Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18969 del 16/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/07/2019, (ud. 09/04/2019, dep. 16/07/2019), n.18969

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25912-2(117 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PREMUDA, 6,

presso lo studio dell’avvocato IVAN MARRAPODI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIULIANA BARBERI;

– ricorrente –

contro

CA.RO., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE MORABITO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 215/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il (13/04/2017);

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del 3 aprile 2017, n. 215, la Corte d’Appello di Reggio Calabria dichiarò l’efficacia nella Repubblica Italiana della sentenza del Tribunale ecclesiastico regionale calabro del 5 luglio 2013, ratificata dal Tribunale ecclesiastico regionale campano di appello e munita del decreto di esecutività della Segnatura Apostolica, dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario contratto fra Ca.Ro. e C.F. per grave difetto di discrezione, da parte di entrambi i coniugi, circa i diritti e doveri matrimoniali.

1.1. A sostegno della decisione, quella corte rilevò, per quanto qui di residuo interesse, che: i) sussisteva la competenza del tribunale ecclesiastico che aveva emesso la sentenza da delibare a conoscere la corrispondente controversia; ii) alle parti era stato assicurato, davanti al menzionato tribunale, il diritto di agire e resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell’ordinamento italiano; iii) la sentenza predetta non era contraria ad altra precedente pronuncia tra le parti resa dal giudice italiano e passata in giudicato, nè tra le stesse risultava pendente altro procedimento con il medesimo oggetto; iv) le disposizioni della medesima sentenza non producevano effetti contrari all’ordine pubblico; che il tribunale ecclesiastico aveva effettuato una c.t.u. da cui era emerso il vizio invocato per l’annullamento del matrimonio.

2. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la C., affidato ad un unico motivo, cui ha resistito, con controricorso, il Ca..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Nel motivo di ricorso viene dedotta la “violazione di legge in relazione all’interpretazione ed applicazione dei principi che regolano l’onere e la valutazione della prova, le presunzioni semplici, gli argomenti di prova, i poteri istruttori officiosi del giudice ed il giusto processo (artt. 2087,1218,2729, e 2697 c.c.; artt. 111,115,116 e 132 c.p.c.), perchè la sentenza si era limitata a confermare pedissequamente le statuizioni del tribunale ecclesiastico con riferimento alla rilevanza e concludenza della prova svolta in tali sedi per delibare la sentenza di annullamento” (c/”. pag. 3 del ricorso), non tenendo, invece, “in alcun conto la circostanza, evidente agli atti di causa, che i coniugi hanno convissuto per ben sette anni prima clic intervenisse il giudizio di annullamento” (cfr. pag. 4 del ricorso).

2. La descritta doglianza, che sostanzialmente ascrive alla corte distrettuale di non aver applicato il principio di salvaguardia della validità del vincolo coniugale fatto proprio dalla più recente giurisprudenza di legittimità, non merita accoglimento.

2.1. Invero, la sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze nn. 16379 e 16380 del 2014, hanno precisato clic la convivenza come coniugi quale situazione giuridica d’ordine pubblico ostativa alla dichiarazione di efficacia nella Repubblica Italiana delle sentenze definitive di nullità di matrimonio pronunciate dai tribunali ecclesiastici, ed in guanto connotata da una “complessità fattuale” strettamente connessa all’esercizio di diritti, all’adempimento di doveri ed all’assunzione di responsabilità personalissimi di ciascuno dei coniugi, deve qualificarsi siccome eccezione in senso stretto (exceptio juris), inoperante in presenza di domanda di delibazione presentata congiuntamente dalle parti ed esclusivamente opponibile da un coniuge alla domanda di delibazione proposta dall’altro coniuge; tale eccezione può, quindi, essere sollevata, a pena di decadenza, solo nella comparsa di risposta dal coniuge convenuto nel giudizio di delibazione interessato a farla valere, il quale ha l’onere sia di allegare fatti e comportamenti dei coniugi specifici e rilevanti idonei ad integrare detta situazione giuridica d’ordine pubblico, sia di dimostrarne la sussistenza in caso di contestazione mediante la deduzione di pertinenti mezzi di prova anche presuntiva.

2.2. La natura di eccezione in senso stretto riconosciuta ad una simile difesa è stata successivamente ribadita, tra le altre, da Cass. n. 18695 del 21115, secondo cui si tratta di eccezione non rilevabile d’ufficio, nè opponibile dal coniuge, per la prima volta, nel giudizio di legittimità, e, ancora più recentemente, da Cass. n. 24729 del 2018, che, tra l’altro, ha escluso la necessita di dover nuovamente investire le Sezioni Unite in ordine alla qualificazione di detta eccezione.

2.3. Da tali pronunce, che il Collegio condivide, discende, dunque, che è a carico della parte che rappresenti, in via di eccezione, la sussistenza della suddetta condizione ostativa al recepimento della sentenza canonica il correlativo onere di tempestiva allegazione dei relativi fatti, oltre che della loro prova.

2.4. Nell’odierna vicenda processuale non risulta che la C. abbia tempestivamente eccepito la prolungata convivenza coniugale come causa ostativa al riconoscimento della sentenza canonica: nulla, infatti, si rinviene, in proposito, nella decisione oggi impugnata, nè l’odierna ricorrente, come sarebbe stato suo preciso onere ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e ex art. 369 c.p.c., n. 4, ha indicato quando, nel procedimento svoltosi innanzi alla corte distrettuale, avrebbe allegato, ancor prima che provato, i tatti specifici ed i comportamenti dei coniugi, successivi alla celebrazione del matrimonio, sui quali l’eccezione medesima doveva fondarsi, anche mediante la puntuale indicazione di atti del processo canonico e di pertinenti elementi già emergenti dalla sentenza delibanda.

3. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, restando le spese del giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, altresì rilevandosi che, dagli atti, il processo non risulta esente dal contributo unificato, sicchè trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

4. Va, disposta, da ultimo, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la C. al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dal Ca., liquidate in Euro 3.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del raddoppio del contributo ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 luglio 2019

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