Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18949 del 31/08/2010

Cassazione civile sez. trib., 31/08/2010, (ud. 10/06/2010, dep. 31/08/2010), n.18949

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 28610/2008 proposto da:

REGIONE MOLISE, in persona del Presidente pro tempore della Giunta

Comunale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI 12 8,

presso lo studio dell’avvocato BISCARDI VALERIA, rappresentata e

difesa dall’avvocato BISCARDI Giuseppe, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore Centrale pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 84/2005 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE

di CAMPOBASSO del 28/11/05, depositata il 26/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/06/2010 dal Consigliere Relatore Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato Biscardi Giuseppe, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti e chiede la riunione ad altro ricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che ha

concluso per la trattazione congiunta ad altri ricorsi, in subordine

per l’inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Considerato che è stata depositata in cancelleria relazione del seguente tenore:

“Con sentenza del 26/11/2007 la Commissione Tributaria Regionale del Molise accoglieva il gravame interposto dalla Regione Molise nei confronti della pronunzia della Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso di rigetto delle riunite opposizioni spiegate in relazione ad avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate di Campobasso a titolo di I.R.P.E.F. per gli anni d’imposta 1984, 1985, 1986.

Avverso la suindicata sentenza del giudice dell’appello la Regione Molise propone ora ricorso per cassazione, affidato a 2 motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

L’intimato Ministero dell’economia e delle finanze non ha svolto attività difensiva.

Con entrambi i motivi la ricorrente denunzia violazione degli artt. 112, 277, 384 c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 63, 61, 35, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè omessa pronunzia sui punto decisivo della controversia in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il ricorso dovrà essere ritenuto in parte inammissibile in applicazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, art. 366 bis c.p.c. e art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, e in parte infondato, per violazione del principio autosufficienza.

L’art. 366 bis c.p.c., dispone infatti che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo deve, a pena di inammissibilità, concludersi con la formulazione di un quesito di diritto (cfr. Cass., 19/12/2006, n. 27130).

Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede allora che con riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa risolto.

Il quesito di diritto deve essere in particolare specifico e riferibile alla fattispecie (v. Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), risolutivo del punto della controversia – tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta affermazione di principio da parte del giudice di legittimità (v. Cass., 3/8/2007, n. 17108), e non può con esso invero introdursi un tema nuovo ed estraneo (v.

Cass., 17/7/2007, n. 15949).

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c., deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, sicchè la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile, non potendo considerarsi in particolare sufficiente ed idonea la mera generica richiesta di accertamento della sussistenza della violazione di una norma di legge (da ultimo v. Cass., 28/5/2009, n. 12649).

Orbene, nel non osservare i requisiti richiesti dallo schema delineato in giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 5/1/2007, n. 36), il quesito recato dal motivo di ricorso risulta formulato in termini generici e privi di riferimento alla fattispecie concreta, tali da non consentire, in base alla loro sola lettura (v. Cass., Sez. Un., 27/3/2009, n. 7433; Sez. Un., 14/2/2008, n. 3519; Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., 7/4/2009, n. 8463), di individuare la soluzione adottata dalla sentenza impugnata e di precisare i termini della contestazione (cfr. Cass., Sez. Un., 19/5/2008, n. 12645;

Cass., Sez. Un., 12/5/2008, n. 11650; Cass., Sez. Un., 28/9/2007, n. 20360), nonchè di poter circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (cfr., Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258), senza che essi debbano richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra loro (cfr.

Cass., 23/6/2008, n. 17064).

L’inidonea formulazione del quesito di diritto equivale invero alla relativa omessa formulazione, in quanto nel dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire con il quesito l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie (v. Cass., 7/4/2009, n. 8463; Cass. Sez. un., 30/10/2008, n. 26020; Cass. Sez. un., 25/11/2008. n. 28054), (anche) in tal caso rimanendo invero vanificata la finalità di consentire a questa Corte il miglior esercizio della funzione nomofilattica sottesa alla disciplina del quesito introdotta con il D.Lgs. n. 40 del 2006 (cfr., da ultimo, Cass. Sez. un., 10/9/2009, n. 19444).

La norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., è d’altro canto insuscettibile di essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa, e a fortiori debba, desumersi implicitamente dalla formulazione del motivo, giacchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione (v.

