Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18956 del 16/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 16/09/2011, (ud. 31/05/2011, dep. 16/09/2011), n.18956

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE RENZIS Alessandro – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ILLVA SARONNO S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 114,

presso lo studio dell’avvocato VALLEBONA ANTONIO, che la rappresenta

e difende, giusta procura in atti;

– ricorrente –

contro

T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE CLODIO

18, presso lo studio dell’avvocato RUBERTI RAFFAELA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ROBERTO GENNARO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

e contro

ENTE SICILIANO PROMOZIONE INDUSTRIALE – ESPI- IN LIQUIDAZIONE, in

persona del Liquidatore pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, PIAZZALE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato ABRIGNANI

IGNAZIO, rappresentata e difesa dall’avvocato SANGIORGI GAETANO,

giusta delega in atti;

– controricorrente incidentale –

contro

DUCA DI SALAPARUTA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA Luigi Lilio n. 65,

presso lo studio dell’avvocato MOZZI VINCENZO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato DE BERARDINIS PAOLO, giusta delega in

atti; anzi ora domi. In via Paolo di Dono, 2/A;

– ricorrente incidentale per adesione –

avverso la sentenza n. 1987/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 05/02/2009, R.G.N. 1651/07;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

31/05/2011 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato VALLEBONA ANTONIO;

udito l’Avvocato SANGIORGI GAETANO;

udito l’Avvocato DE BERNARDINIS PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso che ha concluso per il rigetto del ricorso principale,

rigetto dell’incidentale adesivo e inammissibilità del ricorso ESPI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La sentenza attualmente impugnata – in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese n. 443/04 del 7 giugno 2004 condanna la ILLVA Saronno s.p.a., in persona del legale rappresentante, al pagamento, in favore di T.V., a titolo di risarcimento del danno, delle retribuzioni dalla data del licenziamento (15 gennaio 2002) sino al 29 maggio 2006, con accessori di legge dalla data di maturazione dei singoli crediti.

La Corte d’appello di Palermo precisa che:

a) contrariamente a quanto dedotto dalla ILLVA, la tutela del lavoro e dei livelli occupazionali sono finalità compatibili con le operazioni di dismissione di quote azionarie appartenenti ad enti pubblici, visto che la tutela dell’interesse pubblico non può limitarsi al solo conseguimento del miglior risultato in termini di prezzo, ma deve tenere conto anche della tutela del lavoro, come si desume dagli artt. 41 Cost., commi 1 e 4;

b) nella specie, non vi sono disposizioni legislative o regolamentari (v. d.P. Regione Sicilia 1 settembre 1997, n. 37, art. 12) che vietino la stipulazione di clausole negoziali volte a garantire i livelli occupazionali e a tutelare le posizioni dei lavoratori interessati;

c) peraltro, la società ILLVA, prima di stipulare il contratto in argomento, è stata posta in grado di valutarne compiutamente l’opportunità e la convenienza, sì da salvaguardare efficacemente i propri interessi;

d) non sussiste, pertanto, la dedotta illegittimità dell’art. 10 del contratto di cessione delle quote azionarie della Duca di Salaparuta s.p.a. (d’ora in poi:CVDS) appartenenti all’Ente Siciliano per la Promozione Industriale (d’ora in poi: ESPI) in favore della ILLVA;

e) la clausola stessa fa espresso riferimento al personale che risulta iscritto nel libro matricola della società e ivi occupato con contratto di lavoro a tempo indeterminato;

f) questa chiara ed esplicita previsione non consente di escluderne l’applicabilità al personale inquadrato nella categoria dei dirigenti nè simile esclusione può implicitamente ricavarsi dalla interpretazione complessiva della pattuizione, tanto più che la clausola risulta essere stata approvata specificamente ai sensi dell’art. 1341 cod. civ.;

g) non ne può, quindi, esserne rimessa in gioco la validità, con argomentazioni che pur condivisibili in astratto, esulano dalla concreta fattispecie sub judice;

h) d’altra parte, la stessa ILLVA ha ammesso esplicitamente di avere ricevuto un vantaggio nella determinazione del prezzo di acquisto a fronte dell’impegno preso di garantire il mantenimento del rapporto di lavoro e l’esclusione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo anche nei confronti dei dirigenti;

