Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18962 del 16/09/2011

Cassazione civile sez. I, 16/09/2011, (ud. 07/04/2011, dep. 16/09/2011), n.18962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

DITTA F.LLI LOMBARDI S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA (C.F.

(OMISSIS)), in persona dei Commissari Liquidatori pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso l’avvocato

ROMANELLI GUIDO FRANCESCO, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CAVALLINI FRANCOLINI MARCO, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO TRENTINO PER LA EDILIZIA ABITATIVA I.T.E.A., in persona del

Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIULIO

CESARE 14, presso l’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato STENICO LORENZO, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 803/2005 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 14/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2011 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato LUDOVICA FRANZIN, con delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato GABRIELE PAFUNDI che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Istituto Trentino per l’edilizia abitativa (in seguito, per brevità, Istituto o ITEA), con ricorso L. Fall., ex art. 101 proposto dinanzi al Tribunale di Brescia, chiese l’ammissione tardiva allo stato passivo della procedura di Amministrazione Straordinaria della F.lli Lombardi s.p.a. del credito di L. 1.317.894.344, vantato a titolo di risarcimento del danno subito a causa dell’inadempimento della società decotta al contratto pubblico d’appalto del 1.1.89, avente ad oggetto l’esecuzione in favore di esso committente di lavori di ristrutturazione e di ampliamento di un edificio scolastico.

A sostegno della domanda l’Istituto dedusse: di aver rescisso il contratto, ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 340; di aver quindi affidato, previo espletamento di una seconda gara d’appalto, l’esecuzione dei lavori alla Gambogi Costruzioni s.p.a.; di aver quantificato il danno in misura pari alla differenza fra il maggior corrispettivo dovuto alla nuova appaltatrice e quello pattuito con la F.lli Lombardi.

Il Tribunale adito, con sentenza del 29.3.02 – premesso che il ricorrente era stato già ammesso in via tempestiva allo stato passivo dell’A.S. in relazione al credito restitutorio (derivante dalle anticipazioni eseguite in favore della F.lli Lombardi) sorto a seguito dell’avvenuta rescissione del contratto, e rilevato che la domanda tardiva era fondata sui medesimi fatti costitutivi – in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’A.S. all’atto della sua costituzione in giudizio, dichiarò inammissibile la domanda, affermando che nella fattispecie trovava applicazione il principio giurisprudenziale secondo cui il provvedimento del giudice delegato che abbia deciso sulla domanda tempestiva di ammissione allo stato passivo determina preclusione su tutto ciò che ha formato, o che avrebbe potuto formare, oggetto di accertamento in quella sede, e non consente, pertanto, di ammettere in via tardiva un ulteriore credito dello stesso soggetto, a meno che questo non sia diverso non solo per petitum ma anche per causa petendi.

