Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18968 del 31/08/2010

Cassazione civile sez. lav., 31/08/2010, (ud. 30/06/2010, dep. 31/08/2010), n.18968

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – INPS, elettivamente

domiciliato in Roma, via della Frezza n. 17, presso l’Avvocatura

centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

Alessandro, Nicola Valente e Clementina Pulli per procura rilasciata

in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

A.S.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 587/2008 della Corte d’appello di Messina,

depositata il 4/7/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30.06.2010 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

PATRONE Ignazio.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

A.S. si rivolse al giudice del lavoro di Patti per ottenere, a far data dal raggiungimento del requisito di eta’, la trasformazione della pensione di invalidita’ – in godimento in base al R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636 (e quindi antecedente alla L. 12 giugno 1984, n. 222) – in pensione di vecchiaia, ai sensi della detta L. n. 222, art. 1, comma 10.

Accolta la domanda e proposto appello dall’INPS, la Corte di appello di Messina con sentenza pubblicata il 4.07.08 rigettava l’impugnazione, rilevando che sussisteva il diritto al mutamento della pensione di invalidita’ in pensione di vecchiaia, in presenza dei prescritti requisiti anagrafici e contributivi, non esistendo nell’ordinamento previdenziale un principio ostativo in tal senso.

Pertanto, facendo applicazione della L. n. 222, art. 1, comma 10 riteneva i periodi di godimento della pensione di invalidita’, nei quali non era stata prestata attivita’ lavorativa, utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia (e non dell’importo della stessa), riconoscendo altresi’ un importo della pensione di vecchiaia non inferiore a quello della pensione di invalidita’ in godimento.

Proponeva ricorso l’INPS, deducendo:

1.- violazione del R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10, della L. n. 222 del 1984, art. 1, commi 6 e 10, rilevando che la disciplina della pensione di invalidita’ non consente l’accredito di contributi figurativi per il periodo di fruizione di tale pensione e che a tale conclusione non puo’ pervenirsi in virtu’ di interpretazione estensiva o analogica della disciplina dell’assegno ordinario di invalidita’ di cui alla L. n. 222, art. 1;

2.- violazione della L. n. 222, art. 1, comma 10, del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 8 in quanto, per l’inapplicabilita’ in via analogica dell’art. 1, comma 10 (per il quale l’importo della pensione rimane invariato solo nel caso di trasformazione dell’assegno ordinario di invalidita’ in pensione di vecchiaia), in mancanza di espressa previsione legislativa non puo’ riconoscersi che il diritto ad ottenere la trasformazione in pensione di vecchiaia implichi anche il diritto a conservare l’eventuale trattamento economico piu’ favorevole della pensione di invalidita’ concessa ex R.D.L. n. 636 del 1939.

Non svolgeva attivita’ difensiva l’intimata.

Il consigliere relatore ha depositato relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che e’ stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori costituiti.

Il ricorso e’ fondato.

La L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1, comma 10 prevede che “Al compimento dell’eta’ stabilita per il diritto a pensione di vecchiaia, l’assegno di’ invalidita’ si trasforma, in presenza dei requisiti di assicurazione e contribuzione, in pensione di vecchiaia.

A tal fine i periodi di godimento dell’assegno nei quali non sia stata prestata attivita’ lavorativa, si considerano utili ai fini del diritto e non anche della misura della pensione stessa. L’importo della pensione non potra’, comunque, essere inferiore a quello dell’assegno d’invalidita’ in godimento al compimento dell’eta’ pensionabile”.

Il giudice di merito, partendo dal presupposto che deve affermarsi il diritto al mutamento della pensione di invalidita’ in pensione di vecchiaia, in presenza dei prescritti requisiti anagrafici e contributivi, non esistendo nell’ordinamento previdenziale un principio ostativo in tal senso, ha fatto applicazione di detto art. 1, comma 10, ed e’ pervenuto a due conclusioni: a) i periodi di godimento della pensione di invalidita’ nei quali non sia stata prestata attivita’ lavorativa sono utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia (e non dell’importo della stessa); b) la pensione di vecchiaia deve essere in tal caso di importo non inferiore a quello della pensione di invalidita’ in godimento.

Circa l’applicabilita’ alla fattispecie in esame — in cui si chiede la trasformazione della pensione di invalidita’ concessa ex R.D.L. 1939 in pensione di vecchiaia — della norma in questione, la giurisprudenza della Corte di cassazione, correggendo un precedente favorevole orientamento (Cass. 7.2.08 n. 2875), ha affermato che “la trasformazione della pensione di invalidita’ in pensione di vecchiaia al compimento dell’eta’ pensionabile e’ possibile ove di tale ultima pensione sussistano i requisiti propri anagrafico e contributivo, non potendo essere utilizzato, ai fini di incrementare l’anzianita’ contributiva, il periodo di godimento della pensione di invalidita’.

Infatti,” prosegue la Corte, “deve escludersi la possibilita’ di applicare alla pensione di invalidita’ la diversa regola prevista dalla L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10 in riferimento all’assegno di invalidita’ — secondo cui i periodi di godimento di detto assegno nei quali non sia stata prestata attivita’ lavorativa si considerano utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia — giacche’ ostano a siffatta operazione ermeneutica la mancanza di ogni previsione, nella normativa sulla pensione di invalidita’, della utilizzazione del periodo di godimento ai fini dell’incremento dell’anzianita’ contributiva, il carattere eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento previdenziale attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di prestazione di attivita’ lavorativa e di versamento di contributi, nonche’ le differenze esistenti tra la disciplina sulla pensione di invalidita’ e quella sull’assegno di invalidita’, la’ dove quest’ultimo, segnatamente, e’ sottoposto a condizioni piu’ rigorose, anche e soprattutto rispetto al trattamento dei superstiti” (Cass. 7.7.08 n. 18580, ribadita da Cass. 6.10.09 n. 21292; piu’ in generale si veda Cass., S.u., 19.5.04 n. 9492, la quale afferma il principio generale che e’ consentita la conversione della pensione di’ invalidita’ in pensione di vecchiaia solo nel caso che di questa siano maturati tutti i requisiti anagrafici e contributivi).

Deve, dunque, ritenersi che erroneamente il giudice di merito abbia esteso al titolare di pensione di invalidita’ ottenuta nel regime antecedente, in base al R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, il beneficio contributivo previsto dalla L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10 per i titolari dell’assegno di invalidita’.

Consegue anche l’erroneita’ dell’affermazione che in caso di trasformazione, l’importo della pensione di vecchiaia non puo’ essere minore di quello della pensione di invalidita’, trattandosi anche in questo caso di previsione valida solo nel regime della trasformazione della prestazione da assegno ordinario di invalidita’ concesso L. n. 222, ex art. 1, comma 10 e segg. in pensione di vecchiaia.

I due motivi sono dunque fondati e il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Non facendosi questione di spettanza della trasformazione del titolo pensionistico per ragioni diverse da quelle sopra indicate, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, puo’ provvedersi nel merito con il rigetto della domanda.

Sussistono giusti motivi, costituiti dalla sovrapposizione temporale dei principi giurisprudenziali, per procedere alle compensazione delle spese per l’intero giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, provvedendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa le spese dell’intero giudizio tra le parti.

Cosi’ deciso in Roma, il 30 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2010

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