i) va disatteso l’assunto secondo cui il Tribunale, nel ritenere applicabili alla fattispecie in esame le disposizioni di cui all’art. 1411 cod. civ. (contratto a favore del terzo) e all’art. 1381 cod. civ. (promessa del fatto del terzo) abbia violato l’art. 112 cod. proc. civ., basato sul rilievo secondo cui il ricorrente ha fatto riferimento alle suddette disposizioni soltanto nelle note difensive depositate nel corso del giudizio e non nel ricorso introduttivo;

j) infatti, il ricorrente ha formulato originariamente molteplici domande, principalmente dirette alla CVDS e alla società ILLVA nonchè all’ESPI, riguardanti la reintegrazione nel posto di lavoro con conseguente condanna in solido delle società al pagamento del risarcimento del danno per licenziamento illegittimo, o, in subordine, la dichiarazione di ingiustificatezza del licenziamento con condanna delle società medesime al pagamento dell’indennità supplementare e, infine, la condanna della CVDS al pagamento di una somma di denaro corrispondente ai fringe benefits di propria spettanza nel corso del rapporto;

k) tali domande sono rimaste immutate e la qualificazione giuridica delle ragioni poste a loro fondamento non costituisce mutamento della causa petendi;

1) in particolare, il T., nel chiedere l’applicazione nei propri confronti dell’art. 10 del contratto di cessione delle quote azionarie della CVDS appartenenti all’ESPI in favore della ILLVA, ha dedotto che quest’ultima società avrebbe dovuto garantire il mantenimento del proprio posto di lavoro e che non si procedesse nei propri confronti al licenziamento per giustificato motivo oggettivo;

m) il Tribunale ha, poi, ritenuto di qualificare il patto di stabilità occupazionale di cui al suddetto art. 10 come contratto a favore di terzo, avendo le parti attribuito un diritto a soggetti estranei alla formazione del contratto stesso, aggiungendo che la ILLVA, obbligandosi a garantire i livelli occupazionali dei dipendenti di una diversa società, ha concretamente promesso il fatto di un terzo e siccome la CVDS, con il licenziamento del T., non aveva tenuto il comportamento promesso, il promittente doveva corrispondere al lavoratore l’indennizzo di cui all’art. 1381 cod. civ., nella misura stabilita in via equitativa;

n) anche il giudice di appello può attribuire al rapporto in contestazione una qualificazione giuridica diversa da quella data dal giudice di primo grado o prospettata dalle parti, in quanto ha il potere-dovere di inquadrare gli atti e i fatti che formano oggetto della controversia nell’ambito della esatta disciplina giuridica di riferimento, pur in mancanza di una specifica impugnazione e indipendentemente dalle argomentazioni delle parti, purchè nell’ambito delle questioni riproposte con il gravame e salvo il limite di non introdurre nuovi elementi di fatto nel tema controverso;

o) conseguentemente, si deve considerare erroneo il riferimento effettuato nella sentenza di primo grado all’art. 1381 cod. civ., in quanto secondo la disciplina ivi prevista per la promessa del fatto del terzo l’indennizzo che il promittente (nella specie ILVA) dovrebbe corrispondere nell’ipotesi di mancato attuazione da parte del terzo (nella specie CVDS) del comportamento promesso dovrebbe andare a favore dell’altro contraente (nella specie: ESPI) e, quindi, non potrebbe certamente essere versato al T.;

p) è, invece, da condividere la qualificazione del patto di stabilità occupazionale in oggetto come contratto a favore di terzi, in conformità di quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità in materia;

q) poichè, nella specie, è stato attribuito al T., come terzo, il diritto al mantenimento del posto di lavoro e a non essere licenziato, per cinque anni, per giustificato motivo oggettivo, la società ILLVA, come promittente inadempiente, è tenuta al risarcimento del danno da determinare secondo le regole di inadempimento delle obbligazioni;

r) siccome risulta che dopo il licenziamento il T. ha offerto la propria prestazione lavorativa, il risarcimento suddetto può equivalere alle retribuzioni perdute dalla data del licenziamento fino alla scadenza del quinquennio previsto nel suindicato art. 10 (26 maggio 2006), con gli accessori di legge.

1- Il ricorso della la ILLVA Saronno s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per cinque motivi.

Si costituisce in giudizio la Duca di Salaparuta s.p.a. che presenta ricorso incidentale per adesione al ricorso principale.

Resistono con controricorso T.V. e l’Ente Siciliano per la Promozione Industriale (ESPI) in liquidazione.

