1993, e l’occupazione dell’intero immobile, comprensiva del fondo già occupato, sino all’adozione del decreto di acquisizione del 2001.

2.1.- Con il primo motivo del ricorso incidentale, il Consorzio AS.CO.SA. denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c., all’art. 2043 c.c. e alla L. n. 865 del 1971, art. 19 insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della causa, per essere stata emessa la sentenza impugnata a fronte della diversa domanda risarcitoria fatta valere, ribadita anche in sede di appello.

2.2.- Con il secondo motivo, il Consorzio si duole della rivalutazione al 2001 del valore venale attribuito al fabbricato, denunciando il vizio di violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., e di motivazione, per avere la sentenza provveduto alla rivalutazione in modo automatico, senza tenere conto del fatto, decisivo, che il fabbricato era stato abbandonato sin dal 1990.

2.3.- Con il terzo motivo, il Consorzio denuncia il vizio di violazione di legge, per avere la Corte del merito violato il principio del divieto di reformatio in pejus, in relazione alla liquidazione dell’indennità di occupazione legittima, pari ad Euro 50.025,64, superiore a quanto liquidato a tale titolo dal 1^ Giudice e quindi, per non avere limitato la condanna all’importo di euro 33.036.18.

2.4.- Con il quarto motivo, il Consorzio si duole del capo di sentenza con cui è stata ritenuta la legittimazione passiva esclusiva di detta parte, per vizio di: a) violazione dell’art. 112 c.p.c. e di motivazione, per non avere la Corte del merito minimamente tenuto conto delle doglianze ed eccezioni sollevate nella comparsa con appello incidentale, ritrascritta nelle parti rilevanti dalla odierna ricorrente incidentale; b) violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e falsa applicazione, per non avere la Corte del merito in alcun modo esaminato i rilievi della parte, intesi a dimostrare di non essere titolare di alcun potere pubblicistico, e per non risultare, in ogni caso, il presunto trasferimento dei poteri, anzi per risultare il contrario;c) violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui alla L. n. 219 del 1981, art. 80 e segg. e successive modificazioni, e di tutti i principi disciplinanti il trasferimento dei poteri pubblicistici, per autorizzare la L. n. 219 del 1981, art. 81 se mai in astratto, il trasferimento dei pubblici poteri, ma non in via automatica, e per la palese violazione dei criteri di interpretazione letterale e teleologica della norma citata; la sentenza impugnata viola anche la L. n. 219 del 1981, artt. 80 e 82 ed ulteriore conferma della insussistenza in capo ai concessionari dei poteri pubblicistici è fornita dal D.Lgs. n. 354 del 1999, art. 9 da cui si evince che i sostanziali poteri pubblicistici in materia, cioè la dichiarazione di pubblica utilità e l’adozione dei provvedimenti ablativi, sono rimasti in capo alla parte concedente ( le stesse Sezioni unite, nella sentenza 366/2000, hanno dato atto che la convenzione 11/81, sulla cui base è stata costruita anche l’opera pubblica in oggetto, non è assolutamente traslativa di poteri pubblicistici, ma configura contratto d’appalto).

3.1.- In via preliminare, vanno riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale, siccome rivolti nei confronti della medesima sentenza, ex art. 355 c.p.c..

3.2.- Per ragioni di ordine logico, va esaminato prioritariamente il quarto motivo del ricorso incidentale, siccome inteso a censurare la legittimazione passiva esclusiva del Consorzio AS.CO.SA. ritenuta dalla Corte del merito.

Detto motivo è stato articolato sotto diversi profili, tendenti a far valere, sotto il profilo del vizio dì violazione o falsa applicazione di legge, vizio di motivazione e vizio di nullità della sentenza, la situazione in concreto del Consorzio, tale da escludere la titolarità di alcun potere pubblicistico o comunque l’insussistenza della prova del trasferimento dalla P.A. committente dei poteri concernenti il procedimento, fissando la L. n. 219 del 1981, artt. 80, 81 e 82 il principio opposto della attribuzione al Concedente dei poteri pubblicistici. Il motivo deve ritenersi infondato, avuto riguardo a tutti i profili fatti valere.

Vale a riguardo il richiamo alla recente pronuncia 11122/2010, che, esaminando censure analoghe a quelle oggi proposte dal Consorzio AS.CO.SA., si è espressa nei termini seguenti:”… questa Corte si è più volte pronunciata sui diversi profili prospettati dal Consorzio, con argomentazioni alle quali si rinvia (C. 07/26261, C. 07/21096, C. 06/27140, C. 05/8197, C. 04/12958, C. 03/11139) e rispetto alle quali, diversamente da quanto sollecitato anche con memoria, non si ritiene di dover svolgere ulteriori considerazioni, dovendosi stimare esaustive quelle evidenziate nelle precedenti decisioni; ciò anche perchè con la doglianze in esame non sono stati rappresentati nuovi e diversi profili, in quanto tali in astratto potenzialmente idonei a determinare un differente esito della controversia.

