Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18973 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. I, 11/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 11/09/2020), n.18973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1882/2019 proposto da:

A.R., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Bozzoli Caterina, giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro-tempore,

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il

25/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. Paola Vella.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Venezia ha respinto la domanda di protezione internazionale o, in subordine umanitaria, proposta dal cittadino (OMISSIS) A.R., nato il (OMISSIS), il quale ha riferito di temere che, in caso di rientro nel suo Paese, “non sarebbe più in grado di mantenere la madre e le sorelle, essendo venuto meno il padre”.

2. Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Le doglianze complessivamente proposte dal ricorrente (violazione dell’art. 1, lett. a), p.to 2 della Convezione di Ginevra, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3 e art. 8, del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27; “mancanza o apparenza della motivazione”; “nullità della sentenza per violazione degli artt. 112,113,156 c.p.c.”) derivano dall’avere il tribunale escluso la sussistenza dei presupposti sia della protezione sussidiaria nonostante il Bangladesh sia “il Paese delle esecuzioni extragiudiziali, delle sparizioni forzate, della violenza contro le donne, delle torture e altri trattamenti inumani, della violenza comunitaria, dove i diritti dei lavoratori sono calpestati” – sia di quella umanitaria, nonostante la sua permanenza in Libia, dove “veniva picchiato per il solo fatto di aver richiesto un aumento del suo salario”, tenuto conto anche dell’attività lavorativa svolta in Italia (in forza di contratto di lavoro a tempo determinato, prorogato di anno in anno) che gli consentirebbe di “potersi mantenere autonomamente”.

4. Le censure presentano profili di inammissibilità.

4.1. In primo luogo esse veicolano indistintamente vizi eterogenei, in contrasto col principio di tassatività dei mezzi di ricorso per cassazione e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. 11222/2018, 2954/2018, 27458/2017, 16657/2017, 19133/2016).

4.2. In secondo luogo, il tessuto motivazionale del decreto impugnato non integra alcuna delle ipotesi cui si è ridotto il sindacato di legittimità sulla motivazione, ossia la “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, la “motivazione apparente”, il “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, e la “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cass. Sez. U, 8053/2014).

4.3. A ben vedere, il ricorrente si limita a contrapporre la propria affermazione circa la sussistenza dei presupposti di fatto per la concessione della protezione invocata (sussidiaria o umanitaria), alla diversa valutazione del tribunale, che ha viceversa evidenziato le ragioni di natura meramente economica dell’espatrio del ricorrente, il fatto che egli non ha mai allegato nel corso delle due audizioni (in sede amministrativa e giudiziale) di essere esposto a specifiche, concrete e individuali minacce, nè ad eventuali conflitti in (OMISSIS), nonchè l’insufficiente allegazione sotto il profilo dell’integrazione sociale ai fini della protezione umanitaria, afferendo la documentazione prodotta solo a “rapporti a tempo determinato già scaduti al tempo dell’ultima udienza”. Ne consegue che il ricorso mira, inammissibilmente, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U, 34476/2019).

4.4. Peraltro, questa Corte ha più volte affermato che, anche ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, il ricorrente ha l’onere di (quantomeno) allegare gli specifici fatti costitutivi del suo diritto, in difetto non potendo attivarsi i poteri istruttori officiosi (Cass. 8908/2019, 3016/2019, 17069/2018).

4.5. La motivazione del tribunale non è stata nemmeno adeguatamente censurata secondo i canoni del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che rende l’apparato argomentativo sindacabile in sede di legittimità solo entro precisi limiti (ex plurimis Cass. 17247/2006, 18587/2014), non avendo il ricorrente assolto l’onere di indicare – ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. Sez. U, 8053/2014, 8054/2014, 1241/2015; Cass. 19987/2017, 7472/2017, 27415/2018, 6383/2020, 6485/2020, 6735/2020), stante l’inammissibilità della mera denunzia di insufficienza o contraddittorietà della motivazione (Cass. Sez. U, 33017/2018).

4.6. Analoghe considerazioni valgono per la domanda di protezione umanitaria – astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019) – avendo il tribunale rilevato l’assenza di condizioni di vulnerabilità personale “individualizzate”, in linea con l’orientamento di questa Corte che richiede “il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale” (Cass. 23778/2019, 1040/2020), con la precisazione che, ferma restando “la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, non può “essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente e astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza” (Cass. Sez. U, nn. 29459, 29460, 29461 del 2019; Cass. 4455/2018, 630/2020).

4.7. Quanto ai maltrattamenti asseritamente subiti in Libia si evidenzia che (in disparte l’apparente novità della deduzione), secondo l’orientamento di questa Corte, il fatto che in un paese di transito si sia consumata una violazione dei diritti umani non comporta di per sè l’accoglimento della domanda di protezione umanitaria, essendo a tal fine necessario accertare che lo straniero venga ad essere perciò privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, per effetto del rimpatrio nel Paese di origine, di cui cioè si abbia la cittadinanza (Cass. 4455/2018), non già di un Paese terzo (cfr. Cass. 2861/2018, 13858/2018, 29875/2018); pertanto, solo se debitamente allegate e potenzialmente idonee – quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità – ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona, le eventuali violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza possono legittimare il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, purchè in presenza di specifiche e concrete condizioni, da allegare e valutare caso per caso (Cass. 13096/2019).

4.8 Corretta risulta anche la motivazione del tribunale circa l’impossibilità di riconoscere la protezione umanitaria per generiche ragioni di “povertà”, non essendo “ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 3681/2019; cfr. Cass. 31670/2018, 2768/2018, 28015/2017, 26641/2016).

5. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese in favore del Ministero controricorrente, liquidate in dispositivo.

6. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019 e 4315/2020) se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

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