Il giudice di primo grado aggiunse che, a prescindere da tale assorbente rilievo, la pretesa dell’ITEA non avrebbe potuto trovare accoglimento neppure nel merito, non potendosi tener conto dei documenti tardivamente depositati dal ricorrente all’udienza fissata per la discussione orale e difettando, pertanto, la prova che i lavori appaltati alla Gambogi Costruzioni fossero esattamente quelli già affidati alla F.lli Lombardi. Il gravame proposto dall’ITEA avverso la decisione fu accolto dalla Corte d’Appello di Brescia, che, con sentenza del 14.9.05, ammise il credito in contestazione allo stato passivo della procedura di A.S. A fondamento della decisione, la Corte territoriale osservò: che, nella domanda di ammissione allo stato passivo svolta in via tempestiva, l’ITEA aveva fatto espressa riserva di far valere il suo diritto al risarcimento “per intero con separata azione”; che l’identità della causa petendi sottesa alle due diverse pretese azionate dall’Istituto non era sufficiente a fondare la pronuncia di inammissibilità del ricorso avanzato ai sensi della L. Fall., art. 101, posto che il principio dell’infrazionabilità della domanda in sede fallimentare può trovare applicazione solo quando, al momento della proposizione dell’istanza di ammissione L. Fall., ex art. 93, il creditore sia effettivamente in grado di far valere tutte le voci di credito scaturenti dal fatto costitutivo allegato, tenuto conto, oltretutto, che il giudicato (anche endofallimentare) non può coprire ciò che non è stato portato a conoscenza del giudice perchè ancora non deducibile; che tanto era accaduto nel caso di specie, in quanto il giudice aveva dichiarato esecutivo lo stato passivo il 15.11.91, a scioglimento della riserva assunta all’ultima udienza di verifica, tenuta il 2.11.91, mentre ITEA aveva potuto apprezzare l’effettiva consistenza del danno subito per effetto dell’inadempimento della F.lli Lombardi solo il 14.2.92. all’atto della stipula del contratto d’appalto con la Gambogi Costruzioni; che pertanto l’Istituto non avrebbe potuto richiedere l’ammissione in via tempestiva del credito risarcitorio, nè avrebbe potuto ovviare a detta impossibilità attraverso una richiesta di ammissione con riserva, contemplata dalla L. Fall., art. 55 per ipotesi tassative, diverse da quella oggetto della domanda; che, quanto al merito, il nesso fra il primo ed il secondo contratto d’appalto era attestato dalla relazione di collaudo redatta il 1.8.2000, documento non tenuto in considerazione in primo grado perchè tardivamente prodotto, ma certamente esaminabile in sede d’appello, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., in quanto formato dopo lo spirare dei termini di preclusione istruttori di cui all’art. 184 c.p.c.; che dal verbale emergeva l’identità dell’oggetto dei due contratti, fondati sul medesimo progetto e sulle medesime deliberazioni approvative, senza che fosse intervenuta alcuna modificazione in ordine all’entità dei lavori, alla tipologia delle opere, alla definizione degli interventi e dei materiali; che dunque la differenza riscontrabile fra gli importi a base d’asta del primo e del secondo appalto si giustificava unicamente in base alla lievitazione dei prezzi nel frattempo intervenuta e costituiva credito risarcitorio imputabile all’inadempimento della F.lli Lombardi. L’A.S. della F.lli Lombardi ha chiesto la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso. L’ITEA ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1) Con il primo motivo di ricorso, l’A.S. della F.lli Lombardi, denunciando violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 93, 94, 101, dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c., nonchè vizio di motivazione, deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto, alla luce della consolidata giurisprudenza di legittimità, che il principio di frazionabilità del credito non è applicabile in materia fallimentare.

1.2) Per altro aspetto rileva che, in subordine, il giudice d’appello avrebbe dovuto accertare se l’ITEA avesse fornito prova di aver esplicitato in sede tempestiva la riserva di azionare separatamente ulteriori voci di danno e sostiene, a tale riguardo, che la circostanza è stata erroneamente ritenuta documentata per il tramite del ricorso con il quale l’Istituto ha riassunto l’opposizione L. Fall., ex art. 98 al provvedimento di esclusione del credito insinuato in via tempestiva, mentre la riserva avrebbe dovuto essere contenuta nella domanda di ammissione ovvero nell’originario ricorso in opposizione, non allegati agli atti.

2) Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 55, 93, 94, 95, 101, nonchè vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente deduce che alle date del 16.10. e del 2.11.91, in cui si tennero le due udienze di verifica dello stato passivo, il credito risarcitorio dell’ITEA era già determinabile nel suo importo massimo, dato dalla differenza fra il prezzo base della nuova gara e quello di aggiudicazione dell’appalto alla F.lli Lombardi, e che. in tal guisa avrebbe dovuto essere insinuato allo stato passivo ai sensi della L. Fall., art. 55;

che il giudice d’appello avrebbe contraddittoriamente affermato che detto credito era determinabile ma, al contempo, non precisabile nel quantum; che, comunque, ITEA avrebbe dovuto presentare in via tempestiva domanda di condanna generica.

3.1) I motivi devono essere respinti previa correzione, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., della motivazione in base alla quale la Corte territoriale ha dichiarato, conformemente a diritto, l’ammissibilità della domanda tardiva.

Le censure danno per scontata la correttezza del presupposto giuridico dal quale muove la motivazione della Corte territoriale, ovvero che nel caso di specie ci si trovi in presenza di un unico fatto costitutivo di due differenti pretese, a fronte del quale (non essendo contestato che l’Istituto abbia stipulato il secondo contratto d’appalto in data successiva a quella di chiusura dello stato passivo) occorrerebbe indubbiamente chiedersi se possa o meno operare il principio dell’infrazionabilità della domanda in sede fallimentare, se il creditore sia tenuto in sede tempestiva ad esplicitare una riserva di azione futura per le voci (del credito insinuato) meramente eventuali, in quanto non ancora certe nè nell’ari nè nel quantum, o se debba addirittura presentare, in relazione a tali voci, domanda di ammissione condizionata o generica.