Ed infatti osserva il Collegio che nelle precedenti decisioni è stato in particolare rilevato come la fattispecie oggetto di giudizio rientri nell’ambito della L. n. 219 del 1981, che detta una disciplina di carattere speciale in tema di espropriazione per pubblica utilità (artt. 80, 81 e 84).

Segnatamente l’art. 81, che disciplina le modalità degli interventi di cui all’art. 80- che a sua volta dispone che le opere siano affidate in concessione a mezzo di convenzioni in deroga alle norme vigenti a società ed imprese di costruzione,- prevede che tutte le operazioni necessarie per l’acquisizione delle aree, le procedure di espropriazione, il pagamento dell’indennità, la formulazione del programma costruttivo, le prescrizioni da osservare, i termini per la realizzazione delle opere, formano oggetto di concessione.

Orbene l’ampiezza dei pubblici poteri attribuiti in via normativa al concessionario induce a ritenere che nella specie sia stata normativamente configurata una ipotesi di concessione traslativa, caratterizzata dal trasferimento al concessionario dell’esercizio di funzioni pubbliche proprie del concedente, necessarie per la realizzazione delle opere.

Per effetto dunque del provvedimento di concessione, al concessionario è demandato il compimento delle diverse operazioni occorrenti per la realizzazione del programma edilizio, pur se in ipotesi comportante l’esercizio di poteri pubblicistici, quali quelli attinenti alle procedure di espropriazione, l’offerta, il pagamento o il deposito dell’indennità.

D’altro canto l’avvenuto trasferimento delle funzioni dal concedente al concessionario comporta che quest’ultimo si sostituisca al primo nello svolgimento dell’attività necessaria per la realizzazione dell’opera pubblica, divenendo in tal modo, nella sua qualità di soggetto attivo del rapporto attuativo della concessione, l’unico titolare delle obbligazioni collegate con l’esecuzione dell’opera.

Ciò rende dunque irrilevanti le circostanze che il concessionario abbia agito o meno in nome proprio e che la titolarità dell’opera appartenga alla concedente, mentre comporta, d’altra parte, che debba rispondere direttamente dei danni cagionati a terzi dall’opera pubblica (sia derivanti da attività legittima che da illecito aquiliano) e delle obbligazioni finalizzati alla sua esecuzione. Nè assumono rilevanza in senso contrario le argomentazioni del ricorrente, che ripropongono questioni in passato già esaminate e per l’appunto disattese, come la difforme interpretazione offerta alla L. n. 219 del 1981, artt. 80 e 81 ovvero la natura esclusivamente esecutiva dei compiti affidati, prospettazione fra l’altro contrastata dall’affermata ricorrenza delle ipotesi delineate dai citati articoli della L. n. 219 del 1981″.

3.3.- Sempre per ragioni di ordine logico, va esaminato a questo punto il primo motivo del ricorso incidentale, con il quale il Consorzio contesta la convertibilità della domanda di risarcimento del danno in opposizione alla stima.

Detto motivo è infondato, sotto ambedue i profili fatti valere.

E’ stata costantemente affermazione di questa Corte che nel caso di sopravvenienza nel corso del giudizio del rituale e tempestivo decreto di espropriazione, la domanda risarcitoria del danno da occupazione illegittima si converte automaticamente in quella di opposizione alla stima (così, tra le ultime, Cass. 4358/2003, 1061/01, 4789/94); detta automatica conversione, sostanzialmente applicativa del principio della garanzia costituzionale della proprietà che non tollera il sacrificio della stessa ad opera della P.A. senza ristoro per il titolare, prescinde coerentemente dalla necessità di espressa domanda (subordinata) di liquidazione dell’indennità ed è stata ritenuta operante anche nel caso in cui la parte aveva denunciato l’illegittimità della procedura ablatoria e quindi l’illegittimità del decreto di esproprio, ma solo in appello era stata ribaltata la ricostruzione della fattispecie, con il riconoscimento della tempestività del decreto di esproprio, da cui era conseguito il mutamento del titolo, da illecito ad ablatorio, della perdita del dominio della parte (così Cass. 4358/2003).

3.4.- I primi due motivi del ricorso principale, siccome connessi, possono essere esaminati congiuntamente e sono da ritenersi infondati.

