Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1895 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 28/01/2021), n.1895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1880/2016 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

con domicilio in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

PARTECIPAZIONI TECNOLOGICHE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. prof.

Pasquale Russo, dall’avv. Francesco Padovani e dall’avv. prof.

Guglielmo Fransoni, presso il cui studio in Roma, via Crescenzio, n.

2, è elettivamente domiciliata;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 3555/14/15, depositata il 17 giugno 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 novembre

2020 dal Consigliere Dott. Cataldi Michele;

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Intecs Informatica e Tecnologia del Software s.p.a. (successivamente divenuta Partecipazioni Tecnologiche S.p.a.), relativamente all’anno d’imposta 2005, ha effettuato in ritardo il versamento Irap dovuto, avvalendosi del ravvedimento operoso di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13.

L’Agenzia delle Entrate, a seguito di controllo formale D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36-bis, rilevato il tardivo versamento dell’imposta, ha notificato alla contribuente la cartella di pagamento per l’importo dovuto a titolo di interessi e sanzioni per il ritardato versamento, rilevando che, per l’anno d’imposta in questione, l’applicabilità all’Irap dell’istituto del ravvedimento operoso era esclusa espressamente dal D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, comma 3, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di entrate”, convertito dalla L. 31 luglio 2005, n. 156.

La società ha impugnato l’atto dinnanzi la Commissione tributaria provinciale di Roma, invocando anche l’applicazione dell’esimente di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 3, dovendo ravvisarsi l’obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma impositiva dell’Irap, atteso che era pendente dinnanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee il giudizio relativo alla compatibilità dell’Irap con il diritto comunitario (in particolare con la sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 7/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari) e due Avvocati Generali della Corte avevano già rassegnato conclusioni nel senso dell’incompatibilità.

Tale giudizio si è poi concluso nel senso della compatibilità dell’Irap con la direttiva comunitaria in materia d’Iva (Corte Giustizia Unione Europea, Grande Sezione, sentenza 3 ottobre 2006, nel procedimento C-475/03).

L’adita CTP ha accolto il ricorso, ritenendo la sussistenza dell’incertezza sulla legittimità dell’Irap sufficiente a giustificare di fatto il superamento delle norme che ne escludevano l’applicazione, e traendone la conseguenza che il versamento, da parte della ricorrente, dell’imposta e delle sanzioni ridotte in ragione del ravvedimento operoso, integrasse l’intero importo effettivamente dovuto dalla contribuente.

Proposto appello dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale del Lazio lo ha rigettato con la sentenza n. 3555/14/15, depositata il 17 giugno 2015 avverso la quale la stessa Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidandolo ad un solo motivo.

La contribuente resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo l’Ufficio ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3 e del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 3, convertito dalla L. n. 156 del 2005, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il giudice a quo ritenuto che in materia di tardivo versamento dell’Irap nell’anno d’imposta in questione sussistesse l’oggettiva condizione d’incertezza integrante, secondo la predetta disposizione dello Statuto del contribuente, l’esimente rispetto alle sanzioni ed agli interessi moratori altrimenti dovuti.

Aggiunge poi l’Ufficio che, con riferimento alla medesima imposta e per lo stesso anno sub iudice, ai sensi del D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 3, convertito dalla L. n. 156 del 2005, neppure poteva applicarsi l’istituto del ravvedimento operoso, erroneamente utilizzato dalla ricorrente.

Il motivo è ammissibile, a differenza di quanto eccepito dalla controricorrente, anche con riferimento alla censura attinente l’assunta inapplicabilità del ravvedimento operoso al caso di specie, poichè la relativa questione non è stata soltanto evocata nella rubrica del motivo, ma anche richiamata nel corpo di quest’ultimo (pagg. 7 ed 8 del ricorso). Nè, peraltro, si tratta di questione nuova, poichè, come si evince dallo stesso controricorso della contribuente, essa costituiva la ragione per la quale era stata liquidata la sanzione di cui si controverte (pagg. 3 s. del controricorso); era stata dedotta dall’Amministrazione nelle proprie controdeduzioni in primo grado (pag. 6 del controricorso) e riproposta dalla stessa parte come specifico motivo d’appello (pag. 10 del controricorso).

