Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18951 del 27/09/2016

Cassazione civile sez. lav., 27/09/2016, (ud. 18/05/2016, dep. 27/09/2016), n.18951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3527-2013 proposto da:

ANAS S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata In ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.P.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO

GHERA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FEDERICO

GHERA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8985/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 01/02/2012, R.G. N. 8560/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato LORENZO CONFESSORE per delega ROBERTO PESSI;

udito l’Avvocato FRANCESCO GHERA per delega FEDERICO GHERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

D.P.D., dipendente della S.p.a. ANAS, con qualifica di cantoniere posizione B2, richiedeva al giudice del lavoro di ROMA il riconoscimento della qualifica superiore corrispondente al profilo B1 come operatore amministrativo a decorrere dal (OMISSIS). La domanda veniva accolta. La Corte di Appello di ROMA con sentenza del 24 novembre 2011 primo febbraio 2012, rigettava Il gravame proposto dall’ANAS avverso la pronuncia impugnata, con la condanna della soccombente alle spese.

La Corte territoriale rilevava che il giudice di primo grado aveva correttamente accolto la domanda, tenuto conto delle mansioni effettivamente svolte, per cui, esaminate le relative declaratorie contrattuali, dal relativo confronto erano stati evidenziati profili caratterizzanti, con Individuazione degli elementi concreti, che avevano consentito l’accoglimento della domanda.

Inoltre, contrariamente a quanto opinato da parte appellante, il giudice di primo grado aveva condivisibilmente escluso, stante la mancanza nel profilo di addetto tecnico o amministrativo dell’uso del supporto informatico, la possibilità d’inquadramento dell’appellato in livello corrispondente a quello di cantoniere svolto sino ad epoca anteriore al trasferimento dell’attore presso la Direzione Centrale Autostrade e Trafori. Aveva, altresì, evidenziato che nell’ambito degli adempimenti di sorveglianza sanitaria, il direttore centrale aveva comunicato lo svolgimento, da parte del ricorrente, delle mansioni di videoterminalista e soprattutto l’adibizione dello stesso al protocollo informatico (circostanze entrambe documentalmente provate). Pertanto, entrambi gli elementi documentali dimostravano che il D.P. aveva espletato mansioni corrispondenti al livello riconosciutogli in prime cure, considerato che nella declaratoria di operatore ammnistrativo B1 proprio tale attività con l’ausilio dei mezzi tecnici indicati caratterizzavano il profilo (attività istruttoria per atti amministrativo-contabili in base a procedure e direttive…. svolgendo attività di videoscrittura anche con l’uso di apparecchiature informatiche).

Per la cassazione di tale sentenza proponeva ricorso la S.p.a. ANAS, come da atto notificato il primo febbraio 2013 con due motivi; resisteva il D.P. con controricorso.

Sono state depositate memorie ex art. 378 c.p.c. da entrambe le parti in vista della pubblica udienza, fissata al 18 maggio 2016, con conseguenti rituali avvisi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la società ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., art. 1362 c.c. e ss., nonchè del contratti collettivi, con riferimento alle declaratorie contrattuali di operatore amministrativo e di addetto tecnico o amministrativo, previste dal c.c.n.l. per il personale dipendente da ANAS anni 2002 – 2005 – art. 74.

