Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18950 del 31/07/2017


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Cassazione civile, sez. III, 31/07/2017, (ud. 17/05/2017, dep.31/07/2017),  n. 18950

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9321-2015 proposto da:

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALESSANDRIA

208, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO CARDARELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCA FILIPPONI giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA FIDEURAM SPA, in persona della Dott.ssa P.A.,

Respons. Consul. Gener. e contenzioso, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FALERIA 37, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO EROLI,

che la rappresenta e difende giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 195/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato LUCA FILIPPONI;

udito l’Avvocato MASSIMO EROLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2003 la sig.ra G.E. convenne in giudizio L.G. e la Banca Fideuram per sentirli condannare, rispettivamente per responsabilità extracontrattuale e contrattuale, al pagamento di Euro 550.000 oltre accessori, deducendo che sul c/c di cui la stessa era titolare presso l’istituto di credito predetto le veniva addebitato l’assegno non trasferibile n. (OMISSIS) per l’importo di cui sopra, intestato al L. che lei neppure conosceva.

La Banca, costituitasi, resisteva alla domanda deducendo che gli estratti conti non erano stati contestati e che la fuma di traenza corrispondeva. In ogni caso della somma, movimentata dalla propria promotrice finanziaria la sig.ra P.A. (secondo le sue dichiarazioni avrebbe prelevato dal conto corrente della G. attraverso l’emissione di un assegno bancario non trasferibile la somma di Euro 550.000, rimettendo tale importo sul c/c del L.) aveva beneficiato indebitamente il L. che pertanto indicava come obbligato alla restituzione. In via subordinata dichiarava di surrogarsi nei diritti dell’attrice ovvero di agire in regresso nei confronti del L.. E difatti alla luce delle dichiarazioni dalla stessa rese, avrebbe prelevato dal conto corrente della G. attraverso l’emissione di un assegno bancario non trasferibile la somma di euro 550.000, rimettendo tale importo sul c/c del L..

Si costituì il L. chiedendo il rigetto della domanda proposta dalla G. in quanto anch’egli vittima dell’illecito comportamento della P. e da cui erano derivati ingenti prelevamenti sul suo conto sì che era egli creditore nei confronti della banca e disconoscendo la sottoscrizione dell’assegno sia sulla girata sia per la traenza dello stesso e contestando la condotta omissiva di Banca Fideuram sulla vigilanza dei propri dipendenti a tutela dei risparmiatori. Contestualmente e in apposita sede presentò denuncia-querela nei confronti della P..

G.E. preso atto dell’estraneità del L. nella contestata vicenda rinunciò alla domanda svolta nei suoi confronti.

Il Tribunale di Padova con sentenza n 1418/2007 accolse la domanda proposta dalla G. e per gli effetti condannò Banca Fideuram a risarcire a titolo di responsabilità contrattuale alla stessa l’importo di Euro 550.000,00 oltre interessi legali e alle spese di lite, mentre rigettò la domanda proposta dalla Banca nei confronti del L. in quanto l’operato della P. integrava eccezione di inadempimento ex 1460 c.c. come tale sufficiente a paralizzare la domanda di manleva proposta.

2. Proponeva appello avverso la suddetta statuizione la Banca soccombente unicamente in relazione al capo della sentenza che disattendeva la domanda di regresso nei confronti del L. e, richiamando il disposto dell’art. 2033 c.c. chiedeva che questi fosse condannato nei confronti dell’appellante alla restituzione di quanto indebitamente percepito non essendo in alcun modo controverso nè altrimenti contraddetto che le somme da questi percepite fossero allo stesso non dovute.

La Corte d’Appello di Venezia con sentenza n. 195 del 2015 accoglieva il gravame ed escludendo i presupposti di cui all’ art. 1460 c.c. non ravvisando inadempimento alcuno della Banca nei confronti del L. in relazione al contratto di conto corrente totalmente estraneo alla vicenda azionata dalla G. nei confronti della Banca, accoglieva la domanda di quest’ ultima di indebito accredito al L. di una somma non spettantegli, e che perciò doveva restituire alla banca.

3. Avverso tale pronunzia L.G. ricorre in cassazione con due motivi.

3.1 Resiste con controricorso la Banca Fideuram.

3.2. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Occorre esaminare, preliminarmente, l’eccezione di inammissibilità sia per difetto di procura perchè non autentica sollevata dalla controricorrente in quanto inviata a mezzo pec, con un file distinto dal ricorso, e quindi non in calce, in formato pdf grafico riportante le immagini delle sottoscrizioni del L. e dell’avv. Filipponi, sia l’eccezione relativa al deposito della copia della sentenza con l’attestazione di conformità all’originale di cui il controricorrente sostiene il difetto di autenticità.

L’eccezione è infondata.

Per quanto riguarda la prima questione è del tutto irrilevante che la procura sia stata inviata con file separato da quello contenente il ricorso perchè si evince dal contenuto della stessa che è relativa al ricorso e non un documento a sè stante.

