Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1897 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 28/01/2021), n.1897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22901/17 R.G. proposto da:

P.G., rappresentato e difeso, giusta delega in calce al

ricorso, dall’avv. Nicola Maione, con domicilio eletto presso il suo

studio, in Roma, alla via Garigliano, n. 11;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso

la quale è elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi,

n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 889/05/17 depositata in data 28 febbraio 2017

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 novembre

2020 dal Consigliere Dott.ssa Condello Pasqualina Anna Piera.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. P.G., notaio esercente nel distretto di Catanzaro, impugnava la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma, con la quale era stato rigettato il ricorso dallo stesso proposto avverso l’avviso di accertamento parziale emesso, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41-bis, dall’Amministrazione finanziaria, con il quale era stato rettificato il reddito relativo all’anno 2008 ed erano stati attribuiti al contribuente i redditi della società Pe. Service s.r.l., che gli aveva fornito servizi per lo svolgimento dell’attività professionale, essendo stata ravvisata una situazione di interposizione fittizia del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37, comma 3.

2. La Commissione tributaria regionale del Lazio, rigettando il gravame, rilevava, preliminarmente, l’inammissibilità del motivo con il quale era stato dedotto il difetto di sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte di funzionario non legittimato, trattandosi di censura non proposta in primo grado; riteneva, inoltre, immune da vizi la sentenza di primo grado laddove aveva considerato l’avviso di accertamento adeguatamente supportato da tutti gli elementi esposti nella segnalazione dell’Agenzia delle entrate, che consentivano di ricostruire l’intento elusivo adoperato dal professionista per comprimere il suo reddito imponibile, affermando che la circostanza che la Pe. Service s.r.l. fosse stata costituita circa due anni prima dell’inizio dell’attività professionale non potesse superare i numerosi elementi presuntivi offerti dall’Ufficio.

Disattendeva anche la dedotta violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, sottolineando che il contraddittorio richiesto dalla legge mediante l’invio del processo verbale di constatazione al contribuente si riferiva esclusivamente ad accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività.

Confermava l’avviso di accertamento anche con riguardo al ricalcolo del reddito, ponendo in rilievo che l’Agenzia delle entrate l’aveva conteggiato considerando metà dei redditi dichiarati dalla società nell’esercizio 2007-2008 e metà dei redditi dichiarati nell’esercizio 20082009, portando poi tale importo, come margine operativo societario, a confluire nei redditi 2008 del professionista.

3. Ricorre per la cassazione della suddetta decisione P.G., con tre motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 380-bis.1. c.p.c..

L’Agenzia delle entrate resiste mediante controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 1 e 3, nella parte in cui i giudici di appello hanno dichiarato l’inammissibilità del motivo concernente la invalidità dell’avviso di accertamento per mancanza di sottoscrizione o di valida delega.

Riportando quanto eccepito nell’atto di appello, sostiene che, in difetto della sottoscrizione, che costituisce elemento essenziale, l’atto è affetto da nullità insanabile, rilevabile anche di ufficio dal giudice tributario.

1.1. Il motivo è infondato e non va accolto.

1.2. Va, in primo luogo, ribadito che, anche qualora mancasse effettivamente la sottoscrizione, tale vizio non potrebbe determinare un’ipotesi di inesistenza dell’atto impugnato, in quanto i vizi che afferiscono alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento possono inficiare la sua validità, comportandone la nullità, ma non la sua inesistenza giuridica.

Peraltro, nel processo tributario, la nullità dell’avviso di accertamento non è rilevabile d’ufficio e la relativa eccezione, se non formulata nel giudizio di primo grado, non è ammissibile qualora venga proposta nelle successive fasi del giudizio (Cass., sez. 5, 5/05/2010, n. 10802; Cass., sez. 5, 24/06/2016, n. 13126; Cass., sez. 5, 13/01/2017, n. 706).