Alla stregua di quanto previsto dal contratto collettivo per il profilo professionale di operatore amministrativo B1, secondo la ricorrente è richiesta attività prevalentemente di tipo istruttorio ovvero richiedente un certo grado di specializzazione di maturata professionalità, le uniche a ilegittimare e consentire il definitivo inquadramento del lavoratore nella qualifica superiore a quella posseduta, che tuttavia risultavano smentite dalla stessa sentenza impugnata, laddove era stato accertato lo svolgimento di mere attività di videoterminalista. La Corte territoriale aveva, dunque, travisato li dettato collettivo, affermando che il ricorrente non avrebbe potuto essere inquadrato nel livello corrispondente a quello di addetto tecnico (B2), stante la mancanza nella declaratoria di tale profilo professionale dell’uso del supporto informatico, ed atteso che il D.P. avrebbe conseguito il diritto alla mansione superiore per avere svolto mansioni di videoterminalista e per essere stato adibito al protocollo informatico. Per contro, da una corretta interpretazione delle declaratorie contrattuali emergeva che il profilo professionale di addetto tecnico B2 non escludeva affatto l’uso del supporto informatico, ormai strumento di lavoro comune a tutte le mansioni Impiegatizie, mentre la qualifica professionale rivendicata, di operatore amministrativo B1, non richiedeva di certo il mero utilizzo del supporto informatico, occorrendo altresì l’espletamento di attività ulteriori (istruttorie, di gestione, di ricerca delle informazioni o trattamento testi, con conseguente verifica dei prodotti…). Di conseguenza, l’addetto tecnico o amministrativo svolge una serie di attività, tra cui quella propria di archivista, senza che la relativa declaratoria escluda per detta figura la possibilità di avvalersi del supporto Informatico.

Pertanto, travisando i contenuti delle rispettive declaratorie contrattuali, la sentenza impugnata era incorsa nel vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3. Nel caso di specie il D.P. era stato sempre adibito a mansioni afferenti al proprio livello di inquadramento (B2).

Con il secondo motivo parte ricorrente si è doluta di contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5). La Corte di merito, nel richiamare i documenti ivi citati (in parte gli allegati due e tre della produzione di parte attrice in primo grado), non aveva operato alcuna ulteriore indagine in ordine alle attività concretamente disimpegnate dal D.P. e ascrivibili al profilo professionale rivendicato, avendo invece evidenziato come unica circostanza dirimente ai fini del superiore inquadramento l’uso di apparecchiature informatiche. In tal modo il collegio aveva fondato la sua decisione su elementi non probanti, riferendosi i menzionati documenti 2 e 3 soltanto ad attività di archivista/videoterminalista, scevra da qualsiasi accertamento del necessario dato temporale e quindi inidonea a fondare li diritto vantato. I giudici di appello si erano limitati “ad affermazioni di principio, sostenute da una invero scarna documentazione, che non è stata oggetto di alcuna attività istruttoria nel corso del precedenti gradi di giudizio”, sicchè non poteva essere posta a fondamento della decisione. Dunque, la società si era vista soccombente in relazione a circostanze che non risultavano avvalorate da alcun elemento probatorio di sostegno, atteso che dalla documentazione ex adverso allegata nulla si evinceva in merito alla pretesa avanzata. Per contro, l’attore avrebbe dovuto dimostrare di avere svolto le attività previste dalla declaratoria del profilo di operatore amministrativo, in modo esclusivo o in maniera assolutamente prevalente rispetto a quelle proprie della qualifica posseduta o comunque dell’equivalente posizione di addetto tecnico o amministrativo, ma il D.P. non aveva provato alcunchè. Invero, gli anzidetti documenti allegati all’atto introduttivo del giudizio Indicavano semplicemente il personale svolgente mansioni di archivista – videoterminalista, tra cui figurava anche il ricorrente.

La Corte di Appello era giunta ad escludere una Ipotesi di inquadramento orizzontale nel profilo di addetto tecnico o amministrativo sull’assunto del tutto infondato che tale figura non prevedeva l’uso del computer, come se avesse accertato che il ricorrente avesse svolto prevalentemente attività di tipo informatico con la professionalità tipica dei lavoratori inquadrati nel superiore livello B1. I giudici di merito, quindi, in primo ed in secondo grado, avevano ritenuto che le mansioni di “videoterminalista/achivista” fossero dirimenti ai fini del preteso diritto al superiore profilo (B1).