Quest’ultimo propone, a sua volta, ricorso incidentale autonomo per un motivo.

Le società ILLVA Saronno s.p.a. e Duca di Salaparuta s.p.a.

depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente tutti i ricorsi vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

1 – Sintesi ed esame del motivo del ricorso incidentale autonomo.

1- In ordine logico deve essere trattato per primo il ricorso incidentale autonomo dell’ESPI, il cui unico motivo è inammissibile.

Con tale motivo si denuncia in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non avere la Corte d’appello esaminato la domanda dell’ESPI diretta ad ottenere l’accertamento del passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado che ha statuito l’estromissione dell’Ente dal giudizio.

Si sottolinea l’interesse ad ottenere tale accertamento, per eventuali ricadute che la mancata chiarezza sulla propria estraneità alla controversia fin dal primo grado potrebbe avere sui rapporti con la ILLVA, visto che in base ad un contratto tra l’Ente e la suddetta società è prevista la devoluzione di eventuali controversie ad arbitri.

1.1.- Dalla sentenza impugnata risulta che in primo grado “nel contraddittorio delle parti” il Tribunale ha ordinato la “estromissione dal giudizio dell’ESPI” rilevando che il ricorrente non aveva proposto alcuna domanda nei confronti dell’Ente, onde ricorreva l’ipotesi della mancanza di interesse ad agire.

Tale pronuncia, nonostante l’improprietà della formula adoperata, equivale ad una statuizione decisoria di difetto di una condizione dell’azione in capo all’ESPI. Non risulta che tale statuizione sia stata oggetto di impugnazione in appello, sicchè essa è divenuta definitiva senza necessità di alcuna pronuncia espressa sul punto da parte della Corte d’appello.

Ne consegue che il ricorso incidentale de qua è inammissibile per carenza d’interesse del ricorrente, visto che con esso si chiede di ottenere una pronuncia del tutto inutile e pleonastica, rispetto alla controversia in oggetto.

Nè va omesso di rilevare che tale richiesta viene inammissibilmente prospettata sotto il profilo del vizio di omessa motivazione, mentre per un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito. quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento (vedi, per tutte: Cass. 3 agosto 2007, n. 17076; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064).

Viceversa, quando come nella specie si sostiene che si è verificata la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, la relativa censura si traduce in una violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 4, non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, (vedi, per tutte: Cass. 17 luglio 2007, n. 15882).

2 – Sintesi ed esame del primo motivo del ricorso principale.

2.- Con il primo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 414, 420 e 437 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello accolto erroneamente accolto la domanda di condanna esclusiva dell’ILLVA, non formulata nel ricorso introduttivo.

Si rileva che il T., in primo grado, ha impugnato il licenziamento irrogatogli dalla sua datrice di lavoro, Casa Vinicola Duca di Salaparuta s.p.a. (d’ora in poi: CVDS), chiedendo in via principale la dichiarazione di illegittimità e/o ingiustificatezza dello stesso, con condanna della CVDS alla reintegrazione nel posto di lavoro, o in subordine la condanna della stessa CVDS, in solido (quindi in via aggiuntiva e non sostitutiva), con la ILLVA al pagamento dell’indennità supplementare.

Soltanto con le note difensive presentate nel corso del giudizio di primo grado e, quindi, tardivamente – il T. ha aggiunto la domanda nuova volta alla condanna in proprio della ILLVA, in qualità di stipulante di un contratto a favore di terzi, cioè dei dipendenti della CVDS, comportante la promessa di non effettuare alcun licenziamento, salvo che per giusta causa.

Tale domanda è stata inammissibilmente accolta dal Tribunale e la Corte d’appello ha erroneamente respinto l’appello della ricorrente sul punto, affermando che le domande proposte dal T. sono rimaste invariate e che, nelle suddette note difensive, il ricorrente si è limitato a indicare soltanto una diversa qualificazione giuridica dei fatti, senza alcun mutamento della causa petendi.

Viceversa, il carattere di novità della suddetta domanda non avrebbe potuto essere misconosciuto dal momento che con essa si sono fatte valere, nei confronti della ILLVA, pretese del tutto scisse dall’invalidità o ingiustificatezza del licenziamento, su cui invece si incentravano quelle rivendicate nel ricorso introduttivo.

In entrambi i gradi del giudizio si sarebbe, quindi, verificato il vizio di ultrapetizione.