Cass. Sez. Un., 5/2/2008, n. 2658; Cass., Sez. Un., 26/03/2007, n. 7258).

Tanto più che nel caso i motivi risultano formulati in violazione del principio di autosufficienza, atteso che la ricorrente fa richiamo ad atti e documenti del giudizio di rinvio es. , l’atto in riassunzione con asserita riproposizione unitamente al 5^ motivo di ricorso, anche della questione sulla applicabilità alla fattispecie del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 39 bis (6^ motivo del ricorso per cassazione), la esplicita richiesta della ricorrente in sede di rinvio (pag. 11 dell’atto di riassunzione) circa la necessaria rideterminazione delle sanzioni pecuniarie alla luce della nuova disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 471 del 1997, D.Lgs. n. 472 del 1997 e D.Lgs. n. 473 del 1997, ove più favorevole (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3), limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente riprodurli nel ricorso.

Quanto al vizio di motivazione, a completamento della relativa esposizione esso deve indefettibilmente contenere la sintetica e riassuntiva indicazione: a) del fatto controverso; b) degli elementi di prova la cui valutazione avrebbe dovuto condurre a diversa decisione; c) degli argomenti logici per i quali tale diversa valutazione sarebbe stata necessaria (art. 366 bis c.p.c.).

Al riguardo, si è precisato che l’art. 366 bis c.p.c., rispetto alla mera illustrazione del motivo impone un contenuto specifico autonomamente ed immediatamente individuabile, ai fini dell’assolvimento del relativo onere essendo pertanto necessario che una parte del medesimo venga a tale indicazione specificamente destinata (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002).

Orbene, nel caso il ricorso non reca invero la chiara indicazione – nei termini più sopra indicati – delle ragioni dei denunziati vizi di motivazione, inammissibilmente rimettendosene l’individuazione all’attività esegetica di questa Corte, a fortiori non consentita in presenza di formulazione come sopra rilevato nella specie altresì carente di autosufficienza.

I motivi si palesano pertanto privi dei requisiti a pena di inammissibilità richiesti dai sopra richiamati articoli, nella specie applicantisi nel testo modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, essendo stata l’impugnata sentenza pubblicata successivamente alla data (2 marzo 2006) di entrata in vigore del medesimo”;

atteso che la relazione è stata comunicata al P.G. e notificata al difensore della parte costituita;

rilevato che la ricorrente ha presentato memoria;

considerato che il P.G. ha condiviso la relazione;

ritenuto di non accogliere la richiesta di riunione, atteso che come questa Corte ha già avuto modo di affermare l’obbligo di disporre la riunione, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., di impugnazioni separatamente proposte avverso la medesima sentenza trova applicazione con esclusivo riguardo alle impugnazioni ritualmente proposte, e cioè idonee ad investire il giudice di una pronunzia sul merito delle medesime, solo in tal caso risultando esclusa, anche in presenza di separate decisioni, la possibilità di frammentazione del giudicato che il combinato disposto degli artt. 333 e 335 c.p.c., mira a prevenire, mentre tale esigenza non si configura allorquando una delle impugnazioni è, come nella specie, inammissibile, trattandosi di declaratoria di mero rito, come tale non contenente l’accertamento sostanziale del regolamento di interessi oggetto di domanda (cfr., Cass., 14/9/2004, n. 18447; Cass., 26/9/1996, n. 8501;

Cass., 7/7/1994, n. 6412);

rilevato che a seguito della discussione sul ricorso tenuta nella Camera di consiglio il collegio ha condiviso le osservazioni esposte nella relazione, non infirmate dalle osservazioni dalla ricorrente esposte nella memoria, ove si sostiene l’idoneità dei formulati quesito di diritto e motivi;

ritenuto che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

considerato che le spese seguono la soccombenza in favore della costituita Agenzia delle entrate, mentre non è a farsi luogo a pronunzia al riguardo con riferimento all’intimato Ministero dell’economia e delle finanze, non avendo il medesimo svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della costituita Agenzia delle entrate, che liquida in complessivi Euro 5.100,00, di cui Euro 5.000,00 per onorari, oltre a contributo unificato, spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2010

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