Pertanto, anche in relazione allo scarno corredo allegatorio non si comprendeva come fosse stato possibile addivenire alle anzidette conclusioni, riconoscendo del tutto artatamente ed erroneamente all’attore un profilo superiore (con le dovute differenze retributive), senza aver previamente accertato se le mansioni appartenenti al profilo superiore rivendicato fossero state mai realmente svolte, fondandosi unicamente sul fatto che l’istante si fosse avvalso in maniera prevalente e continuativa dell’uso di apparecchiature informatiche, valorizzando quindi al fini della decisione l’espletamento di un’attività, elencata dalla declaratoria del profilo superiore rivendicato solo in via alternativa (cfr. “Svolge attività di video-scritture anche con l’uso di apparecchiature informatiche”).

Dunque, la decisione impugnata si basava su di una contraddittoria ed illogica motivazione, relativamente all’asserito svolgimento di mansioni superiori non provato sulla scorta dello scarno corredo allegatorio prodotto da controparte.

Entrambi i motivi non meritano accoglimento, dovendo essere disattesi In forza delle seguenti considerazioni.

Ed Invero, quanto alla prima censura, la sentenza impugnata ha osservato che il giudice di primo grado ha correttamente applicato l’art. 2103 c.c. riguardo all’Invocato riconoscimento, avendo preliminarmente riportato le declaratorie contrattuali complete della qualifica rivestita e di quella rivendicata, operando poi la sussunzione del compiti di fatto svolti nell’una e nell’altra previsione, giungendo legittimamente, in tale confronto, ad evidenziare profili caratterizzanti della qualifica posseduta e di quella richiesta, con Individuazione degli elementi concreti che hanno consentito l’accoglimento della domanda.

Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dalla società appellante, da un lato il giudice di primo grado, sulla base dell’attenta lettura delle declaratorie contrattuali, secondo la Corte distrettuale condivisibilmente, stante la mancanza nel profilo di addetto tecnico o amministrativo dell’uso del supporto informatico, aveva escluso la possibilità d’inquadramento del D.P. in un livello corrispondente a quello di cantoniere, precedentemente svolto (prima del suo trasferimento alla Direzione Centrale Autostrade e Trafori); dall’altro, aveva evidenziato che, nell’ambito degli adempimenti di sorveglianza sanitaria, il Direttore centrale aveva attestato lo svolgimento, da parte del ricorrente, delle mansioni di videoterminalista/archivista e soprattutto l’adibizione dello stesso al protocollo informatico (circostanze entrambe documentalmente provate da parte attrice), che dimostravano come il D.P. avesse eseguito mansioni corrispondenti ai livello riconosciutogli in primo grado, in quanto nella declaratoria di operatore amministrativo B1 proprio tali attività caratterizzavano il profilo: attività istruttoria per atti amministrativo-contabili In base a direttive definite, organizzazione e gestione dell’archivio…. attività di videoscrittura con l’uso di apparecchiature informatiche).

Orbene, alla luce dell’anzidetta motivazione non si ravvisa nello specifico alcuno del vizi Ipotizzati con li primo motivo di ricorso, laddove a ben vedere parte ricorrente tenta di sminuire quanto in punto di fatto accertato dai giudici di merito, in primo e secondo grado, sulla scorta della prodotta documentazione ritenuta sufficiente, sotto il profilo probatorio, a supportare la domanda del lavoratore.

Nè la società, aldilà di affermazioni di carattere generale, ha individuato precisi errori nell’applicazione dell’art. 2103 c.c., art. 1362 c.c. e ss., mentre per altro verso neppure ha fornito valide argomentazioni per poter sostenere che anche l’acclarato pieno impiego di strumenti informatici da parte del D.P., In seguito al suo trasferimento presso la suddetta Direzione Centrale dell’azienda, rientrasse nei compiti del profilo di addetto tecnico (B2: “provvede, sulla base sulla base di disposizioni o secondo procedure prestabilite, a tutte le operazioni di ricezione, proprio con l’azione, smistamento, preparazione spedizione della corrispondenza, di plichi e di materiali; attende alla materiale preparazione, fascicolazione riscontro di atti documenti nonchè alla loro classificazione; archivia fascicolo documenti nell’ambito di specifiche istruzioni.