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che “alla sanzione della nullità comminata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3, all’avviso di accertamento privo di sottoscrizione non è direttamente applicabile il regime normativo di diritto sostanziale e processuale dei vizi di nullità dell’atto amministrativo – che hanno trovato riconoscimento positivo nella L. n. 241 del 1990, art. 21-septies e sistemazione processuale nel D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 31, comma 4, (CPA) nell’autonoma azione di accertamento della nullità sottoposta a termine di decadenza, e nella attribuzione del potere di rilevazione ex officio da parte del Giudice amministrativo – atteso che l’ordinamento tributario costituisce un sottosistema del diritto amministrativo, con il quale è in rapporto di species ad genus, potendo pertanto trovare applicazione le norme generali sugli atti del procedimento amministrativo soltanto nei limiti in cui non siano derogate e non risultino incompatibili con le norme speciali di diritto tributario che disciplinano gli atti del procedimento impositivo, ostando alla generale estensione del regime normativo di diritto amministrativo la scelta operata dal legislatore, nella sua piena discrezionalità politica, nella categoria unitaria della “nullità tributaria” indifferentemente tutti i vizi ritenuti tali da inficiare la validità dell’atto tributario, riconducendoli, indipendentemente dalla peculiare natura di ciascuno, nello schema della invalidità – annullabilità, dovendo essere gli stessi tempestivamente fatti valere dal contribuente mediante impugnazione da proporsi, con ricorso, entro il termine di decadenza di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, in difetto del quale il provvedimento tributario – pure se affetto dal vizio di nullità – si consolida, divenendo definitivo e legittimando l’Amministrazione finanziaria alla riscossione coattiva dell’imposta” (Cass., sez. 5, 9/11/2015, n. 22803).

Di conseguenza si pone in conflitto con il sistema normativo tributario l’affermazione secondo cui, in difetto di tempestiva impugnazione dell’atto impositivo affetto da nullità, tale vizio possa comunque essere fatto valere per la prima volta dal contribuente con l’impugnazione dell’atto consequenziale, oppure che, emergendo dagli atti processuali, possa comunque essere rilevato d’ufficio dal giudice tributario, in difetto di norma di legge che attribuisca espressamente tale potere (Cass., sez. 3, 18/09/2015, n. 18488).

Poichè, nel caso di specie, la Commissione regionale ha rilevato che il vizio è stato dedotto per la prima volta in grado di appello, in conformità ai principi sopra richiamati ha correttamente ritenuto inammissibile la censura tardivamente proposta.

2. Con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24,97 Cost., artt. 41,47 e 48 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere i giudici regionali respinto le eccezioni di difetto di contraddittorio preventivo e di inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni dalla chiusura delle indagini per l’emanazione dell’avviso di accertamento.

Trascrivendo uno stralcio dell’atto di appello e richiamando pronunce di questa Corte e sentenze di merito, reitera le medesime eccezioni, sottolineando l’importanza che assume il confronto preventivo con il contribuente nelle ipotesi delle verifiche a tavolino, dove il contribuente si potrebbe trovare di fronte ad un accertamento senza avere avuto la benchè minima possibilità di manifestare il proprio punta di vista.

2.1. Anche il secondo motivo è infondato.

2.2. Risulta pacifico che, nella fattispecie che ci occupa, l’Amministrazione finanziaria ha svolto un accertamento cd a tavolino, senza procedere ad accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio dell’attività professionale, che è il presupposto applicativo del disposto di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12 (Cass., Sez. U, 9/12/2015, n. 24823; Cass., Sez. U, 29/07/2013, n. 18184; Cass., sez. 5, 12/02/2014, n. 3142; Cass., sez. 6-5, 13/06/2014, n. 13588; Cass., sez. 65, 8/02/2017, n. 3408; Cass., sez. 6-5, 27/07/2018, n. 20036).

La statuizione impugnata aderisce, quindi, ai principi

giurisprudenziali, di derivazione anche unionale, in materia di contraddittorio endoprocedimentale, secondo cui per i tributi “non armonizzati” non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un generalizzato obbligo di contraddittorio nella fase amministrativa, sussistente solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito, così come non sussiste per gli accertamenti condotti “a tavolino”, mentre per i tributi “armonizzati” grava sul contribuente, in ipotesi di violazione del contraddittorio, l’onere di indicare in concreto le ragioni che avrebbe potuto valere nella fase amministrativa (Cass., Sez. U, 9/12/2015, n. 24823; Cass., sez. 6-5, 14/03/2018, n. 6219).