Sennonchè è proprio tale presupposto a non poter essere condivisoli principio, costantemente enunciato da questa Corte, secondo cui un credito, per poter essere insinuato in via tardiva, deve essere diverso sia per petitum che per causa petendi da quello fatto valere in via tempestiva, non può infatti essere interpretato in maniera formalistica, sì da determinare la preclusione di qualsivoglia domanda che, pur trovando la propria fonte nel medesimo fatto storico dal quale è scaturito il credito già ammesso in sede di verifica, sia fondata su di un titolo diverso, integrante una nuova fattispecie giuridica sostanziale, alla quale si ricollega un diverso tema di indagine e di decisione.

In tal senso depone la lettura dei precedenti richiamati dalla stessa F.lli Lombardi in A.S., nei quali l’identità della causa petendi è stata ritenuta sussistente in ragione dell’unicità della ragione creditoria (ovvero del titolo) cui inerivano la pretesa azionata in via tempestiva e quella azionata in via tardiva: si è infatti esclusa l’ammissibilità della domanda L. Fall., ex art. 101 concernente gli accessori del credito già ammesso allo stato passivo (Cass. n. 2476/2003) o della domanda tardiva del socio di società di persone, receduto prima del fallimento, volta ad ottenere la liquidazione della quota, ex art. 2289 c.c., sulla scorta di criteri diversi da quelli dedotti nella domanda tempestiva respinta (Cass. n. 751/97). Viceversa, sono state ritenute ammissibili la domanda tardiva di ammissione del credito erariale per sovrattasse e sanzioni, dopo che in sede tempestiva era stato ammesso il credito derivante dal mancato pagamento del tributo (Cass. nn. 7661/06 e 13590/01) e la domanda tardiva di ammissione del credito vantato dal dipendente per differenze retributive, ancorchè in via tempestiva fosse già stato ammesso il credito per TFR (Cass. n. 4950/07).

Questa Corte, d’altro canto, ha già avuto modo di affermare, sulla scorta di argomentazioni che vanno qui pienamente condivise, che la domanda di restituzione della prestazione effettuata e la domanda di risarcimento del danno, pur se entrambe conseguenti alla risoluzione del contratto per inadempimento, si differenziano non solo con riguardo al petitum, ma anche con riferimento alla causa petendi, in quanto la prima integra una richiesta di ripetizione di indebito, che trova la propria causa nel venir meno del titolo giustificativo della prestazione, ha ad oggetto un debito di valuta ed opera anche nei confronti del contraente adempiente, mentre la seconda ha come necessario presupposto l’accertamento di un comportamento colpevole, fonte di responsabilità contrattuale. Nell’una, pertanto, la causa petendi va identificata nel pagamento non dovuto, nell’altra nel contratto e nella responsabilità del contraente inadempiente (Cass. nn. 7083/06, 1788/98, 7829/93, 5143/77).

La conclusione non è destinata a mutare in ragione della peculiarità della fattispecie in esame, in cui la domanda restitutoria e quella risarcitoria sono conseguenti alla rescissione del contratto d’appalto operata unilateralmente dalla committente ai sensi della L. n. 2248 del 1865, art. 340.

Anche nel presente caso, infatti, la rescissione ha determinato la sopravvenuta natura indebita dell’anticipazione dell’ITEA in quanto eseguita in difetto di corrispettivo (mentre l’appaltatrice, indipendentemente dall’imputabilità a suo esclusivo fatto e colpa dell’avvenuto scioglimento del contratto, avrebbe avuto certamente diritto a trattenere la somma anticipatale qualora avesse eseguito lavori per un importo corrispondente).

L’ammissibilità della domanda proposta in via tardiva dall’ITEA va pertanto affermata in base al mero rilievo della diversità del titolo sul quale essa si fonda rispetto alla domanda proposta in via tempestiva. 4) Con il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 184 bis, 345, 116, 134 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, l’A.S. rileva che i documenti sui quali la Corte ha fondato la propria decisione non potevano ritenersi nuovi, ai sensi dell’art. 345 c.p.c. Deduce a riguardo che, poichè si trattava di documenti pacificamente formatisi in data successiva allo scadere del termine per il deposito delle memorie istruttorie ma anteriormente all’udienza di precisazione delle conclusioni del giudizio di primo grado, l’ITEA avrebbe dovuto depositarli, previa richiesta di rimessione in termini ex art. 184 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al caso di specie) nel corso di una delle numerose udienze intermedie tenutesi dinanzi all’istruttore;

che la ricorrente ha scelto invece di produrli, inammissibilmente, solo all’udienza collegiale di discussione; che dunque la loro mera riproduzione in grado d’appello non poteva essere ritenuta idonea a sanare la decadenza già verificatasi; che, inoltre, si trattava di documenti non prodotti con l’atto di appello, ma già inseriti nel fascicolo di prime cure dell’appellante; che la Corte non avrebbe neppure motivato sulla loro ammissibilità. Anche questo motivo è infondato.

