Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18952 del 11/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/09/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 11/09/2020), n.18952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19650-2017 proposto da:

DEFENDINI LOGISTICA S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati ANTONIO VALLEBONA, GIUSEPPE SIGILLO’

MASSARA, e IGNAZIO ABRIGNANI;

– ricorrente –

contro

A.G., B.L., O.L., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dagli avvocati

GUGLIELMO DURAZZO, e ANTONIO GIORDANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 505/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 29/06/2017, R.G.N. 659/2016.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’Appello di Torino, in riforma della pronuncia di prime cure, accoglieva le domande proposte da A.G., B.L. e O.L. intese a conseguire la condanna della s.r.l. Defendini Logistica alla costituzione del rapporto di lavoro ed al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni maturate a far tempo dal 7/12/2012 da liquidarsi in separato giudizio.

Il thema decidendum concerneva la vicenda traslativa disciplinata dalla L. n. 428 del 1990, art. 47 intercorsa fra la s.r.l. Agenzia Defendini (dichiarata insolvente dal Tribunale di Torino e posta in amministrazione straordinaria ai sensi del D.Lgs. n. 270 del 2009) e la s.r.l. Defendini Logistica, alla cui stregua in sede di accordo sindacale, era stata prevista l’assunzione da parte di quest’ultima società, di 49 lavoratori provenienti dalla cessata Agenzia Defendini, alle dipendenze della quale i predetti ricorrenti avevano svolto attività di lavoro subordinato.

La Corte di merito condivideva la tesi accreditata dai lavoratori, osservando che nello specifico l’accordo sindacale prevedeva l’obbligo per la cessionaria di assumere 49 lavoratori, dei quali due terzi sarebbero stati scelti in ragione dei criteri adottati dal legislatore nella L. n. 223 del 1991 (anzianità, carichi di famiglia, esigenze tecnico-organizzative) ed un terzo tenendo prioritariamente conto delle esigenze tecnico organizzative della società.

Osservava la Corte come, pur essendo “vero che per il criterio delle esigenze tecnico organizzative era stato lasciato all’azienda un margine di discrezionalità, tale discrezionalità, peraltro, doveva avere ad oggetto, necessariamente, le modalità di attribuzione del punteggio e non già direttamente la scelta dei lavoratori da assumere”. In altre parole la società non avrebbe potuto scegliere di assumere un lavoratore piuttosto che un altro “in base a criteri non oggettivi, non dichiarati e non verificabili, giacchè qualsiasi criterio di scelta, per essere davvero tale, deve essere basato su elementi oggettivi e verificabili in modo da consentire la formazione di una graduatoria e da essere controllabile in fase applicativa”.

La Corte concludeva, quindi, che la società Defendini Logistica non aveva dimostrato di aver rispettato i criteri di scelta previsti dall’accordo sindacale del 26/11/2012 e le ragioni e modalità in base alle quali erano stati attribuiti i punteggi in relazione alle esigenze tecnico-organizzative.

Avverso tale decisione la società interpone ricorso per cassazione affidato a due motivi. E’ stata quindi, depositata memoria, alla quale sono state allegate copie dei verbali di conciliazione sottoscritti innanzi alla Corte d’Appello di Torino, dalla società, O.L. e B.L. ed alla cui stregua è stato chiesto dichiararsi cessata la materia del contendere.

Resistono le parti intimate con controricorso illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. In relazione alla posizione delle controricorrenti O.L. e B.L., deve darsi atto che dai verbali di conciliazione sottoscritti in data 21 marzo 2018 innanzi alla Corte d’Appello di Torino, prodotti in copia, risulta che le parti hanno raggiunto un generale accordo transattivo concernente la controversia de qua, riferito ad ogni e qualsiasi diritto del ricorrente comunque attinente ai fatti dedotti nel presente ricorso, che si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel presente giudizio di cassazione, così come richiesto.

Si provvede, pertanto, in conformità.

In considerazione dell’accordo complessivo intervenuto, le spese del presente giudizio possono essere compensate fra le parti.