Quanto poi alla relazione tra tale censura e la ratio decidendi della decisione impugnata, non può concordarsi con la deduzione della controricorrente, secondo la quale la decisione del giudice a quo di ritenere applicabile l’esimente di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, escludendo in radice che fossero dovute le sanzioni, avrebbe assorbito la questione dell’applicabilità o meno del ravvedimento operoso, del quale la contribuente si era avvalsa quando aveva effettuato tardivamente il versamento. Infatti, se in astratto è configurabile tale relazione tra le due questioni, essa non si ravvisa in concreto nella motivazione della decisione impugnata, che invece come infra si dirà- confonde le due problematiche, generando un fraintendimento non solo logico e fattuale, ma anche giuridico, che legittima l’estensione del ricorso erariale ad ambedue le violazioni di legge.

2. E’ necessario premettere alla decisione il contesto normativo nel quale si colloca la controversia.

La L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, come modificato dal D.L. 17 giugno 2005, n. 106, art. 1, comma 1, rubricato “Disposizioni urgenti in materia di entrate”, ha introdotto la disposizione secondo cui “in ogni caso non costituisce condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria.”.

Pertanto, per le violazioni commesse a decorrere dall’entrata in vigore del D.L. n. 106 del 2005, la sanzione tributaria va applicata anche nel caso in cui il contribuente non abbia assolto il proprio obbligo tributario confidando nella caducazione della norma relativa, in relazione ad un giudizio pendente circa la legittimità della norma stessa.

La novella di cui al D.L. n. 106 del 2005, art. 1 è stata introdotta proprio allo scopo di scoraggiare l’omissione dei versamenti dovuti ai fini Irap, in considerazione del giudizio già pendente, a seguito di rinvio pregiudiziale, presso la Corte di Giustizia, circa la compatibilità del tributo con la disciplina comunitaria in materia di Iva, nel quale l’Avvocato Generale aveva concluso per l’incompatibilità.

In questo senso, si leggano ad esempio già i relativi lavori preparatori, ed in particolare la nota di lettura del servizio del bilancio del Senato, nella quale si richiama altresì la relazione tecnica circa ” la necessità di neutralizzare i possibili effetti, in termini di riduzione dell’autotassazione IRAP, delle conclusioni formulate dall’Avvocato generale della Corte UE nei confronti dell’IRAP (di cui si chiede la soppressione) e che ancora non si sono tradotte in sentenza definitiva”, e si considera che “il presente articolo è volto ad introdurre disposizioni di tutela del gettito preventivato a titolo di IRAP”.

La medesima ratio (uniformemente riconosciuta anche dalla dottrina) traspare poi dalla rubrica dello stesso D.L. n. 106 del 2005, art. 1 (“Disposizioni in materia di versamenti dell’imposta regionale sulle attività produttive, di riscossione e di notifica delle cartelle di pagamento”), che ben evidenzia come la novella dell’esimente della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, trovi la sua occasio legis proprio in materia di Irap.

Essa, inoltre, trova indiretta conferma nel preambolo del successivo D.L. 7 giugno 2006, n. 206, convertito dalla L. 17 luglio 2006, n. 234 (il cui art. 1 ha esteso alle violazioni dei doveri di versamento degli acconti e del saldo Irap per il 2006 l’esclusione dai benefici di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 13, e dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 462, art. 2, comma 2, già disposta dal D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 3), che menziona la “straordinaria necessità ed urgenza di assicurare la regolarità dei versamenti in materia di imposta regionale sulle attività produttive (Irap) nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in merito alla compatibilità comunitaria del tributo stesso”.

Inoltre, la ratio del D.L. n. 106 del 2005, art. 1 emerge anche dalla lettura delle disposizioni dettate nei commi successivi al primo, nei quali il legislatore ha dettato specifiche disposizioni volte ad indurre i contribuenti a rispettare i loro obblighi di versamento del tributo Irap per i periodi d’imposta 2004 (con riferimento al saldo) e 2005, senza considerare i possibili esiti del giudizio attualmente pendente presso la Corte di Giustizia.