Collabora all’ufficio relazioni con il pubblico e svolge attività delle centratine telefoniche.

Collabora con le professionalità superiori alla esecuzione di indagini, rilievi, misurazioni, rappresentazioni grafiche, sopralluoghl eccetera inerenti ai lavori di manutenzione nonchè alla rilevazione topografica ed espropriativi).

Quanto, poi, al secondo motivo, lo stesso in effetti si esaurisce in un mero dissenso rispetto a quanto diversamente opinato, In punto di fatto, dai giudici di merito, come tale non rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo il testo ratione temporis applicabile, D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, ex art. 2 “per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d’ufficio”, rimasto in vigore sino alla sua sostituzione operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134).

Infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento del fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione li potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Casa. lav. n. 27162 del 23/12/2009, che quindi nella specie confermava la sentenza Impugnata, che riconosciuto il diritto della ricorrente, già inquadrata nell’area operativa quale operatore di gestione, alla qualifica di quadro di primo livello. Parimenti, v. Cass. lav. n. 6288 del 18/03/2011.

V. tra l’altro Cass. lav. n. 7394 del 26/03/2010, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cessazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, al sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento del dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non al possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento di i ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cessazione. Conforme Cass. n. 6064 del 2008.

Cfr. altresì Cass. civ. sez. 6 – 5, ordinanza n. 91 del 07/01/2014, secondo cui il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe in un nuova formulazione del giudizio di fatto, in contrasto con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità. Ne consegue che, ove la parte abbia dedotto un vizio di motivazione, la Corte di cessazione non può procedere ad un nuovo giudizio di merito, con autonoma valutazione delle risultanze degli atti, nè porre a fondamento della sua decisione un fatto probatorio diverso od ulteriore rispetto a quelli assunti dal giudice di merito. Conformi nn. 15489 del 2007 e 5024 del 2012.

Inoltre, Cass. 5^ civ. n. 2805 del 05/02/2011 ha precisato che il motivo di ricorso con cui – al sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., o anche un fatto secondario, cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, purchè controverso e decisivo.

Peraltro, nelle more della pubblicazione di questa pronuncia, Cass. 3^ civ. 11892 del 10/06/2016 ha chiarito ulteriormente come il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cessazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per li giudizio – nè in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4 – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale, che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante).

D’altro canto, per completezza va anche osservato, con riferimento alle censure complessivamente formulate da parte ricorrente, che la denuncia di un errore di fatto, consistente nell’inesatta percezione da parte del giudice di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento, In contrasto con quanto emergente dagli atti processuali, non costituisce motivo di ricorso per cessazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma di revocazione a norma dell’art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. lav. n. 2529 del 09/02/2016. Cfr. pure al riguardo Cass. 2^ civ. n. 19921 del 14/11/2012, secondo cui l’apprezzamento del giudice del merito, che abbia ritenuto pacifica e non contestata una circostanza di causa, qualora sia fondato sulla mera assunzione acritica di un fatto, può configurare un travisamento, denunciabile solo con Istanza di revocazione, al sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, mentre è sindacabile in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ove si ricolleghi ad una valutazione ed interpretazione degli atti dei processo e del comportamento processuale delle parti).

Pertanto, il ricorso va respinto, con la condanna della parte rimasta soccombente alle relative spese.

Sussistono, altresì, i presupposti di legge per il versamento dell’ulteriore contributo unificato, stante l’integrale rigetto dell’impugnazione de qua, proposta con atto notificato il primo febbraio 2013, sicchè anche ratione temporis è applicabile nella specie il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle relative spese, che liquida a favore del controricorrente nella misura di 3500,00 (tremilacinquecento/00) Euro per compensi professionali oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre al rimborso spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2016

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