2.Con riferimento al ricorso proposto nei confronti di A.G., la ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 428 del 1990, art. 47 e della L. n. 223 del 1991 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Deduce che, in base all’accordo sindacale del 26/11/2012, non era stato previsto alcun obbligo in capo all’azienda, di specificare i criteri oggettivi in base ai quali procedere alla assunzione dei lavoratori, bensì era contemplata l’espressa autorizzazione ad utilizzare la discrezionalità aziendale per realizzare lo scopo primario della L. n. 428 del 1990, art. 47 che è ispirato alla esigenza di preminente tutela dell’interesse collettivo alla salvaguardia dei livelli di massima occupazione.

Ribadisce la società che il motivo, in base al quale la disposizione citata stabilisce la derogabilità dell’art. 2112 c.c. ed una parziale delega in bianco all’accordo collettivo sottoscritto fra la cessionaria e le organizzazioni sindacali, va rinvenuto nella prevalenza dell’interesse pubblico al mantenimento dell’occupazione per aziende in conclamata crisi economica, rispetto all’interesse individuale del lavoratore alla tutela del posto di lavoro, cui risponde l’esclusiva applicazione dell’art. 2112 c.c..

Nell’ottica descritta la ratio legis era da individuare nel riconoscimento di un’ampia discrezionalità al nuovo datore di lavoro nella selezione delle risorse da assorbire, ed in tal senso la pronuncia impugnata non era da ritenersi conforme a diritto, in quanto restringeva inammissibilmente la discrezionalità conferita alla parte datoriale nella selezione del personale da assumere “ex novo”, in deroga a quanto dettato dall’art. 2112 c.c., vulnerando proprio l’esigenza di garantire la continuazione della attività di un’azienda in crisi cui è ispirato il compendio normativo scrutinato.

3. La censura non è condivisibile.

S’impone innanzitutto l’evidenza del difetto di specificità della critica che non si conforma ai principi affermati da questa Corte secondo cui i requisiti di contenuto-forma previsti, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, devono essere assolti necessariamente con il ricorso e non possono essere ricavati da altri atti, dovendo il ricorrente specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata indicando precisamente i fatti processuali alla base del vizio denunciato, producendo in giudizio l’atto o il documento della cui erronea valutazione si dolga, o indicando esattamente nel ricorso in quale fascicolo esso si trovi e in quale fase processuale sia stato depositato, e trascrivendone o riassumendone il contenuto nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza (vedi, ex aliis, Cass. 13/11/2018 n. 29093).

La ricorrente omette infatti di riprodurre il tenore dell’accordo sindacale 26/11/2012 neanche in sintesi significativa – avendo trascritto solo il penultimo capoverso del punto 4 dell’Accordo in questione, recante riferimento all’identificazione delle risorse strettamente necessarie allo svolgimento delle attività previste dal piano industriale – così esponendo la censura allo stigma della inammissibilità per genericità.

4. Siffatta doglianza va comunque disattesa, ove si ponga richiamo alla funzione del giudizio di legittimità, limitata, per accordi del tipo in esame, alla verifica dell’impiego corretto dei canoni ermeneutici secondo le censure proposte dal ricorrente.

In ragione della sua efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006), è infatti riservata al giudice di merito l’interpretazione dell’accordo aziendale, ed essa non è censurabile in cassazione se non per vizio denunciabile ex art. 360, n. 5 o per violazione di canoni ermeneutici (ex plurimis, vedi Cass. 4/2/2010 n. 2625).

Nella specie la critica mossa all’interpretazione dell’accordo sindacale, per come articolata, palesa la sua genericità in quanto, difettando la allegazione, con riferimento alla violazione dei canoni interpretativi, del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, si sostanzia nella mera allegazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante, non consentita nella presente sede di legittimità.

5. Al riguardo, non può tralasciarsi di considerare che, in ogni caso, la Corte di merito nel proprio incedere argomentativo, è pervenuta a corretti approdi in tema di interpretazione dell’accordo sindacale stipulato il 26/11/2012, L. n. 428 del 1990, ex art. 47 in coerenza coi canoni ermeneutici indicati dagli art. 1362 c.c. e ss..