In particolare, per quanto qui interessa, con il D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 3 è stato previsto che, in caso di violazione degli obblighi di versamento Irap, a saldo per il 2004 o in acconto per il 2005, non trovano applicazione le disposizioni in materia di riduzione delle sanzioni per il caso di “ravvedimento operoso” e per il caso in cui il contribuente provveda a pagare le imposte dovute entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione dell’anomalia riscontrata da parte dell’Agenzia delle entrate sulla base dei controlli automatici delle dichiarazioni presentate. E questa Corte ha evidenziato che tale disposizione, “testualmente riferita a un periodo di imposta limitato e ben definito (Irap dovuta per l’anno 2004 e versamenti in acconto e a saldo dovuti per la stessa imposta nell’anno successivo) era correlata nella sua genesi alla contingente pendenza della questione pregiudiziale rimessa avanti la Corte di Giustizia C.E. in ordine alla compatibilità dell’IRAP con l’ordinamento comunitario onde si riteneva evidentemente da parte del legislatore che l’attesa o la speranza di una pronuncia della Corte Europea che ne sancisse l’illegittimità potesse spingere alla violazione dell’obbligo di imposta e con la prevista esclusione dell’applicabilità della riduzione delle sanzioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 13 si voleva a tanto contrapporre un disincentivo” (Cass. 20/03/2019, n. 7826, in motivazione).

Significativa, poi, della doverosità del versamento dell’imposta a prescindere dalle attese riposte nella sua eventuale futura eliminazione o riduzione, è anche la riaffermazione, nel successivo comma 4, della facoltà del contribuente di portare in compensazione il tributo versato in eccesso, in caso di successivo riordino del tributo.

2.1. Tanto premesso, proprio l’indiscussa ed esplicita ratio genetica della novella conduce ad interpretare la formula “giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria” come comprensiva, oltre che della pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale, anche della rimessione alla Corte di Giustizia della Comunità Europea di una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla “legittimità comunitaria” della norma tributaria nazionale. E del resto entrambe le fattispecie sono accomunate dalla circostanza che l’oggetto del “giudizio”, sia pur in base a parametri e con effetti diversi tra loro, è la stessa “norma tributaria”, cosicchè per entrambe la riserva posta dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, risponde all’esigenza di regolare gli effetti della pendenza di tali procedimenti rispetto alla certezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della disposizione tributaria in essi sub iudice. Inoltre, anche dal punto di vista testuale, l’assenza di un espresso riferimento testuale alla costituzionalità della norma esclude che la formula “legittimità” debba essere letta necessariamente ed univocamente “legittimità costituzionale”, in modo da disconoscere l’indiscussa ratio della novella de qua.

Tale soluzione, del resto, è coerente con la considerazione che il presupposto per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia – ovverosia il dubbio sull’interpretazione del diritto dell’Unione che non sia manifestamente pretestuoso, irragionevole, o irrilevante per la decisione e non possa risolversi in base a precedenti comunitari- non implica, di per sè solo, necessariamente anche quelle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria italiana, contemplata dallo Statuto del contribuente, art. 10, comma 3,.

Alle medesime conclusioni, peraltro, questa Corte era già pervenuta in altra fattispecie, rilevando che la pendenza di un giudizio dinanzi alla Corte di Giustizia “di per sè non denuncia nè determina incertezza interpretativa ed equivocità della norma, essendo compito istituzionale della Corte di Giustizia non quello di interpretare testi normativi ambigui, bensì quello di verificare se le denunciate norme delle legislazioni nazionali degli stati membri si pongano in contrasto con direttive comunitarie.” (Cass. 26/10/2011, n. 22252, in motivazione). La formula della riserva (“in ogni caso non determina obiettiva condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria”) di cui all’ultimo periodo della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, va dunque interpretata nel senso che la mera pendenza di un giudizio sulla legittimità costituzionale o comunitaria di una norma tributaria nazionale non è, di per sè sola, idonea a generare l’obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della stessa norma.

Tuttavia, qualora emergano altrimenti condizioni obbiettive di incertezza, purchè indipendenti dalla pendenza dei predetti giudizi sulla legittimità della norma tributaria, la mera circostanza che quest’ultima sia stata anche oggetto di rimessione alla Corte Costituzionale o di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non esclude a priori l’eventuale ricorrenza dell’esimente, da valutare rispetto al concreto. Alcuni dei dati che possono essere eventualmente oggetto della verifica delle condizioni obbiettive di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 3, sono stati enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale “In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6 – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni “indici”, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8)il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente.” (Cass. 13/06/2018, n. 15452).