4.1) Va in primo luogo rilevato che, secondo quanto emerge dalla lettura della sentenza impugnata (non contraddetta, sul punto, dalla ricorrente), il primo giudice non ha dichiarato inammissibile la prova documentale prodotta da ITEA all’udienza di discussione, ma si è limitato a rilevare di “non poterne tenere conto”, considerando pertanto la produzione come non avvenuta, in quanto (presumibilmente) effettuata dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni. D’altro canto, se davvero il primo giudice avesse dichiarato inammissibile la produzione, il giudice d’appello non avrebbe potuto esaminare il documento in assenza di uno specifico motivo d’appello di ITEA volto a contestare tale statuizione ed, a sua volta, la ricorrente avrebbe dovuto denunciare in questa sede il vizio di ultrapetizione nel quale era incorsa la Corte territoriale per aver esaminato una prova la cui inammissibilità era stata accertata con decisione coperta da giudicato interno.

4.2) Non appare, poi, pertinente il richiamo dell’impresa in A.S. alle pronunce di questa Corte con le quali si è affermato che la valutazione di indispensabilità della prova prodotta in appello non può servire a sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado (Cass. nn. 10487/04, 12118/03).

Va premesso che la correttezza del predetto principio andrebbe rimeditata alla luce della sentenza a S.U. n. 8203/05, nella quale si è evidenziata la natura alternativa, e non concorrente, dei requisiti che i “nuovi mezzi di prova” devono presentare per poter trovare ingresso in sede di gravame e si è, altresì, precisato che il giudice d’appello è abilitato ad ammettere le prove che ritenga indispensabili, nonostante le preclusioni già verificatesi in primo grado.

A prescindere da tale rilievo, deve comunque escludersi che dal vigente regime processuale in tema di ammissibilità dei nuovi mezzi di prova in grado d’appello possa ricavarsi un onere della parte, sancito a pena di decadenza, di produrre nel giudizio di primo grado gli eventuali documenti probatori che, come nel caso di specie, si siano formati dopo lo spirare del termine assegnato dal giudice per la deduzione dei mezzi istruttori ma prima del passaggio della causa in decisione.

Ostano a tale conclusione svariate ragioni di carattere sistematico.

Sotto un primo profilo, si verrebbe infatti a creare un’ingiustificata disparità di trattamento fra prove costituite e prove costituende, non essendo dubitabile che queste ultime, ove dedotte per la prima volta in sede di appello, integrino “nuovi” mezzi di prova, la cui ammissione, pur se subordinata alla sussistenza di una delle due condizioni di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, non è preclusa dalla loro mancata formulazione nel corso del giudizio di primo grado.

Sotto un secondo profilo, siffatto onere presupporrebbe l’ulteriore onere della parte di adoperarsi per acquisire i documenti formatisi dopo il maturare delle preclusioni istruttorie non appena ne abbia appreso l’esistenza e ciò renderebbe necessaria, qualora i documenti venissero prodotti per la prima volta in appello, un’indagine in fatto del giudice di secondo grado, in ordine alla diligenza dalla parte medesima in tal senso osservata, che non appare richiesta dalla norma in esame ed i cui confini risulterebbero estremamente incerti, se non di impossibile definizione.

Deve infine escludersi che la produzione dei documenti in questione nel corso del giudizio di primo grado sia subordinata alla presentazione di un’istanza di rimessione in termini, non potendo prospettarsi decadenza rispetto ad un’attività istruttoria che non poteva in precedenza essere compiuta e non dovendo il giudice effettuare alcuna valutazione circa l’inimputabilità alla parte del suo ritardato compimento: la loro allegazione nel giudizio di gravame sarebbe pertanto consentita anche nel caso in cui si dovesse ritenere, accedendo ad un’interpretazione restrittiva, che la nozione di mezzi di prova “che la parte dimostri di non aver potuto proporre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile”, di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3, non comprenda le prove delle quali la parte incolpevole avrebbe potuto ottenere la tardiva ammissione già in prime cure, previa presentazione della predetta istanza. Le considerazioni sin qui svolte consentono di concludere che i documenti formatisi dopo il maturare delle preclusioni istruttorie vanno annoverati fra i nuovi mezzi di prova, ammissibili in grado d’appello – ai sensi della norma appena citata – ancorchè la parte abbia avuto la possibilità di acquisirli in data anteriore alla spedizione della causa di primo grado a sentenza (fatta soltanto salva, in tale ipotesi, la possibilità per il giudice del gravame di applicare il disposto dell’art. 92 c.p.c.).

