Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18967 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. I, 11/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 11/09/2020), n.18967

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7580/2019 proposto da:

B.R.E. Jr, rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Cristina

Romano;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 26/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Cons. Dott. DE MARZO GIUSEPPE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato il 26 gennaio 2019, il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso proposto da B.R.E. jr, cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che il richiedente non appariva credibile, per il carattere generico e sommario del racconto, l’assenza di elementi di dettaglio, la presenza di aspetti di implausibilità e di incoerenza; b) che, in particolare, era rimasta privi di profili di specificità la vicenda che avrebbe indotto il ricorrente a lasciare il proprio Paese, a seguito degli scontri tra la polizia e i conducenti di moto-taxi, tra i quali era incluso il primo; c) che profili di implausibilità e incoerenza emergevano anche in relazione al racconto della conflittualità con lo zio; d) che, pertanto, doveva essere esclusa l’esistenza dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria; b) che, quanto alla protezione umanitaria, il richiedente non aveva allegato fatti diversi da quelli posti a fondamento della domanda di protezione internazionale e non aveva dimostrato uno stabile radicamento in Libia, che aveva rappresentato un mero Paese di transito; c) che, da un lato, le esperienze anche lavorative italiane non andavano oltre quelle svolte nell’ambito dell’accoglienza (e comunque non garantivano condizioni di vita dignitose), e, dall’altro, il richiedente poteva contare in (OMISSIS) sull’appoggio della madre e sulla possibilità di mettere a frutto le competenze conseguite in Italia.

3. Avverso tale decreto nell’interesse del soccombente è stato proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Il Ministero intimato si è limitato a depositare atto di costituzione, ai fini della partecipazione ad un’eventuale udienza di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa fatti decisivi, costituiti, per un verso, dal fatto che egli era ricercato dalle autorità del suo Paese per essere uno degli ideatori della protesta sfociata negli scontri dei quali s’è detto; e, per altro verso, dalla necessità di sottoporsi ad intervento chirurgico in Italia.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1, 2, 3 e 5 con riguardo alla valutazione di non credibilità del ricorrente, peraltro espressa senza procedere ad una nuova audizione del richiedente e senza tener conto dei rischi connessi al rientro in (OMISSIS) dove era stato sottoposto a violenza anche da parte dello zio e dei traumi subiti in Libia.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis in combinato disposto con l’art. 46, par. 3 della direttiva 2013/32 Ue e dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonchè del dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, commi 3 e 3 bis per non avere il Tribunale rinnovato l’audizione del ricorrente, nonostante il fatto che, in sede di ricorso al giudice di merito, fosse stato sottolineato lo scarso approfondimento delle vicende personali dedotte.

4 Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 e del D.Lgs. n. 296 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 per non avere adeguatamente valutato la condizione di vulnerabilità del ricorrente, tenendo conto del livello di integrazione raggiunto in Italia, dei rischi correlati al rimpatrio nel Paese di transito, della necessità di proseguire le cure mediche intraprese in Italia.

5. Con il quinto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo con riguardo alla vulnerabilità derivante dalla documentata necessità di cure mediche, dalla torture subite in Patria, dalla generalizzata instabilità e povertà del Paese di provenienza.

6. I cinque motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione.

Essi sono fondati, per l’assorbente ragione che l’esame delle risultanze probatorie non è stato condotto in modo conforme alle risultanze di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, attraverso l’esercizio del potere officioso d’ufficio, sia con riguardo alla documentazione attestante la partecipazione del ricorrente alle proteste sopra ricordate, sia con riferimento alle violenze sofferte ad opera dello zio, quando il primo era ancora minorenne.

Questa Corte, con l’ordinanza 11 marzo 2020, n. 6879, ha puntualizzato che la riduzione in stato di schiavitù derivante da soggetti non statuali configura una situazione di minaccia di danno grave alla persona o di persecuzione, rilevante ai fini del riconoscimento dello “status” di rifugiato, che impone al giudice di verificare in concreto se lo stato di origine sia in grado di offrire alla persona minacciata adeguata protezione.

D’altra parte, in tema di protezione internazionale dello straniero, in virtù degli artt. 3 e 60 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, anche gli atti di violenza domestica sono riconducibili all’ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sicchè è onere del giudice verificare in concreto se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un “soggetto non statuale”, ai sensi dell’art. 5, lett. c) Decreto citato, lo Stato di origine sia in grado di offrire all’individuo adeguata protezione (Cass. 17 maggio 2017, n. 12333).

In tale contesto sostanziale, si situa la puntualizzazione di Cass. 20 gennaio 2020, n. 1104, secondo cui, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ove sia ritenuta credibile la situazione di particolare o eccezionale vulnerabilità esposta dalla richiedente, il confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto nel nostro Paese e la situazione oggettiva del Paese di origine deve essere effettuato secondo il principio di “comparazione attenuata”, nel senso che quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis, non potendo, in particolare, escludersi il rilievo preminente della gravità della condizione accertata solo perchè determinatasi durante la permanenza nel Paese di transito (a proposito del quale, si vedano le importanti precisazioni di Cass. 14 novembre 2019, n. 29603).

A ciò deve aggiungersi che, quanto alla protezione umanitaria, del pari, è rimasta completamente trascurata la documentazione medica.

Al contrario, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in materia di concessione della protezione umanitaria, il giudice deve valutare la possibilità per il richiedente, in caso di rimpatrio, di essere posto in condizione di usufruire del godimento dei diritti fondamentali in relazione sia alle condizioni di vita del Paese di provenienza, sia alle limitazioni derivanti dalla malattia da cui è affetto (Cass. Sez. Un. 13 novembre 2019, n. 29459; Cass. 16 dicembre 2019, n. 33187).

In conclusione, il ricorso va accolto, con cassazione del decreto impugnato e rinvio al Tribunale di Milano in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

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