Riguardo, poi, alla prospettiva nella quale traguardare gli indici rivelatori fattuali che emergano, questa Corte ha chiarito che ” In tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 10 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, quando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, nè a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.” (Cass. 01/02/2019, n. 3108).

In particolare, poi, con riferimento al caso sub iudice, l’apprezzamento dell’inevitabilità o meno dell’assunta incertezza in ordine all’imposizione a titolo di Irap non può prescindere dal considerare che il legislatore, con il più volte richiamato D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 1, ha adottato una serie di disposizioni univocamente ed inequivocabilmente riaffermative, e rafforzative, dell’obbligo di versare il saldo dell’imposta del 2004 e l’acconto del 2005 anche in pendenza del giudizio generato dal rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, con ciò fugando ogni dubbio al riguardo.

3. Tanto premesso, la motivazione della sentenza impugnata evidenzia immediatamente in apertura la confusione tra le due questioni della applicabilità dell’esimente dell’obbiettiva incertezza (derivante dalla pendenza del giudizio comunitario sulla legittimità dell’imposizione dell’Irap nel suo complesso) e dell’applicabilità del ravvedimento operoso al caso di mancato o tardivo versamento della medesima imposta. Infatti, il giudice a quo espressamente argomenta che: “La questione sottoposta al vaglio del Collegio è relativa alla legittimità o meno dell’imposizione della sanzione per ritardato pagamento IRAP, fondata sull’applicazione di una norma che escludeva la suddetta imposta dall’istituto del ravvedimento operoso.”.

Lo stesso equivoco emerge nei passaggi successivi, dove si tratta della ” nebulosità e della equivocità circa la possibilità per il contribuente di beneficiare dell’applicazione dell’istituto predetto” (idest il ravvedimento operoso, l’unico “istituto” del quale aveva fatto menzione la motivazione nei periodi precedenti.

Criptica, poi, appare la considerazione finale, secondo la quale “non sono legittime le sanzioni applicate dall’Ufficio nel caso di cui ci si occupa, essendo state superate, con la predetta decisione sovranazionale, le norme che dispongono in senso contrario.”.

Dal complesso di tali argomentazioni pare quindi doversi ricavare che la CTR abbia, erroneamente, affrontato la valutazione della sussistenza delle condizioni di oggettiva incertezza, di cui all’esimente L. n. 212 del 2000, ex art. 10, comma 3, non con riferimento puntuale ed esclusivo alla norma fondante l’imposizione dell’Irap, oggetto del predetto rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia; ma riguardo (o anche, contemporaneamente ed indistintamente riguardo) al D.L. n. 106 del 2005, art. 1, comma 3, che escludeva in materia di Irap temporaneamente l’applicabilità del ravvedimento operoso.

E’ infatti rispetto a tale seconda questione che la sentenza si esprime in termini di “nebulosità” ed “equivocità”.

La confusione di prospettive che deriva da tale sovrapposizione non consente, di conseguenza, di cogliere il nesso con la pendenza del giudizio presso la Corte di Giustizia, tanto meno nella parte in cui la CTR assume cripticamente che “con la predetta decisione sovranazionale”, non altrimenti precisata, sarebbero state “superate… le norme che dispongono in senso contrario” alla legittimità delle sanzioni applicate alla contribuente. Invero, se il riferimento dovesse intendersi alla pronuncia comunitaria che ha definito il rinvio pregiudiziale in tema d’Irap, il giudizio si è piuttosto concluso nel senso della compatibilità di tale imposta con la direttiva comunitaria in materia d’Iva (Corte Giustizia Unione Europea, Grande Sezione, sentenza 3 ottobre 2006, nel procedimento C-475/03).

Pertanto, la ratio decidendi espressa dal giudice a quo appare ambigua con riferimento all’oggetto stesso della valutazione di obbiettiva incertezza, e quindi anche riguardo alla normativa di riferimento concretamente applicata, oltre che ai parametri da utilizzare per verificare l’applicabilità dell’esimente, che comunque si discostano da quelli emergenti dalle disposizioni ante citate e dagli esposti principi giurisprudenziali.

Pertanto, il motivo va accolto nei termini appena esposti e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo perchè, effettuati gli accertamenti in fatto necessari, provveda a nuova decisione.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

 

 

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