Correttamente, pertanto, la Corte di merito ha tenuto conto, ai fini della decisione, della relazione di collaudo redatta dopo la scadenza dei termini perentori assegnati dal giudice di primo grado per le deduzioni istruttorie.

Va aggiunto che, ancorchè in sentenza non risulti affrontata ex professo la questione dell’ammissibilità del documento sotto il profilo della sua indispensabilità, il fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto raggiunto l’onere della prova gravante sull’Istituto proprio sulla scorta di tale relazione, precisando che in essa si rinviene definitivamente attestato il nesso fra il primo ed il secondo contratto, costituisce implicita motivazione della ritenuta ricorrenza anche dell’ulteriore requisito cui l’art. 345 c.p.c., comma 3 subordina l’ingresso di nuovi mezzi di prova in grado d’appello.

4.3) Priva di pregio, infine, appare la doglianza relativa alla mancata produzione del nuovo documento con l’atto di citazione in appello.

Come emerge dall’epigrafe della sentenza impugnata, nella quale sono riportate le conclusioni precisate dalle parti nei rispettivi atti introduttivi, ITEA ha espressamente indicato la relazione di collaudo fra i documenti dei quali intendeva avvalersi in sede di gravame. Va peraltro rilevato che, quand’anche – secondo ciò che afferma la ricorrente – la relazione fosse stata soltanto inserita nel fascicolo di parte di primo grado dell’ITEA, depositato all’atto della costituzione in appello unitamente al fascicolo di secondo grado, dovrebbe ritenersi ugualmente raggiunta la finalità di mettere il documento a disposizione della controparte, in modo da consentirle l’esercizio del diritto di difesa, onde l’inosservanza delle modalità di produzione documentale risulterebbe sanata. (Cass. n. 14338/09).

5) Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, lamenta che la Corte di merito l’abbia condannata al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio.

Osserva che l’ITEA è rimasta soccombente nel giudizio di prime cure per causa ad essa imputabile, avendo, per sua scelta, prodotto la relazione di collaudo solo all’udienza di discussione; sostiene poi, quanto alle spese del giudizio di gravame, che la Corte territoriale avrebbe dovuto compensarle in ragione della complessità e della peculiarità del caso di specie. Il motivo deve essere respinto.

Il Tribunale non ha rigettato nel merito – per difetto di prova – la domanda proposta in via tardiva dall’ITEA, ma l’ha dichiarata inammissibile in quanto l’ha ritenuta fondata sulla medesima causa petendi della domanda tempestiva.

La giurisprudenza di questa Corte (fra molte, Cass. SS.UU. nn. 2078/90, 5794/92 e, da ultimo, 3840/07) è consolidata nell’affermare che il giudice, dichiarando inammissibile la domanda, definisce e chiude il giudizio e non può esaminare domande od eccezioni diverse da quella delibata in via principale, delle quali gli è precluso l’esame proprio in ragione della natura (di rito) della questione ritenuta dirimente per le decisione della causa.

In tale ipotesi, le eventuali argomentazioni di merito contenute nella sentenza risultano ultronee, ovvero superflue ed ininfluente sul dispositivo, e, muovendosi su un piano meramente virtuale, non entrano nel circuito delle statuizioni propriamente giurisdizionali (Cass. SS.UU. n. 3840/07), tanto che la parte soccombente non è tenuta ad impugnarle.

Ne consegue che, benchè il Tribunale si sia inutilmente occupato della questione concernente l’assolvimento dell’onere della prova gravante sull’ITEA, la soccombenza dell’Istituto nel giudizio di primo grado non può essere imputata all’omessa produzione della relazione di collaudo: il giudice d’appello, nel procedere alla nuova regolamentazione delle spese, non era quindi tenuto a valutare tale circostanza.

Non può, d’altro canto, rimproverarsi alla Corte territoriale di aver fatto applicazione del disposto dell’art. 91 c.p.c. e di aver escluso, in base al proprio apprezzamento discrezionale, insindacabile nella presente sede di legittimità, che ricorressero i presupposti per la compensazione delle spese di lite.

La difficoltà e la parziale novità delle questioni trattate giustificano, tuttavia, la declaratoria di integrale compensazione fra le parti delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2011

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