Tuttavia, in grado di appello la relativa violazione sarebbe ancora più grave, visto che il Tribunale avrebbe configurato la fattispecie come contratto a favore di terzi con promessa del fatto del terzo e conseguente condanna all’indennizzo di cui all’art. 1381 cod. civ., mentre la Corte d’appello ha adottato lo schema del contratto a favore di terzi con obbligazione propria dello stipulante e conseguente condanna a titolo di risarcimento del danno per inadempimento, configurazione mai ipotizzata dal ricorrente neppure tardivamente.

2.1. Il motivo è infondato.

In base ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, sia il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato sia il principio del tantum devolutum quantum appellatum – che importano il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene della vita diverso da quello richiesto (petitum mediato) oppure di emettere una qualsiasi pronuncia su domanda nuova non ostano a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nonchè in base ad una differente qualificazione giuridica dei fatti medesimi e, in genere, all’applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dalle parti. Non configurano una inammissibile domanda nuova le deduzioni di parte rese in appello, ove non comportino il mutamento del fatto costitutivo oppure del fatto impeditivo, estintivo o modificativo sul quale di fonda la domanda oppure l’eccezione, ma si limitino ad invocarne a sostegno norme giuridiche diverse (vedi per tutte: Cass. 11 luglio 2007, n. 15496; Cass. 25 settembre 2008, n. 24055).

Nella specie nelle note difensive depositate nel corso del giudizio di primo grado il T. si è limitato a fare riferimento agli artt. 1411 e 1381 cod. civ., prima non richiamati, ma in tal modo ha soltanto invocato a sostegno delle proprie pretese norme giuridiche diverse rispetto a quelle invocate in precedenza, senza però modificare le domande originariamente formulate.

Analogamente, il Tribunale prima e la Corte d’appello poi non hanno commesso alcun vizio di ultrapetizione in quanto hanno semplicemente esercitato i rispettivo potere-dovere di qualificazione giuridica delle domande proposte, nell’invarianza del bene della vita richiesto.

3- Sintesi ed esame del secondo motivo del ricorso principale.

3. Con il secondo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1372, 1381, 1411 e 2094 cod. civ. Si sostiene l’erroneità dell’affermazione della Corte d’appello secondo cui la ILLVA, pur essendo un soggetto diverso dal datore di lavoro del T., si sia obbligata in proprio a non licenziare il dipendente altrui, anzichè ritenere che la suddetta obbligazione è deducibile in contratto solo come promessa del fatto del terzo (non essendo ipotizzabile un’obbligazione per fatto proprio avente ad oggetto il fatto di un terzo).

Si sottolinea come la Corte territoriale sia pervenuta alla suddetta conclusione al fine di escludere il rigetto di ogni pretesa vantata dal ricorrente nei confronti dell’ILLVA, conseguente alla effettuata esatta modifica della sentenza del Tribunale nel senso della esclusione dell’attribuibilità dell’indennizzo previsto dall’art. 1381 cod. civ. in favore di soggetto diverso (nella specie: il T.) dall’altro contraente (cioè: l’ESPI).

3.1. Il motivo non è fondato.

Deve essere, in primo luogo, ricordato che per un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, l’interpretazione dei contratti da parte del giudice di merito è censurabile in sede di legittimità per vizi di motivazione e per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale ed incombe alla parte che denuncia la violazione di tali regole l’onere di dimostrare specificamente il modo in cui il ragionamento seguito dal giudice abbia deviato dalle regole stesse, non potendo invece limitarsi a prospettare una interpretazione contrattuale diversa da quella adottata nella decisione impugnata (vedi, per tutte: Cass. 15 luglio 2004, n. 13105).

Nella specie, peraltro, la “correzione” della qualificazione giuridica della fattispecie effettuata da parte della Corte d’appello appare del tutto lineare, logica e conforme alle disposizioni codicistiche indicate nell’intestazione del presente motivo di ricorso.