Per la seconda questione occorre fare riferimento ai seguenti principi qualora il deposito del ricorso per cassazione non sia fatto con modalità telematiche, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., dell’avvenuta sua notificazione per via telematica va data prova mediante il deposito – in formato cartaceo, con attestazione di conformità ai documenti informatici da cui sono tratti – del messaggio di trasmissione a mezzo PEC, dei suoi allegati e delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna previste dal D.P.R. n. 68 del 2005, art. 6, comma 2. Tale regola vale anche per il deposito della sentenza. Per cui l’avvocato deve depositare la sentenza e gli atti notificati a mezzo pec con l’attestazione di conformità all’originale. Come avvenuto appunto nel caso di specie.

4.1. Con il primo motivo deduce “error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4 violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. vizio di ultrapetizione e/o extrapetizione”.

La Corte d’Appello di Venezia accogliendo la domanda di condanna proposta dall’appellante ex art. 2033 c.c. sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione perchè la domanda di condanna alla restituzione dell’indebito non era stata formulata in primo grado dalla banca Fideuram e, quindi, doveva essere dichiarata inammissibile ex art. 345 c.p.c..

Il motivo è infondato.

La Corte territoriale non è incorsa nei vizi denunciati dal ricorrente che ha precisato la domanda, nei termini previsti dal codice del rito, sia nella comparsa di costituzione e risposta che nella memoria ex art. 180 c.p.c..

Nè è ravvisabile alcun mutamento sostanziale della domanda formulata dalla Banca dinnanzi alla Corte d’Appello di Venezia rispetto alle pretese originariamente avanzate al giudice di prime cure che renderebbe nulla ex art. 345 c.p.c. l’impugnata statuizione del Secondo Giudice così come prospettato dal L..

La Banca ha infatti più semplicemente chiarito e specificato nei motivi d’Appello a che titolo e secondo quali norme di diritto il giudice di prime cure avrebbe dovuto accogliere le proprie richieste difensive ed in particolare l’azione di surroga o regresso nei confronti del L. prospettata nella domanda di primo grado.

L’appellante intendeva meglio qualificare la pretesa azionata in primo grado riconducendola nell’alveo applicativo dell’art. 2033 c.c., non essendo controverso ed anzi pacifico, in quanto ammesso dallo stesso L., che le somme da questi percepite fossero non dovute e dunque indebite sì da doverle restituire alla G. alla quale la banca si è surrogata avendo il giudice di prime cure accolto la tesi della responsabilità contrattuale della stessa.

La Banca così qualificava la posizione del sig. L. “della descrizione dei fatti così come accaduti, risulta evidente che l’importo di Euro 550.00,00 non può di certo ritenersi di spettanza del L.G. con la conseguenza che lo stesso dovrà essere restituito alla legittima titolare come peraltro viene richiesto con il presente giudizio”.

Al Giudice d’Appello pertanto non veniva sottoposto alcun quesito nuovo in grado di richiedere ulteriori accertamenti che avrebbero conseguentemente compromesso l’originario thema decidendum, avendo potuto il L. difendersi sin dalla comparsa di risposta della banca in primo grado.

Dovendosi quindi escludere come ampiamente chiarito una violazione dell’art. 345 c.p.c., quale logico corollario non rileva alcun vizio di ultra-petizione ex art. 112 c.p.c., essendosi la Corte di Venezia limitata a qualificare l’azione esperita dalla Banca in correlazione alla surroga esperita fin dal primo grado.

4.1. Con il secondo motivo si lamenta “Error in iudicando ex art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 c.c..

Si contesta, in via subordinata, alla Corte d’Appello l’errata applicazione dell’art. 2033 c.c. non essendo la Banca legittimata ad avanzare alcuna richiesta restitutoria dell’indebita somma percepita dal ricorrente, non potendosi questa identificarsi quale solvens non essendo alla stessa ascrivibile l’esborso delle somme contestate, bensì alla G.. La fattispecie andrebbe quindi ricondotta nei termini di un’azione risarcitoria dei soggetti responsabili.

Il motivo è infondato.

La falsità della firma di emittenza di un assegno bancario non crea alcuna obbligazione cartolare a carico dell’autore apparente di essa, nè ordine o delega di pagamento alla banca trattaria. Pertanto questa non può, venuta a conoscenza della falsità della firma, riversare il corrispondente importo sul conto del correntista estinguendone la corrispondente provvista, ma, avendone la legittimazione in qualità di “solvens”, può ripetere l’indebito oggettivo dall'”accipiens”, salvo poi rivalersi degli eventuali danni nei confronti del correntista, se sussiste la sua colpa secondo i principi generali e secondo la convenzione di assegno(che lo obbliga tra 1′ altro a custodire con ogni diligenza il carnet e a denunziarne senza ritardo alla banca il furto o lo smarrimento) e se sussiste la diligenza professionale del banchiere (che lo obbliga a confrontare la firma del traente con lo specimen depositato) (Cass. 19565 del 2004).

Risulta evidente come la Banca Fideuram sia soggetto legittimato ad avanzare le pretese azionate nel giudizio di cui si controverte, rivestendo la qualifica di colui il quale vanta il diritto di pretendere ed ottenere la restituzione di quanto non avrebbe dovuto eseguire ex art. 2033 c.c.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 8.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, e dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 31 luglio 2017

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