2.3. Correttamente, inoltre, la Commissione regionale ha escluso l’obbligo del rispetto da parte dell’Ufficio del termine di 60 gg. tra il rilascio del verbale di chiusura delle operazioni e l’emissione dell’avviso di accertamento di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, considerato che le garanzie previste da quest’ultima disposizione trovano applicazione solo al processo verbale di constatazione redatto a chiusura di operazioni di verifica condotte dagli organi dell’Amministrazione finanziaria nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali o professionali, ma non anche nel caso della tipologia di controlli cd. “a tavolino”, quali quello sottostante all’avviso di accertamento in esame (Cass., sez. 6-5, 2/05/2016, n. 8628; Cass., sez. 6-5, 29/10/2018, n. 27420).

3. Con il terzo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 e art. 2697 c.c., censura la decisione impugnata nella parte in cui la C.T.R. conferma l’avviso di accertamento impugnato, ritenendo sussistente la contestata interposizione fittizia.

Trascrivendo le argomentazioni difensive svolte in primo ed in secondo grado, lamenta che esse non sono state prese in considerazione dai giudici di appello, il cui convincimento si è risolto in una semplice adesione a quanto già deciso dai giudici di primo grado ed in una superficiale valutazione degli elementi di prova offerti.

4. Il motivo è inammissibile, in quanto tende a sollecitare una rivisitazione del merito della controversia, precluso alla Corte di legittimità.

Dall’illustrazione del mezzo in esame emerge chiaramente che il contribuente contesta integralmente il convincimento che il giudice di merito si è formato, in esito all’esame delle deduzioni difensive svolte dalle parti e del materiale probatorio acquisito, e sostiene che le argomentazioni su cui poggia la sentenza impugnata sono semplicistiche e non tengono conto dei numerosi e concorrenti elementi proposti che avrebbero dovuto condurre i giudici di merito ad una diversa soluzione della controversia.

Al riguardo, questo Collegio non può esimersi dal rilevare che i giudici di merito hanno preso in considerazione tutti gli elementi probatori offerti, addivenendo al convincimento che la contestazione mossa dall’Amministrazione finanziaria fosse fondata su presunzioni gravi, precise e concordanti, analiticamente indicate nella segnalazione dell’Agenzia delle entrate, quali la remunerazione dei servizi della società oltre i valori di normalità del mercato, il basso contenuto specialistico dei servizi, che il professionista avrebbe potuto acquisire direttamente, risparmiando sui costi, la operatività della società esclusivamente nei confronti del notaio, la compagine sociale della Pebros Service s.r.l., il cui unico socio era il coniuge del ricorrente e amministratore unico il padre del notaio, e ancora la vantaggiosità fiscale dell’interposizione che aveva consentito al professionista, attraverso la sovrafatturazione dei costi deducibili, di ottenere una consistente riduzione dell’imponibile, con conseguente risparmio di imposta.

La Commissione regionale, al contempo, ha escluso che a sovvertire i numerosi elementi presuntivi addotti dall’Ufficio potesse valere la circostanza che la Pe. Service s.r.l. fosse stata costituita due anni prima che il contribuente si iscrivesse all’albo professionale e prendesse partita I.V.A., risultando dal registro delle imprese che la società si era iscritta nella sezione ordinaria soltanto il 19 febbraio 1996, che P.G. aveva assunto la qualifica di socio accomandante a decorrere dal mese di agosto 1996 e che, successivamente, la moglie del notaio era divenuta socio unico ed amministratore unico.

Peraltro, anche qualora si volessero qualificare le censure come denuncia di un vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nuovo testo, applicabile al caso di specie, il motivo non potrebbe sottrarsi alla declaratoria di inammissibilità per difetto del requisito ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in mancanza di puntuali argomenti a supporto delle critiche rivolte alla decisione impugnata, essendosi il ricorrente limitato a riproporre le medesime censure contenute nel ricorso introduttivo e nel successivo atto di appello, trascrivendone il relativo contenuto, già vagliate dai giudici di secondo grado, omettendo tuttavia di evidenziare quale “fatto storico” controverso, oggetto di discussione tra le parti, decisivo ai fini di una diversa decisione, sarebbe stato pretermesso dai giudici di secondo grado.

L’apprezzamento svolto dai giudici regionali risulta, dunque, esaustivo, rispettoso dei criteri di ripartizione dell’onere della prova ed in linea con la giurisprudenza di questa Corte in materia di interposizione fittizia del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 37, comma 3, risultando le doglianze del ricorrente tutte volte ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni dei fatti espresse dal giudice di appello, non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenere la sostituzione con altre più consone alle proprie prospettive.

5. Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono i criteri della soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

 

 

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