3.2. Va ricordato, al riguardo, che con la promessa del fatto del terzo, il promittente assume una prima obbligazione di facere, consistente nell’adoperarsi affinchè il terzo tenga il comportamento promesso, onde soddisfare l’interesse del promissario, ed una seconda obbligazione di “dare”, cioè di corrispondere l’indennizzo nel caso in cui, nonostante si sia adoperato, il terzo si rifiuti di impegnarsi. Ne consegue che, qualora l’obbligazione di facere non venga adempiuta e l’inesecuzione sia imputabile al promittente, ovvero venga eseguita in violazione dei doveri di correttezza e buona fede, il promissario avrà a disposizione gli ordinari rimedi contro l’inadempimento, quali la risoluzione del contratto, l’eccezione di inadempimento, l’azione di adempimento e, qualora sussista il nesso di causalità tra inadempimento ed evento dannoso, il risarcimento del danno; qualora, invece, il promittente abbia adempiuto a tale obbligazione di facere e, ciononostante, il promissario non ottenga il risultato sperato a causa del rifiuto del terzo, diverrà attuale l’altra obbligazione di “dare”, in virtù della quale il promittente sarà tenuto a corrispondere l’indennizzo (vedi, per tutte: Cass. 15 luglio 2004, n. 13105).

Viceversa, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:

a) il contratto a favore di terzo, è una figura contrattuale che ricorre quando le parti attribuiscono una potestà o comunque un vantaggio giuridicamente apprezzabile al terzo, che lo acquista, pur senza aver partecipato direttamente o indirettamente alla stipulazione, in forza del contratto intercorso tra altri e non in virtù della sua accettazione, la quale ha l’unico effetto, anche se resa in forma tacita, di rendere definitiva l’obbligazione, ove intervenga prima dell’eventuale revoca dello stipulante (vedi, per tutte: Cass. 15 gennaio 2002, n. 375);

b) in materia contrattuale, in considerazione del carattere generale del riconoscimento che la norma dell’art. 1411 cod. civ. ha dato del contratto a favore di terzo, la prestazione a vantaggio del terzo può essere riferita alle varie situazioni consistenti in un dare, fare o non fare, sicchè, per la diversità di contenuto che può assumere l’obbligazione del promittente nei confronti dello stipulante ed a favore del terzo, sino a consentire a quest’ultimo anche l’acquisto di un diritto reale (vedi, per tutte: Cass. 1 dicembre 2003, n. 18321);

c) nel contratto a favore di terzo, il diritto del terzo è autonomo rispetto a quello dello stipulante e può, pertanto, essere fatto valere contro il promittente anche in via diretta, senza necessità dell’intervento in giudizio dello stipulante, facendo valere nei confronti di quegli il diritto alla realizzazione del suo credito (vedi, per tutte: Cass. 18 settembre 2008, n. 23844; Cass. 1 dicembre 2003, n. 18321).

Da quanto si è detto è facile desumere che i due istituti della promessa del fatto del terzo e del contratto a favore di terzo non sono sovrapponigli, avendo caratteristiche incompatibili.

Ne consegue che la statuizione assunta al riguardo dalla Corte d’appello – nel senso di ritenere erroneo il riferimento all’art. 1381 cod. civ. effettuato dal Tribunale unitamente con quello all’art. 1411 cod. civ. appare senz’altro da condividere e conforme alle disposizioni richiamate dalla ricorrente.

D’altra parte, essendo la figura del contratto a favore di terzo una figura di carattere generale essa può trovare applicazione anche con riguardo a contratti o a singole clausole contrattuali (come nella specie: l’art. 10 del contratto di cessione delle quote azionarie in oggetto) diretti a salvaguardare l’occupazione dei lavoratori in caso di ristrutturazioni aziendali o in situazioni consimili (arg. ex Cass. 9 gennaio 2008, n. 207).

Per tutte le suesposte considerazioni, il secondo motivo è da respingere.

4 – Sintesi ed esame del terzo motivo del ricorso principale.

4.- Con il terzo motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1363 e 1367 cod. civ., nonchè della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 10 e della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9.

Si sostiene che la Corte d’appello – non avendo applicato i criteri ermeneutici dell’interpretazione complessiva e della conservazione del contratto, in riferimento alle clausole di cui all’art. 10, comma 1, del contratto di cessione delle quote azionarie stipulato tra ESP1 e ILLVA sia pervenuta all’erronea conclusione della riferibililità anche ai dirigenti della clausola di stabilità comportante il divieto per un quinquennio di effettuare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e licenziamenti collettivi (istituti non applicabili ai dirigenti).

4.1.- Anche il terzo motivo è destituito di fondamento.

Com’è noto, per un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, in tema di interpretazione del contratto – che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione – ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, il cui rilievo deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, sicchè le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 cod. civ. e dovendosi intendere per ‘”senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (Cass. 26 febbraio 2009, n. 4670; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4176; Cass. 28 agosto 2007, n. 18180).

