Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18962 del 31/08/2010
Cassazione civile sez. lav., 31/08/2010, (ud. 28/05/2010, dep. 31/08/2010), n.18962
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –
Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –
Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE in persona del
Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA
CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO
ALESSANDRO, CLEMENTINA PULLI, VALENTE NICOLA, giusta procura speciale
in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 574/2008 della CORTE D’APPELLO di MESSINA
dell’8.5.08, depositata il 30/06/2008;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
28/05/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA LA TERZA;
e’ presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO
IANNELLI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Letta la sentenza con cui la Corte d’appello di Messina, confermando la statuizione di primo grado, dichiarava il diritto di M. G. alla trasformazione – dalla data della domanda – della pensione di invalidita’ di cui alla L. del 1939 in pensione di vecchiaia; La Corte territoriale rigettava l’eccezione dell’Inps della mancanza di contribuzione per il diritto a pensione di vecchiaia, affermando che i periodi di godimento della pensione di invalidita’ erano utili ai fini del diritto alla maturazione della pensione di vecchiaia L. n. 222 del 1984, ex art. 1, comma 10;
soggiungeva la Corte che vi era comunque salvezza del trattamento previdenziale piu’ favorevole;
Letto il ricorso dell’Inps e la relazione resa ex art. 380 bis cod. proc. civ. di manifesta fondatezza del ricorso;
Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili, essendosi gia’ affermato (Cass. n. 18580 del 07/07/2008, n. 21292 del 06/10/2009) che “La trasformazione della pensione di invalidita’ in pensione di vecchiaia al compimento dell’eta’ pensionabile e’ possibile ove di tale ultima pensione sussistano i requisiti propri anagrafico e contributivo, non potendo essere utilizzato, ai fini di incrementare l’anzianita’ contributiva, il periodo di godimento della pensione di invalidita’. Infatti, deve escludersi la possibilita’ di applicare alla pensione di invalidita’ la diversa regola prevista dalla L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10 in riferimento all’assegno di invalidita’ – secondo cui i periodi di godimento di detto assegno nei quali non sia stata prestata attivita’ lavorativa si considerano utili ai fini del diritto alla pensione di vecchiaia – giacche’ ostano a siffatta operazione ermeneutica la mancanza di ogni previsione, nella normativa sulla pensione di invalidita’, della utilizzazione del periodo di godimento ai fini dell’incremento dell’anzianita’ contributiva, il carattere eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento previdenziale attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di prestazione di attivita’ lavorativa e di versamento di contributi, nonche’ le differenze esistenti tra la disciplina sulla pensione di invalidita’ e quella sull’assegno di invalidita’, la’ dove quest’ultimo, segnatamente, e’ sottoposto a condizioni piu’ rigorose, anche e soprattutto rispetto al trattamento dei superstiti.”.
2. Ritenuto che va ulteriormente precisato che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, non esiste la regola del mantenimento del trattamento previdenziale piu’ favorevole – per cui la pensione di vecchiaia, avente origine dalla trasformazione non puo’ essere di importo inferiore rispetto a quello di cui alla pensione di invalidita’ gia’ in godimento – perche’ detta regola e’ stata dettata dalla L. n. 222 del 1984 (art. 1, comma 10) solo per il caso di trasformazione dell’assegno di invalidita’ in pensione di vecchiaia, mentre nulla e’ previsto per la pensione di invalidita’ di cui alla L. del 1939.
Invero, e’ gia’ stato chiarito (Cass. 18580/2008) che la applicazione alla pensione di invalidita’ delle stesse regole previste per l’assegno dalla L. n. 222 del 1984, appare da escludere considerando le profonde differenze che corrono tra le due prestazioni e che ne giustificano la diversa disciplina, essendo la prima molto piu’ favorevole rispetto alla seconda: in primo luogo cambiano le condizioni relative alla misura dello stato invalidante, giacche’ la riduzione della capacita’ di “guadagno” prevista per la pensione investiva un ambito di operativita’ piu’ ampio rispetto alla riduzione della capacita’ di “lavoro” prevista per l’assegno; inoltre la pensione di invalidita’ era prestazione a carattere definitivo, soggetta solo a revoca per riacquisto della capacita’ di guadagno (R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10), mentre l’assegno ha durata triennale, confermabile su domanda dell’interessato; inoltre la pensione e’ integrabile al minimo, mentre l’assegno non lo e’ nella stessa misura; piu’ oneroso e’ il requisito contributivo, poiche’, se per entrambi e’ previsto il quinquennio di contribuzione, per l’assegno sono necessari tre anni di contribuzione nell’ultimo quinquennio (L. n. 222 del 1984, art 4), mentre per la pensione era sufficiente un solo anno.(L. n. 1272 del 1939, art. 9, n. 2, lett. b); inoltre, vi e’ una ulteriore peculiarita’ che giustifica la diversita’ di disciplina, e cioe’ che la pensione di invalidita’ era reversibile ai superstiti, mentre l’assegno non lo e’. Inoltre la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 18 del 1998 ha affermato che “…nessun principio costituzionale – ne’ del resto, la disciplina previdenziale nel suo complesso – accordano tutela alla pretesa dell’assicurato al trattamento pensionistico complessivo piu’ favorevole”.
Ritenuto che pertanto il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altro giudice che si designa nella Corte d’appello di Messina in diversa composizione, la quale decidera’ la causa attenendosi ai principi sopra enunciati e provvedera’ anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione.
Cosi’ deciso in Roma, il 28 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2010