Detto accordo contemplava l’assunzione di 49 dipendenti da parte della società ricorrente alla stregua dei seguenti criteri di scelta: per due terzi, in ragione dei criteri ex lege n. 223 del 1991, quindi in base alla anzianità aziendale (1 punto ogni 7 anni), carichi di famiglia (1 punto per ogni familiare fiscalmente a carico), esigenze tecnico organizzative (da O a 5 punti); per un terzo, in base alle esigenze tecnico organizzative della società.

Ha osservato, tuttavia, il giudice del gravame, che la carenza di fondo della condotta assunta da parte datoriale nell’ambito della procedura di selezione del personale da assumere, risiedeva nella mancata indicazione delle ragioni e delle modalità di assegnazione dei punteggi relativi alle esigenze tecnico-organizzative, idonee a dimostrare le ragioni in base alle quali all’ A. fossero stati preferiti altri dipendenti.

E’ stato, infatti, congruamente rimarcato che nessuna deduzione era stata formulata dalla società con riferimento alla posizione del predetto lavoratore al fine di giustificare il punteggio assegnato facendo richiamo a circostanze fattuali quali le mansioni svolte, le competenze specifiche, le attitudini dimostrate anche con riferimento ai dipendenti collocati in graduatoria in posizione poziore.

In tale prospettiva, si è condivisibilmente sostenuto che la discrezionalità riservata alla società nella scelta del personale da assumersi in base agli accordi sindacali, non poteva sconfinare – così come verificatosi nella specie – in un territorio di puro arbitrio, mediante l’indicazione di un criterio generico e non verificabile oggettivamente, onde consentire la formazione di una graduatoria del personale ed un adeguato controllo in fase applicativa.

In tal senso la Corte di merito, in conformità al criterio di correttezza e buona fede che governa l’ermeneutica contrattuale ex art. 1366 c.c. e della ragionevolezza, procedendo ad un ponderato bilanciamento degli interessi delle parti, ha espletato l’esegesi delle disposizioni dell’accordo collettivo in esame – concordato fra le parti sociali allo scopo di assicurare il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione in presenza di situazione di crisi economica – valorizzando altresì nel descritto contesto, l’interesse del lavoratore allo svolgimento del procedimento di selezione del personale da assumere alle dipendenze della società Defendini Logistica, in base a criteri oggettivi e verificabili concretamente.

All’esito del procedimento ermeneutico descritto, è pervenuta alle conclusioni summenzionate con approccio insindacabile nella presente sede.

6. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Ci si duole che la Corte di merito abbia omesso di pronunciarsi sulla eccezione formulata in via di subordine in sede di memoria di costituzione in grado di appello, relativa alla insussistenza di un diritto perfetto alla assunzione in capo ai lavoratori pretermessi, in caso di violazione dei criteri stabiliti contrattualmente, fonte esclusivamente, di un diritto al risarcimento del danno, posto che l’accordo sindacale non conteneva neanche “gli elementi minimi del futuro rapporto di lavoro, quali l’inquadramento, la mansione e la retribuzione”.

7. Il motivo presenta profili di inammissibilità.

Ed invero, il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto-pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (ex plurimis, vedi Cass. 27/11/2017 n. 28308).

Nello specifico, non può sottacersi – alla stregua della riproduzione di un mero stralcio della memoria di costituzione in appello recata nel presente ricorso – che non risulta spiegata, ritualmente ed inequivocabilmente, alcuna eccezione autonomamente apprezzabile secondo i principi innanzi enunciati, intesa ad escludere l’esistenza della previsione, in sede di accordo sindacale, di un diritto dei lavoratori alla assunzione presso la società ricorrente; il mero riferimento al mancato chiarimento da parte appellante, del titolo in base al quale “spetterebbe loro quel diritto e perchè spetterebbe loro l’assunzione”, si atteggia in termini di mera difesa ed è inidonea, pertanto, a configurare il denunciato vizio.

Conclusivamente, alla luce delle superiori argomentazioni, il ricorso proposto nei confronti di A.G., è respinto.

La regolazione delle spese inerenti al presente giudizio, segue il regime della soccombenza, nella misura in dispositivo liquidata.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara cessata la materia del contendere fra Defendini Logistica s.r.l., B.L. e O.L. e compensa fra le parti le spese del presente giudizio.

Rigetta il ricorso proposto nei confronti di A.G..

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 settembre 2020

 

 

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