Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18973 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/07/2017, (ud. 28/06/2017, dep.31/07/2017),  n. 18973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi A. – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20976-2014 proposto da:

M.I., considerato domiciliato ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALBERTO LODIGIANI giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

N.T., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO D’ITALIA 19,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO SED, rappresentato e difeso

dall’avvocato PIETRO GIORGIS giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2665/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2017 dal Consigliere Dott. GRAZIOSI CHIARA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

Il Tribunale di Vigevano, con sentenza n. 142/2005, per quanto qui interessa, condannò N.T. a corrispondere all’avvocato M.I. la somma di Euro 40.729,86, oltre rivalutazione e interessi, quale compenso per prestazioni professionali. Avendo il M. proposto appello principale e il N. appello incidentale, la Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 363/2010, sempre per quanto qui interessa, condannava il N. a corrispondere all’avvocato soltanto Euro 7290,45 oltre interessi legali, escludendo fra l’altro la debenza di Euro 29.490,59 perchè attinente a prestazioni professionali svolte a favore della società Alboshoe Anstalt di Vaduz in una causa contro tale Ma.Lu. a seguito di incarico conferitogli dalla società stessa. L’avvocato M. proponeva ricorso per cassazione e questa Suprema Corte, con sentenza n. 4959/2012, ne accoglieva uno dei motivi, cassando la sentenza d’appello per non avere tenuto in conto che per individuare il soggetto obbligato a pagare la prestazione professionale al difensore occorre distinguere il rapporto endoprocessuale derivante dal rilascio della procura ad litem dal rapporto di conferimento dell’incarico professionale, che l’avvocato può ricevere da un soggetto diverso da quello che difende in giudizio, essendo poi onere del professionista che agisce per ottenere il compenso dimostrare chi gli ha conferito l’incarico. Decidendo infine quale giudice di rinvio, la Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2665/2014, ha escluso che l’avvocato M. abbia dimostrato che sia stato il N. a conferirgli l’incarico professionale relativo alla causa in cui difese Alboshoe Anstalt, confermando, quindi, per quanto interessa in questa sede, la condanna del N. a corrispondere a controparte soltanto la somma di Euro 7290,45 oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo.

Avverso quest’ultima sentenza l’avvocato M. ha proposto ricorso, sulla base di un unico motivo che denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c., art. 1242 c.c., L. n. 204 del 1985, art. 9,artt. 1703 e 1705 c.c., art. 116 c.p.c.; e il N. si è difeso con controricorso. Il ricorrente ha depositato altresì memoria illustrativa della sua impugnazione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

Nell’unico motivo, il ricorrente prende le mosse dal rilievo che “le sentenze della Corte d’Appello sostengono” che egli “non possa richiedere al N. il pagamento delle proprie prestazioni professionali… perchè l’incarico gli era stato affidato e revocato dalla Alboshoe Anstalt, che aveva richiesto di provvedere al pagamento delle sue spettanze” – per cui egli stesso “aveva preannunciato l’invio delle proprie parcelle” -, e perchè egli “non aveva provato che l’incarico gli era stato affidato dal N.”. A ciò fa seguire non una reale denuncia di errores in judicando correlati alle norme invocate nella rubrica del motivo, bensì una analitica esposizione dei fatti di causa intesi attraverso una valutazione del compendio probatorio alternativa a quella adottata dal giudice di rinvio: in primo luogo “il pagamento delle parcelle”, in secondo luogo “l’incarico professionale conferito dal N.” (quest’ultimo con specifico riferimento, per contrastare l’accertamento di merito del giudice di rinvio, dapprima alla “deposizione del teste Ma.” e successivamente alla “deposizione della teste Na.”, deposizioni testimoniali che reciprocamente si integrerebbero e confermerebbero), per lamentare infine che il giudice del rinvio “sostiene caparbiamente” che il N. fosse rappresentante o agente della società di Vaduz, “mentre non esiste nulla che lo dimostri”. E infatti, conclude il ricorrente, “a non voler essere completamente miopi, risulta di tutta evidenza come il N. fosse di fatto il rappresentante del Ma. per la vendita di calzature in Europa ed avesse conferito l’incarico all’avv. M. per ottenere il pagamento delle “sue” provvigioni”; perciò sarebbe “necessario ed opportuno che la Suprema Corte decida la causa nel merito non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto”.

Una simile conformazione del motivo ne evidenzia la inammissibilità: che questo giudice di legittimità “decida la causa nel merito” è il diretto scopo del ricorso, e non nel senso che gli accertamenti di merito siano già stati compiuti, bensì nel senso che l’accertamento di merito espletato dal giudice di rinvio venga ad essere in questa sede revisionato e corretto alla luce delle prospettazioni del ricorrente in ordine al significato degli elementi probatori sui quali infatti il ricorso si è incentrato. Ricorso, pertanto, che persegue un terzo grado di merito, onde deve essere appunto dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono D.P.R. n. 115 del 2012, ex art. 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo.

PQM

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 6000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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