Quanto alla invocata applicazione della L. n. 2359 del 1865, art. 39 che richiama per la quantificazione dell’indennità di esproprio per i fabbricati il valore venale, e dì converso l’inapplicabilità della L. n. 219 del 1981, art. 80, per trattarsi di fabbricato sito in area esterna al comune di Napoli, va rilevato che le differenze per gli espropri eseguiti in base a detta legge nella città di Napoli e negli altri comuni nell’area napoletana, come riscontrabili alla stregua della L. n. 219 del 1981, art. 82, e dell’autorità competente(per gli espropri nella città di Napoli, la Giunta speciale costituita presso la Corte d’appello ex D.Lg.Lgt. n. 219 del 1919, conv. nella L. n. 1290 del 1921, ed il Tribunale e la Corte d’appello, quale giudice ordinario competente in primo ed in secondo grado, in quanto il R.D. n. 752 del 1926, art. 2, comma 2 è stato dichiarato incostituzionale nella parte in cui estende la giurisdizione speciale della Giunta a tutta la provincia) non riguardano la disciplina di carattere sostanziale della L. n. 219, che costituisce un sistema speciale di espropriazione (così Cass. 4344/1997), che richiama all’art. 80, per la determinazione dell’indennità in caso di opposizione dell’espropriato, la L. n. 2892 del 1885, artt. 12 e 13 e quindi, a prescindere dalla tipologia del bene, se terreno o fabbricato, la media del valore venale del bene e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio, o in mancanza, delle rendite catastali.

Quanto al richiamo all’ordinanza prefettizia 70/1982, è di chiara evidenza la mancanza di autosufficienza del motivo, non essendo stato riportato il contenuto di detta ordinanza, per lo meno nelle parti rilevanti, in tesi della G..

3.5.- Il terzo motivo della ricorrente principale è palesemente infondato, atteso che la dimidiazione del valore venale è stata correttamente eseguita dalla Corte del merito secondo il disposto di cui alla L. n. 2892 del 1885, artt. 12 e 13; come di recente ribadito dalle Sezioni unite nella pronuncia n. 2419 del 2011, ” Ai fini della determinazione dell’indennità di espropriazione relativa a terreni non edificabili siti nel comune di Napoli…, il criterio stabilito dalla L. 15 gennaio 1885, n. 2892, art. 13 – che non da rilievo alla distinzione tra aree edificabili e non fabbricabili e che è espressamente richiamato dalla L. 14 maggio 1981, n. 219, art. 80 – continua ad applicarsi, anche dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale della L. 8 agosto 1992, n. 359, art. 13 di cui alla sentenza n. 348 della Corte costituzionale. Alla luce di tale criterio, che è speciale e totalmente distinto da quelle citato art. 5 bis, il riferimento al valore agricolo medio introdotto per le aree non edificabili dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 non può sostituire quello al valore “venale” dì cui al citato art. 13 della legge su Napoli; d’altra parte, il perdurare dell’applicazione di tale art. 13, che determina un indennizzo inferiore al valore venale effettivo, si giustifica in relazione alla particolare natura, temporanea ed eccezionale, degli interventi di cui alla L. n. 219 del 1981 (nella specie volti a porre rimedio ad eventi bradisismici)”.

Quanto alla doglianza relativa alla durata del periodo di occupazione legittima, si deve rilevare la genericità del motivo e che in ogni caso, la Corte del merito ha specificamente motivato sulla ritenuta durata della occupazione, specificando che la decorrenza dal febbraio 1990 era stata fissata dal Tribunale con statuizione non impugnata, ed il dies ad quem rimaneva fissato alla data indicata dalla parte nella domanda.

3.6.- Il quarto motivo è palesemente carente sotto il profilo dell’autosufficienza, per non avere la parte riportato quando ed in quali atti la stessa aveva operato la distinzione tra i due periodi di occupazione. E’ costante infatti il principio secondo il quale, qualora una determinata questione che implichi un accertamento in fatto non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, il ricorrente per cassazione che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una pronuncia di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere di allegare non sono l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente l’abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (così, tra le ultime, le pronunce 5070/2009, 15422/2005, 13970/05).

3.7.- Il secondo motivo del ricorso incidentale, con cui si contesta sia sotto il profilo del vizio di violazione di legge che di motivazione, la rivalutazione al 2001 del valore attribuito dal C.T.U. al fabbricato nel 1993, è infondato.

La Corte del merito a riguardo ha tenuto conto delle variazioni del mercato immobiliare, intervenute nel periodo, in quanto presumibilmente non dissimili dalle oscillazioni del potere di acquisto della moneta;in tal modo, la Corte ha dato chiara ragione dell’incremento percentuale adottato, non contraddetto dai rilievi in fatto del Consorzio; e nel resto, trattasi di giudizio di merito, insindacabile in questa sede.

3.8.- Il terzo motivo del ricorso incidentale è da ritenersi inammissibile per genericità, atteso che il Consorzio non spiega come si pervenga agli importi indicati, venendo così a mancare la base stessa della prospettata censura di violazione del principio della reformatio in pejus.

4.1.- Conclusivamente, vanno respinti il ricorso principale ed incidentale.

La soccombenza reciproca giustifica la compensazione delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce il ricorso principale ed incidentale e li rigetta entrambi.

Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Così deciso in Roma, il 10 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2011

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