Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1897 del 28/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 28/01/2020), n.1897

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29178-2018 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

ASSOCIAZIONE DEI MERCANTI DELL’OBLIO ITALIA 90;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2044/11/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 06/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

ANTONIO FRANCESCO.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 6 marzo 2018 la Commissione tributaria regionale della Campania, in accoglimento dell’appello proposto dall’Associazione dei mercanti dell’oblio Italia 90 avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Napoli, annullava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Napoli II – recuperava a tassazione, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e art. 39, comma 2, maggiori imposte IRES, IRAP ed IVA in relazione all’anno 2010. Riteneva la CTR che dalle risultanze documentali emergesse la natura non commerciale dell’attività svolta dall’ente.

Avverso la suddetta sentenza, con atto del 4/10 ottobre 2018, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

La contribuente non ha svolto difese.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con unico mezzo l’Agenzia delle entrate denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente, in violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 111 Cost e art. 118 disp. att. c.p.c..

Il ricorso è infondato.

Va rammentato che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata (cfr. Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017).

Consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi”.

Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., n. 22232 del 2016, conf. Cass. n. 14927 del 2017).

Va altresì rammentato che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014).

Tanto premesso, ritiene il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata non rientri nei paradigmi negativi individuati nei menzionati arresti giurisprudenziali.

La CTR, infatti, è pervenuta all’accoglimento dell’appello sulla base della documentazione prodotta dalla contribuente, ritenuta ammissibile – contrariamente a quanto asserito dal primo giudice – in quanto non esibita in sede di contraddittorio endoprocedimentale per causa alla stessa non imputabile, essendo la documentazione sottoposta a sequestro penale. Il giudice tributario di appello ha rilevato che dall’esame di tale documentazione risultava la sostanziale aderenza dei dati bancari all’attività di gestione ordinaria dell’associazione, restando così smentita la natura commerciale dell’ente per come prospettata dall’Ufficio.

Il ricorso va dunque rigettato.

Stante l’assenza di attività difensiva dell’intimata, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio.

Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 28 gennaio 2020

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