Nella specie, la Corte d’appello ha dato conto di aver desunto il significato dell’art. 10 del contratto in oggetto non solo dal dato letterale, considerato chiaro e univoco, ma dalla interpretazione complessiva del contratto e dal fatto che la ILLVA, approvando senza riserve specificamente il suddetto articolo ai sensi dell’art. 1341 cod. civ., si è impegnata ad applicarlo a tutto indistintamente il personale iscritto nel libro matricola della CVDS e ivi occupato a tempo indeterminato.

Tanto basta per respingere il motivo in oggetto, formulato, oltretutto senza il rispetto del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

5 – Sintesi ed esame del quarto motivo del ricorso principale.

5.- Con il quarto motivo di ricorso si denuncia- in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, – insufficiente motivazione, per il fatto che la Corte territoriale ha affermato l’applicabilità della suddetta clausola di stabilità anche ai dirigenti, senza preoccuparsi di determinare quale sia il significato da attribuire alla espressa previsione delle parti del divieto di licenziamenti per giustificato motivo e collettivi.

5.1.- Il motivo è inammissibile sia perchè formulato in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione sia perchè diretto ad ottenere una nuova pronuncia di fatto, con riguardo all’interpretazione del contratto di cui si tratta.

A tale ultimo riguardo va ricordato che, in base ad un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte, è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qualora con esso si intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064).

6 – Sintesi ed esame del quinto motivo del ricorso principale.

6.- Con il quinto motivo di ricorso, illustrato da quesito di diritto, si denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L.R. Sicilia 7 marzo 1997, n. 6, art. 10, del D.L. n. 332 del 1994, art. 1, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 474 del 1994, del D.P. Regione Sicilia 1 settembre 1997, n. 37, art. 12 della L.R. Sicilia n. 18 del 1967, artt. 1 e 2 del D.L. n. 332 del 1995, art. 1 e dell’art. 97 Cost.

Si sostiene che subordinatamente rispetto al terzo e al quarto motivo diretti a negare l’applicabilità ai dirigenti della clausola di stabilità in oggetto – laddove non dovesse escludersi che i dirigenti siano ricompresi nella clausola medesima, allora essa sarebbe nulla.

Infatti, non potrebbe negarsi che l’ESPI contraente, essendo un ente pubblico in liquidazione, in sede di dismissione delle proprie partecipazioni azionarie non abbia in alcun modo inteso approvare una clausola con la quale attribuire ai dirigenti una mai goduta stabilità quinquennale a detrimento del prezzo di dismissione e, quindi, in contrasto con i principi di buona amministrazione.

6.1.- Anche il presente motivo è inammissibile perchè, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del motivo stesso, le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per asseritamente errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, sotto il profilo dell’interpretazione del contratto di cui si tratta (peraltro, come si è già rilevato, neppure allegato al ricorso, in contrasto con il principio dell’autosufficienza).

Al riguardo va ricordato che la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, non essendo consentilo alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

7 – Ricorso incidentale adesivo.

7.- Al rigetto del ricorso principale consegue il rigetto del ricorso incidentale adesivo della Duca di Salaparuta s.p.a., ove sono richiamate le censure e le argomentazioni sviluppate nel ricorso principale.

8 – Conclusioni.

In sintesi, il ricorso incidentale autonomo dell’ESPI va dichiarato inammissibile, il ricorso principale della ILLVA Saronno s.p.a. e quello incidentale adesivo della Duca di Salaparuta s.p.a. vanno rigettati.

L’ESPI, la ILLVA e la Duca di Salaparuta vanno condannate al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore di T.V., liquidate come da dispositivo.

Vanno, invece, compensate le spese processuali relative ai rapporti reciproci tra l’ESPI e le due suddette società, in considerazione della complessità delle problematiche attinenti la definizione delle rispettive posizioni nella vicenda processuale de qua.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso incidentale autonomo dell’ESPI, rigetta il ricorso principale della ILLVA Saronno s.p.a. e quello incidentale adesivo della Duca di Salaparuta s.p.a.

Condanna l’ESPI, la ILLVA e la Duca di Salaparuta alle spese del presente giudizio di legittimità in favore di T.V., liquidate in Euro 45,00 per esborsi, in complessivi Euro 3500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Dichiara compensate le spese relative ai rapporti reciproci tra l’ESPI e le due suddette società.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 31 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2011

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